Dopo una caduta in montagna...

Roberto Iannilli racconta la caduta di cui è stato vittima il 9 agosto 2010 mentre con Andrea Di Donato stava tentando di aprire una via nuova sulla Farfalla e sull'inviolata parete est del Primo Pilastro del Gran Sasso
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Gran Sasso: Il Paretone, sulla sinistra la Farfalla, sopra il Primo Pilastro
arch. Pino Sabbatini
“Lunedì sono caduto in montagna, un volo impressionante senza le conseguenze che ci si aspettano da una caduta simile”. Sono queste le prime righe dell'e-mail che Roberto Iannilli ci ha scritto qualche giorno fa. Immaginativi il colpo... anche se tutto sommato l'incipit era rassicurante. Roberto è un amico. E Roberto è anche un fortissimo alpinista e un grande conoscitore del Gran Sasso dove ha aperto moltissime vie, anche in solitaria. Come ci ha raccontato lunedì 9 agosto, insieme ad Andrea Di Donato, stava cercando di aprire la via che, nel 2003, aveva già provato con il suo carissimo amico e compagno di cordata Ezio Bartolomei.

Si tratta come spiega Roberto di “una via nuova sulle 'lavagne' della Farfalla e il proseguimento sull'ancora inviolata parete est del Primo Pilastro del Gran Sasso”. “Avevamo preventivato 4 giorni di parete”... Ma in un attimo è arrivato l'incredibile volo di 25m causato da “Una leggerezza, una distrazione, contornata però da emozioni forti, che mi prendevano un po' troppo...”. Per fortuna tutto si è risolto per il meglio grazie alla competenza del suo compagno di cordata Andrea Di Donato, che è guida alpina, e a quella dei soccorritori Pino Sabbatini, Gino Perini, Agostino Cittadini, Paolo De Laurentis, tutte Guide Alpine e Tecnici Di Elisoccorso del Servizio Regionale di Elisoccorso Abruzzo 118.

Ora quel che resta è un bel po' di traumi. Non solo fisici. Il colpi infatti non sono solo quelli che si vedono. Chi ha vissuto, o ha già sentito racconti simili a questo, sa che non è mai facile parlarne. Perché, a volte, la spiegazione non è solo sull'appiglio che si è staccato. O meglio, dopo, ci si interroga su molte cose. Si cerca di tirare le fila di ciò che è successo ma anche di “uscire” da quel volo, da quella che può diventare un'ossessione. Roberto ha deciso di comunicare a tutti quello che gli è successo. Di metterlo in comune per capire e per consentire a tutti di pensare... oltre l'ossessione.


QUASI UN'OSSESSIONE di Roberto Iannilli

Quasi un'ossessione, inseguo questa via dal 2003 ed anche questa volta, quando sembrava tutto predisposto al meglio, è andata male, e poteva andare peggio. Il sabato avevamo portato parte del materiale e recuperato, con un groppo alla gola, quello lasciato con Ezio sette anni fa. Sette inverni, sette volte coperto dalla neve; il mio zaino con le nostre cose mi aspettava, pieno di radici, con il contenuto in parte intatto. Sette anni di ricordi, di occasioni mancate, di qualcosa di perduto e che non potrà mai essere sostituto.

I moschettoni di Ezio, con il caratteristico nastro colorato li ho presi (appena posso li darò ad Alba), barrette e cibo li abbiamo dispersi per gli animali del posto (un paio di barrette le abbiamo anche mangiate), recuperati i chiodi, mentre gli inutilizzabili friend e nut, completamente ossidati li abbiamo riseppelliti, come in una piccola tomba di reliquie, un puto di preghiera, uno stupa buddista.Un giorno di parziale riposo per me ed uno di altro carico per Andrea Di Donato, infaticabile e generoso, ed eravamo pronti per la nostra avventura: quattro giorni in parete per una via diretta dalla Farfalla al Primo Pilastro, da dedicare ad Ezio.

“Vai tu Robbè, io ti aiuto a tirar su il saccone.” Mi dice Andrea. Dentro di me non sono convinto, sono preso dal timore di non essere all’altezza, mi sento stanco anche se stanco non sembro, mi pare di esserlo dentro da settimane. Vado, come sono sempre andato, perché si deve, perché si può, perché dopo mi chiederei perché non sono andato che potevo.

Salgo cercando attenzione per quello che tiro, veloce per non perdere tempo, senza mettere nulla, tanto è solo quinto. La corda da settanta metri scorre bene, aggancio una sosta e proseguo. Guardo l’ancoraggio allontanarsi e capisco un errore, torno indietro per passare anche la corda del saccone, che altrimenti pendolerebbe. Riparto, forse per altri quindici metri e ragiono su dove sono, cosa ci aspetta e dico a me stesso: “Stai attento, non fare sbagli!”.

Capisco che qualcosa non va nelle mie emozioni, nonostante i chilometri di arrampicata che ha il mio motore sono troppo preso da quello che verrà, rispetto a quello che accade. Ma è troppo tardi. Mi ritrovo ribaltato all’altezza di Andrea, che pianta il secondo chiodo per assicurarmi. Qualcosa ha ceduto, appiglio o appoggio, e sono caduto. Un volo interminabile di cui non sono stato testimone. Un colpo secco ha subito tranciato un cinghietto del casco all’altezza dell’orecchio, ho perso i sensi e nel resto della caduta, il casco alzato, ha permesso alla roccia di infierire sulla mia testa.

Svenuto mi sono ritrovato appeso accanto ad Andrea, che con professionalità, come si confà ad una vera guida alpina, opera per mettermi in sicurezza senza far trapelare l’ansia che ha per le mie condizioni. Non ho dolori, anche se ho le mani deformi dal gonfiore e rosse di sangue. Il casco non mi sta in testa, cade da una parte e nel rimetterlo a posto sento le ferite sopra l’orecchio. I pantaloni stracciati dimostrano i colpi che ho preso, ma sto bene, almeno considerando come potrei stare. Sembra un attimo ed invece devo essere restato senza sensi un bel po', il tempo di calarmi, assicurarmi, chiamare il soccorso e dargli il tempo necessario per arrivare.

Eccoli, Agostino Cittadini, Gino Perini, Paolo De Laurentis e Pino Sabbatini, li vedo raccogliermi, li conosco tutti, qualcuno già mi ha “salvato” tanti anni fa. Siamo troppo vicini alla parete, occorre allontanarsi. Usiamo la fissa già messa da Andrea, poi mi spostano su un pulpito e viene richiamato l’elicottero. Con un vortice di benevolo vento furioso vengo risucchiato con il verricello, abbracciato stretto ad Agostino.

L’ossessione prosegue, non si è estinta con la caduta, questa via la voglio fare prima di non esserne più capace, per me, per Andrea, ma anche per il ricordo di Ezio, per noi due… magari sto più attento.

Roberto Iannilli

Ladispoli 14 agosto 2010
Note:
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