Alexander Odintsov - intervista dopo la vittoria del Piolet d'Or 2004

Intervista al capo delle spedizione russa che ha ricevuto, dalla Giuria internazionale, il Piolet d'Or 2004 per la prima salita diretta della parete nord dello Jannu.
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Alexander Odintsov
Alexander Odintsov

Quando, nel giro di incontri organizzato da Betta Gobbi della Grivel durante il Piolet d'Or 2004 , è arrivato il turno di Alexander Odintsov, l'impressione è stata di trovarsi di fronte ad un oggetto sconosciuto: l'alpinismo russo. Non tanto per il valore notevolissimo delle realizzazioni (come quella dello Jannu ad esempio) ma per lo spirito, le motivazioni e la "cultura" con cui i russi affrontano la montagna. Così, di comune accordo con Alexander, fin da subito abbiamo deciso di avere una conversazione diretta, senza tanti giri di parole. E' stata un'intervista per certi versi spiazzante, ma alla fine una cosa forse sarà chiara a tutti: ognuno ha i propri sogni e ognuno ha un modo proprio per raggiungerli, occorre saperli leggerli, comprenderli e rispettarli, anche se si hanno idee e si praticano scelte diverse.


La vostra è stata la prima salita di una delle pareti più difficili. Vi siete posti il problema dello stile? 10 alpinisti, 50 giorni, corde fisse... la nord dello Jannu poteva essere salita in maniera diversa?
In trent'anni di storia, 25 team di tutto il mondo hanno cercato di salire la via diretta al pilastro nord dello Jannu: non ce l'hanno fatta. E si può essere certi che erano tra i migliori al mondo. Il nostro scopo principale era salire. Per farlo dovevamo scegliere lo stile migliore tenendo conto del livello mondiale dell'alpinismo e dell'obiettivo. Dei 10 alpinisti della nostra spedizione solo 3 non si sono fatti male, 7 hanno avuto problemi. E' stata una guerra. Se fossimo stati un'armata di 5 persone, se la nostra armata fosse stata troppo piccola, avremmo perso prima ancora di riuscire ad arrivare all'ultima parte della salita, la più ripida. Se avessimo provato a salire questa parete in stile alpino avremmo dovuto vivere per un mese a 6500m. Nella nostra situazione, nella società mondiale degli alpinisti, tutti possono capire che era impossibile. C'erano due possibilità: o avere dei membri di un team estremamente forte, più forte della gente normale che arrampica, o ci si doveva muovere più veloci. Non esiste essere umano che riunisca in sé queste capacità. Non è possibile trovare un essere umano che possa vivere a settemila metri così a lungo, su una parete e delle difficoltà come quelle dello Jannu. Non è umanamente possibile

C'è stato un momento in cui avete pensato di non riuscire?
Noi abbiamo pianificato tutto per farcela, e fin dall'inizio non c'era problema che non avessimo previsto, perché avevamo tutte le informazioni di tutti quelli che prima di noi avevano cercato di salire la parete. Sapevamo tutto sulle difficoltà e le sfortune di tutte gli altri team che ci avevano preceduto. Ogni tentativo fallito aveva la sua spiegazione. In base all'analisi di queste esperienze abbiamo scelto il modo migliore per affrontare e risolvere il problema.

Avete pianificato tutto... però deve esserci un altro 'segreto'. E' stata la squadra, la volontà? Com'è successo che una squadra di 10 persone abbia potuto lavorare così intensamente, e in accordo, per raggiungere un obiettivo?
Siamo cresciuti in tempi sovietici, non siamo giovani. Noi normalmente siamo abituati a lavorare in team e lo scopo principale del team è l'obiettivo, l'uomo viene in secondo piano. Lo scopo di te stesso è in secondo piano.

Non ti nascondo che mi ha lasciato inchiodato alla sedia questa risposta.
Quando tu capisci che non ci può essere libertà in fondo anche questa è un certo tipo di libertà.

Spiegami meglio...
Se tu capisci che la libertà non è eterna. Che la libertà non può essere senza tempo e che puoi toglierti la tua libertà personale, tu diventi più libero di prima. Non pensi che le persone più libere siano i criminali? Perché loro hanno qualunque tipo di libertà, possono anche uccidere qualcuno...

Quindi il concetto è: per l'obiettivo ognuno decide ti togliersi una parte di libertà perché raggiungere quell'obiettivo dà una maggiore libertà per tutti.
Sì!

Grazie per aver affrontato il "problema" così sinceramente. Però mi piacerebbe sapere qualcosa sulla vostra gioia per aver raggiunto la cima...
Non c'è stata gioia. Perché quello che abbiamo patito di più è stata la discesa dalla cima.

D'accordo, lo capisco. Ma ti chiedevo la gioia del dopo, al campo base...
Eravamo talmente esausti che non c'è stato tempo di gioire: dovevamo andare a Kathmandu. E lungo la strada abbiamo incontrato i maoisti e ci sono stati dei problemi. Durante tutto il tempo della spedizione, e anche prima di tornare a Mosca io stesso mi sono sentito molto "chiuso", compresso nel mio cuore. Penso che ciò che abbiamo fatto l'abbiamo digerito, realizzato, solo due o tre mesi dopo… Tu sai cos'è un sogno?

Sì, posso immaginare cos'è un sogno...
La Nord dello Jannu era un sogno per tutti, per tante generazioni di alpinisti, i migliori del mondo. Questo significa che anche per noi questo sogno è stato raggiunto. E ora? Cosa succede alle persone raggiungono il loro sogno? Sono scontente. Che cosa si farà dopo?

Dopo questa risposta mi vien da pensare che se storicamente provenite da un'educazione sovietica, d'altra parte siete anche figli di quell'anima russa trasmessa dalla grande letteratura russa...
La mentalità sovietica e la cultura russa sono in contrasto tra loro… Ma certo quello che dici è vero.

Un'ultima domanda: gli alpinisti russi sono forse tra i pochi che riescono ancora a soffrire e quindi a raggiungere grandi mete?
No, tutti gli alpinisti sono pronti a soffrire, qualunque sia la loro nazionalità. La differenza tra i russi e il resto del mondo è che noi siamo più organizzati. Per esempio, immaginati un team con Huber, House, Humar e così via, sarebbe una squadra eccellente ma ciascuno di loro non è pronto a rinunciare a qualcosa della propria personalità.


Note: PIOLET D'OR 2004 PREMIO DELLA GIURIA
Alexander Odintsov
(capo spedizione)
Alpinisti: Alexander Ruchkin, Serguey Borissov, Michka Mikhailov, Guecha Kirievski, Mikhail Perchin, Kolia Totmianin, Alexei Bolotov, Euvgeni Prilepa, Dimitri Pavlenko (Russia), per la loro prima salita di una via diretta della parete nord dello Jannu 7710m, Nepal.

JANNU, 7710m, Nepal
Diretta russa, prima via diretta alla parete nord
Sviluppo: 3000 m.
Engagement: VI, roccia 6c, ghiaccio 80°, misto M6, artificiale A3+.
Durata spezione: 55 giorni sul posto.
Tempo salita e discesa: 50 giorni sulla via.
Stile: Corde fisse, stile capsula nel muro sommitale

Altre interviste protagonisti Piolet d'Or 2004
- Steve House

Nuova via e cima per Jannu North Face
INTERVISTE PLANETMOUNTAIN
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