GoPura al Tadrarate a Taghia (Marocco) aperta da Marco Lacchini e Andrea Marchi

Dal 15 al 18 ottobre 2024 Marco Lacchini e Andrea Marchi hanno aperto 'GoPura' al Jbel Tadrarate a Taghia (Alto Atlante, Marocco). Il report di Lacchini.
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L'apertura di 'GoPura' al Jbel Tadrarate a Taghia, Marocco: Marco Lacchini sul 2° tiro
Andrea Marchi

"Andiamo in Marocco ad aprire una nuova via!" Andrea mi guarda un po’ stranito. "In che senso?" Dopo pochi attimi, però, aggiunge: "ci sto!"

Questa idea nasce a inizio 2024, quando propongo ad Andrea di andare in Marocco in autunno con l’obiettivo di provare ad aprire una nuova via. Considerata l'esperienza minima di entrambi nell'apertura, si tratta di una proposta al limite della pazzia, ma che immediatamente diventa un sogno. Io e Andrea Marchi, entrambi di Bergamo, ci conosciamo da tanti anni ormai, e tante sono le avventure vissute insieme sulle pareti di casa; affrontare un’esperienza di questo tipo è stato il naturale proseguimento del legame della nostra cordata.

Taghia: un luogo magico dell’Alto Atlante marocchino in cui il tempo sembra essersi fermato un secolo fa, un luogo in cui i ritmi della vita rurale, del lento incedere delle anziane donne con la gerla carica e dei muli che trasportano i materiali più pesanti si contrappongono alla frenesia degli scalatori occidentali che non aspettano altro che insinuarsi nei canyon e salire le incredibili pareti di questo posto. Così, dopo mesi di pianificazione e preparazione, arriva il momento di partire verso Marrakech con i bagagli carichi di materiale e tanta incertezza su cosa avremmo trovato. Insieme a noi due, ci sono anche altri nostri cinque amici che si godranno la bellezza delle vie di Taghia. Dopo un viaggio eterno di circa sei ore – in otto su un Fiat Doblò Maxi da sette posti che, dall’aeroporto di Marrakech, ci porta a Zaouiat Hansal – ci avviamo a piedi accompagnati dai muli che ci fanno da portatori. Per raggiungere Taghia c’è solamente una strada sterrata che permette giusto il passaggio delle Jeep ma che, al momento del nostro arrivo, è interrotta da una frana. Le due ore di cammino in leggera salita trascorrono rapide, mentre iniziamo ad immergerci in quello che sarà il nostro mondo per i nove giorni successivi. Arrivati al nostro alloggio nella gitè di Mohamed Messaoudi subito gli occhi vengono rapiti dalle enormi pareti che ci circondano. Attorno a noi l’Oujdad, il Taoujdad, il Tuyat e altre cime dai nomi che a noi paiono tutti uguali, le gole che le separano e i passaggi berberi che portano agli attacchi delle vie o ad altri canyon ancora più lontani.

I due giorni successivi scorrono rapidi, con meteo un poco incerto ma che comunque ci concede di scalare due bellissime vie: A boire o Je tue le chain e Black wolf, con la seconda lasciata a metà per un temporale (che alla fine non è mai arrivato).

Dal giorno seguente comincia invece la parte principale del nostro viaggio: con il materiale necessario nello zaino, ci spingiamo oltre le montagne che circondano Taghia. Superiamo prima il famoso passage berber che costeggia l'Oujdad e poi il rifugio dell'eremita posto su un piccolo altopiano. Entriamo quindi nello sterminato canyon del Tadrarate, dove speriamo di trovare qualcosa adatto a noi. Qui lo spettacolo che ci si presenta è incredibile; in confronto, le pareti che abbiamo lasciato alle nostre spalle quasi sembrano accoglienti. Sulla destra superiamo l’Aganbou 'n Tissoufra dove corre Kif & Cliff, altra via "italiana" di Carlo Cosi, Enrico Geremia e Nicolò Geremia (2015), e continuiamo così la nostra perlustrazione. È più di un’ora che camminiamo e non vogliamo spingerci troppo oltre, dato che nei giorni successivi sarà necessario rifare tutto l’avvicinamento. Dopo qualche centinaio di metri, sulla destra intravediamo una grotta che, come indicato sulla guida, potrebbe essere un ottimo posto da bivacco. La lasciamo alle nostre spalle e poco più avanti, sulla sinistra, appare l’enorme parete principale del Tadrarate, dove corrono vie molto impegnative e sulla quale, ci diciamo, non avremmo grandi possibilità. Proseguiamo ancora tra passaggi sospesi su ginepri incastrati e corde fisse, sperando di trovare qualcosa che faccia al caso nostro.

Finalmente, dopo altri quindici minuti, individuiamo proprio quello che stiamo cercando: un’intera parete completamente vergine che pare adatta sia per lunghezza che per conformazione. Non perdiamo tempo: subito Andrea prende il cannocchiale e inizia ad osservare una possibile linea, ci confrontiamo, e poco dopo siamo all’attacco della nuova via. Ci prepariamo, facciamo pari o dispari come di consuetudine e via, è il turno di Andrea. Il nostro piano è quello di riuscire a salire un paio di tiri, piazzare una corda fissa e tornare a Taghia entro sera per preparare tutto l’occorrente per trascorrere i successivi due o tre giorni nel canyon.

Saliamo le prime due lunghezze senza intoppi, la prima più semplice e la successiva più impegnativa, su roccia grigia molto bella. Arrivati alla seconda sosta attrezziamo la fissa in modo tale da poterla risalire il giorno successivo e ci caliamo. Alla base lasciamo il materiale e ci incamminiamo di nuovo verso il villaggio dove ci attendono i nostri soci, a cui racconteremo il nostro progetto. L’indomani fortunatamente hanno deciso di riposare e ci aiuteranno a portare tutto il materiale alla grotta; questo ci eviterà di fare altri viaggi e di stancarci troppo. Spira, Dario, Polo, Jamba e Rugge, vi siamo davvero grati!

La mattina seguente finiamo di sistemare il tutto, abbiamo con noi più di cento fix, cibo per tre giorni e duecento metri di corde statiche: siamo carichi a mille e pronti per immergerci in questa avventura. Nel canyon non c’è nessuna connessione telefonica, dunque saremo completamente isolati per tutto il tempo. Ci addentriamo di nuovo nella gola del Tadrarate, raggiungiamo la parete ed iniziamo a risalire le corde fisse. Giunti alla base del terzo tiro lo guardiamo per bene, sembra duro, speriamo di passare! Tocca ad Andrea.

Una placca di circa trenta metri ci separa da un’esile cengia, sulla quale abbiamo l’intenzione di collocare la sosta successiva. Andrea parte, la scalata è tecnica su piccole prese e posizionare il cliff per fermarsi e trapanare è la cosa più complessa; subito qualche passaggio difficile dà la sveglia, ma con la giusta calma Andrea riesce a posizionare due fix. Dalla seconda protezione continua a salire, facendo fatica a trovare un punto adatto in cui fermarsi: ormai è almeno tre o quattro metri più in alto, finalmente prova appendersi ma il cliff esce. In un attimo me lo ritrovo di fianco alla sosta, dopo un bel volo di almeno 8 metri. Andrea però non si scompone. Riparte subito e, poco dopo, è di nuovo sul cliff (che questa volta tiene) e gli permette di posizionare il fix. La parte successiva è sempre impegnativa, quantomeno c’è la possibilità di integrare anche con protezioni veloci. Il tiro infine si conclude con un ostico bombé, superato – dopo vari tentativi – sotto una leggera pioggerella e la placca ormai bagnata. Finalmente la sosta è fatta!

Risalgo la corda per osservare la lunghezza successiva: sembra un po’ più facile di quella appena superata. Il vento asciuga la roccia e, sebbene un po’ titubante per il meteo, mi convinco a partire. Il tiro si sviluppa lungo un diedro strapiombante e successivamente rimonta una bellissima placca. Sfortunatamente di lì a poco ricomincia a piovere in maniera più decisa; a questo punto optiamo per lasciare il quarto tiro a metà, mettere un’altra fissa e scendere in modo tale da riposare, sistemare il tutto e nei due giorni successivi continuare a salire. Ci caliamo rapidamente e andiamo in direzione del bivacco: una grotta abbastanza profonda con un posto ottimo per dormire e fare un fuoco. Siamo solo noi due immersi nella natura selvaggia, che spettacolo. Fortunatamente, durante queste ultime notti, il clima sarà mite e ci permetterà di non avere freddo e goderci i momenti di riposo.

L’indomani il meteo sembra migliore e si preannuncia una giornata davvero intensa. Risalita la fissa fino all’ultimo fix posizionato mi attende una placca su roccia incredibile, come d’altronde lo è su tutta questa parete (e in generale a Taghia). In poco tempo arrivo in sosta e recupero il saccone, mentre Andrea scala. La parete qui è molto verticale, a lui tocca il tiro successivo che segue un sistema di fessurine per superare poi la parte finale in placca tecnica.La lunghezza seguente inizialmente prosegue su roccia lavorata e verticale, mentre nella parte finale avrò la fortuna di salire un diedro leggermente strapiombante. Andrea mi raggiunge in sosta e, visto il calare delle difficoltà, decidiamo di proseguire salendo il settimo tiro che si lascerà superare in poco tempo.

Tornati nella grotta – riguardando le foto scattate durante la perlustrazione – ci rendiamo conto che dovrebbero mancare circa altri centocinquanta metri e, siccome abbiamo a disposizione solamente il giorno successivo per raggiungere la cima, avvertiamo una certa agitazione: perlomeno la parte alta sembra più semplice di quella già salita.

Decidiamo così di svegliarci molto presto per affrontare i quasi duecento metri di statiche che ci separano dall’ultima sosta. Visto il poco tempo, e dato che la parete è ora più appoggiata e proteggibile, decidiamo di affrontare le ultime lunghezze leggeri, senza saccone, utilizzando protezioni veloci per la progressione e mettendo i fix solo alle soste. Aperti altri due tiri, tocca di nuovo a me affrontare la lunghezza successiva, la decima. Superato un passo iniziale ostico, una lunga cavalcata mi porta in cima; velocemente faccio gli ultimi due fori, con il trapano che mi trema in mano. Poco dopo, il canyon è squarciato da un urlo: "Vetta!" Finalmente ci siamo, Andrea sale velocemente e mi raggiunge in sosta, ce l’abbiamo fatta! Ci abbracciamo, ci scappa pure qualche lacrima di gioia e ci godiamo il momento. La giornata è da sogno, il cielo è azzurro e un leggero venticello fa sentire il profumo dei ginepri secolari che dominano l’altopiano del Tadrarate. Che panorama, e che emozione. Mangiamo e ci rilassiamo qualche istante, sono le 14 di venerdì, è abbastanza presto. In cima c’è di nuovo campo e avvisiamo gli amici a Taghia e le famiglie a casa che siamo riusciti a completare la salita senza problemi e che stiamo bene.

Mentre ci caliamo decidiamo di integrare con qualche fix gli ultimi tiri saliti, giusto per rendere la linea sicura e intuibile per i prossimi ripetitori. Dopo la terza calata ecco il primo, ma anche l’unico, problema: la corda si incastra durante una doppia e non c’è modo di liberarla. Fortunatamente ci troviamo già alle fisse attrezzate nei giorni precedenti e, siccome torneremo per ripetere la via, abbandoniamo la corda incastrata. Ci dirigiamo così alla grotta, dove prepariamo gli zaini ancora molto pesanti e iniziamo le due ore di cammino che ci separano dal villaggio.

Raggiunto il nostro alloggio, ci attendono gli amici per festeggiare in compagnia con una bella cena, ovviamente a base delle immancabili "yellow soup" e tajine. Mancano solo due giorni prima del rientro in Italia, l’indomani riposeremo per poi andare a ripetere la via tutti insieme domenica. Il sabato passa veloce, siamo davvero stanchi e abbiamo proprio bisogno – e voglia – di passare una giornata di relax godendoci la tranquillità ed i ritmi di Taghia.

La domenica, finalmente con zaini leggeri, ripartiamo verso il Tadrarate insieme al resto del gruppo. Dopo varie ore di scalata, siamo tutti in cima a goderci il panorama e a scambiare qualche battuta, pensando già ai gradi e alle difficoltà incontrate. Io e Andrea siamo gli ultimi a scendere: liberiamo la parete dalle fisse e raggiungiamo il resto del gruppo alla base. Scolpiamo il nome nella roccia, facciamo la foto di rito e per l’ultima volta affrontiamo la discesa che ci riporta a Taghia.

Il nome scelto per la via è GoPura, nome del gruppo di amici scalatori scelto ormai dieci anni fa e che è un gioco di parole tra un noto marchio e il dialetto bergamasco, nel quale "go pura" significa "ho paura". Siamo davvero soddisfatti del risultato di questa avventura, anche se ciò che rimane indelebile è la magia di questa esperienza condivisa. La via è di stampo moderno, abbastanza esigente poiché attrezzata a fix distanziati (dove improteggibile) e da integrare dove la roccia lo consente. Si trova all’interno del canyon del Tadrarate nel quale corrono molte bellissime vie ma, tutte o quasi, particolarmente difficili; speriamo quindi che questa linea possa attirare in questa splendida area anche cordate alla ricerca di gradi un po’ più morbidi.

Abituati al caos dell’occidente, in questo villaggio fatto di case con i tetti di fango e di persone dalla vita semplice, sembra di esser in un’epoca che non c’è più. Purtroppo, anche qui le cose stanno cambiando: già rispetto ai racconti di chi c’è stato vent’anni fa tutto è diverso, più occidentalizzato.Nonostante la presenza dei climber abbia portato anche un po’ di ricchezza e sia abbastanza ben accetta (i berberi son tra le persone più gentili e generose che abbiamo mai incontrato), inevitabilmente Taghia sta venendo influenzata e cambiata dal nostro stile di vita. La speranza è che lo spirito di questo posto possa mantenersi il più a lungo possibile e che quando torneremo qui, perché sicuramente una "prossima volta" ci sarà, potremo sentire le stesse magiche sensazioni.Non possiamo che essere profondamente grati a questo meraviglioso posto che ci ha permesso di realizzare un sogno che avevamo nel cassetto: grazie Taghia, ci hai fatto emozionare e non poco!

- Marco Lacchini, Selvino, Bergamo

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