Andrea Polo ripete Team Vision, la king line della Scogliera di Pal Piccolo

Il racconto di Andrea Polo che il 21/12/2016 nella bellissima falesia della Scogliera al Monte Pal Piccolo (Alpi Carniche) ha ripetuto Team Vision 8c/c+, la via d'arrampicata sportiva liberata nel 2015 da Adam Ondra.
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Andrea Polo ripete Team Vision 8c/c+ alla Scogliera di Pal Piccolo
Enrico Mosetti

Ogni via salita ha la sua storia, un percorso più o meno lungo a tappe che evolve dallo stato di incertezza iniziale al successo finale. Team Vision è una super linea di 50m in Scogliera, la falesia più grande dell’area Pal Piccolo - Passo di Monte Croce Carnico. Attrezzata da Aberto Dal Maso - ADM - nel settembre 2015 poco prima e per il meeting di arrampicata Find Your Way, è nata armoniosamente dall’intuizione, dal lavoro e dalla performance di un gruppo di amici.

Lo scopo del meeting è anche quello di attrezzare qualche via nuova, e al nostro arrivo sotto la parete armati di trapani e materiale, troviamo una bella corda penzolante proprio nella zona che avevo pensato di esplorare e eventualmente valorizzare. La parete è talmente bella che in breve individuiamo due linee, ADM si occuperà della super colata nera sulla verticale della corda fissa mentre io mi sposterò più a sinistra su quella che poi diventerà il bellissimo 8c di Find Your Way. In fase di chiodatura ADM è un po’ perplesso sulla fattibilità della sua creatura, io invece sono convinto che la linea sia scalabile e gli raccomando di fare un bel lavoro. I cantieri ci impegnano per gran parte della giornata e alla fine siamo entrambi soddisfatti del lavoro, le vie sono pronte per essere provate. Alberto ha chiodato benissimo e l’indomani Adam Ondra sale la via al secondo tentativo definendola una "king line", è nata la Team Vision.

Dopo la salita di Find Your Way e di Bella Senza Nome ho spostato la mia attenzione su Team Vision, pur sapendo che sarebbe stata dura e probabilmente impossibile per me. La via si compone di una prima parte di 7b lunga circa 20m, poi una sezione dura di 10 movimenti fa lievitare il grado a circa 8b, a cui segue una parte di resistenza di una quindicina di metri fino a un buon riposo prima del difficile e psicologico strapiombo finale.

Ci sono voluti un po’ di tentativi per risolvere e affinare le sequenze ma poco a poco il puzzle prendeva forma e l’incertezza iniziale stava gradualmente evolvendo in barlume di speranza. Il difficile tratto iniziale e l’uscita rimanevano una grande incognita, facevo la sequenza ma in continuità non riuscivo a passare il blocco iniziale e cadevo in uscita con gli avambracci belli gonfi.

Risolutiva è stata una foto che ritrae il buon Adam Ondra in azione durante la libera del tiro. Sono riuscito ad avere questi scatti solo a novembre, dopo un anno ce n’eravamo quasi dimenticati, ma quasi per magia sono comparsi al momento giusto. Pochi giorni dopo ritorno in Pal Piccolo curioso di verificare il possibile nuovo metodo. Faccio il primo giro con il vecchio sistema ma cado ancora alla fine della sequenza, così non può andare. Provo subito il nuovo metodo, la sequenza di Adam. Un piccolo dettaglio, un movimento in più sfruttando una microtacca che permette di alzare il baricentro e sfruttare meglio l’appiglio successivo. La sequenza entra al primo colpo e sembra decisamente meglio rispetto a come provavo prima. Sono fiducioso.

Dopo un buon riposo parto per il secondo giro della giornata, arrivo sul passo, strizzo per bene le piccole prese e finalmente afferro la buona presa di fine sequenza. Respiro, decontraggo, mi calmo un po’ e riparto deciso. Tra uno sbuffo e l’altro arrivo al buon riposo prima dell’uscita. Ho gli avambracci stanchi, la testa che "fuma" e mi devo impegnare tantissimo per riprendere il controllo e considerarmi pronto a proseguire. Con un po’ di pazienza ci riesco e, raccogliendo le ultime energie rimaste parto per l’uscita.

Ogni movimento è lungo, sono sempre molto steso, gli appoggi sono precari, gli appigli vanno caricati in maniera precisa ed è necessario un grande controllo del corpo per non sbilanciarsi e cadere. Due spit e dieci movimenti mi separano dal successo, domino i primi cinque, vacillo al sesto e cado al settimo entrando e uscendo con le dita dalla presa buona, l’appiglio della vittoria. I tre movimenti finali infatti non sono difficili. Non mi arrabbio nemmeno, ho dato il massimo, sono contento e ora ho la certezza di poterla salire.

Lo stesso giorno provo un terzo giro e cado nuovamente in uscita anche se un paio di prese più in basso rispetto al tentativo precedente. Il bilancio della giornata è più che positivo e, pur sapendo di aver perso una buonissima occasione, sono convinto che la salita non può essere lontana. Non sarà proprio così…

Il tempo peggiora, nevica poi piove e inizio a temere che il rigore dell’inverno costringa a rimandare tutto alla prossima primavera. Dopo una decina di giorni il tempo migliora e sembra che l’alta pressione durerà. Il vento e l’esposizione a sud favoriscono l’asciugatura della parete e dopo appena un giorno di bel tempo ritorno sulla via. Siamo a metà novembre ormai e seppur favorendo dell’inversione termica che garantisce temperature più miti in quota che nei fondovalle, il cielo dev’essere sgombro da nubi altrimenti è troppo freddo per arrampicare. Un paio di volte infatti ci siamo dovuti ritirare per il freddo e cambiare falesia.

Riesco a fare dei buoni giri, cado 3-4 volte in cima al tiro su un movimento particolarmente ostico e precario, un paio di volte cado nel tratto di resistenza prima del riposo finale causa sgommate di piedi o stanchezza. Ammetto che pensavo di chiudere i conti più agevolmente, inizio a patire mentalmente la lunghezza del tiro e continuare a cadere al quarantacinquesimo metro è molto stressante.

Il tempo peggiora nuovamente e ritorno sul pezzo a dicembre. Sembra impossibile ma le condizioni meteo sono fin troppo buone, atmosfera secchissima, sole e venticello sarebbero il top per arrampicare. Su questa via per me non è così, infatti la pelle troppo secca scivola sulle prese e arrampicare in queste condizioni richiede la massima attenzione e precisione per non scivolare dai minuscoli e sfuggenti appigli. Cado sempre in cima perchè sul passo chiave non riesco a "sentire" bene gli appigli, scivolano e spreco troppe energie per rimanere attaccato alla roccia.

Settimana di Natale, ormai psicologicamente sono cotto dopo essere caduto troppe volte sull’uscita del tiro ma non mi arrendo e mi ostino a provare ancora. Agli occhi di molti sembra follia ma io ci sono dentro fino al collo in questo vortice di passione, emozioni e attrazione per questo pezzo di roccia. Voglio chiudere i conti.

Il 21 dicembre salgo in Scogliera assieme ad Alberto e Andrea, giornata super e sembra un po’ più caldo rispetto alle volte precedenti, ciò è decisamente positivo. Durante il riscaldamento le sensazioni sono buone, cerco di rilassarmi e restare calmo, riposo un’oretta poi è il mio turno.

Salgo la prima parte, breve riposo, passo il blocco duro, continuo a respirare, decontraggo e riparto veloce. Altro riposino, passo anche la difficile e precaria sezione successiva, altra piccola decontrazione poi stringo i denti sui difficili movimenti successivi e arrivo al buon riposo prima della parte finale. Mi sento stanco ma sembra un po’ meno rispetto la volta prima, respiro, scrollo le braccia, mi tranquillizzo e cerco di proiettare sull’uscita tutte le rimanenti energie psicomotorie.

Alberto mi assicura con attenzione, grido "vado" e parto. Entro nella sequenza, eseguo tutto alla perfezione, stringo a dovere la malefica tacchetta spallata di sinistro, mi rannicchio, carico di destro l’orribile appoggio e lancio alla presa obliqua di mano destra. Automaticamente la tensione muscolare blocca la sbandierata e resto su. Muovere i piedi in questa situazione richiede grande sforzo e attenzione, continuo a respirare, blocco ben bene di braccio destro e li alzo. Intermedio di sinistra e poi afferro la strana tacca svasa da stringere con il pollice, altro difficile e cruciale posizionamento di piedi e grande allungo alla presa buona da afferrare con precisione. Temevo molto questo passaggio perchè mi aveva già respinto una volta e l’ansia da prestazione avrebbe potuto annebbiarmi la mente.

Mi sento bene, ho ancora energie, eseguo tutto perfettamente, mi allungo al massimo e afferro la presa, alzo i piedi, respiro, non ci credo, quasi strappo dalla parete le ultime tre prese, passo la corda in catena e urlo di gioia. Ho salito Team Vision, una king line, ho vinto i demoni del fallimento e sono davvero felice!

Mi faccio calare, levo i rinvii e cancello con lo spazzolino tutti i segni della mia battaglia riportando la parete al selvaggio e incognito splendore iniziale. A terra gli amici mi abbracciano e sembrano felici quanto me, del resto abbiamo condiviso tutto il percorso, è bello chiuderlo insieme e poi forse erano anche un po’ stanchi di farmi sicura.

Il sole è ancora alto nel cielo, la meritata birra può aspettare e arrampichiamo fino al tramonto.Salgo anche il bellissimo 8a di Mumbo Jumbo fallendo per un soffio la salita dell’allungamento di 8b, super giornata. Per un po’ non arrampicherò in Pal Piccolo, ci vuole una pausa ma non vedo l’ora di mettere le mani sulla super linea della Ics, altra via dura liberata da Adam che attende ancora la prima ripetizione.

Salire Team Vision è stato per me molto importante, un percorso duro e lungo per i miei standard, mi sono spinto al limite, ho dato il massimo, mi sono innamorato della linea e con costante dedizione sono riuscito a salire una tra le più belle vie della mia vita. Grazie ADM per aver chiodato bene e grazie Adam per il bel regalo della prima libera.

Nelle mie salite l’interesse che ripongo nel grado è di gran lunga minore rispetto ad altre ben più nobili e importanti motivazioni. La bellezza della linea, la qualità della roccia e della scalata, l’impegno globale necessario, la location e infine ma non meno importante, la buona qualità della chiodatura (posizione e adeguata distanza tra le protezioni) contribuisce ad accrescere la bellezza di una via rispetto ad un altra.

Team Vision è stata liberata da Adam al secondo tentativo dopo un primo giro perlustrativo per pulire gli appigli e studiare le sequenze. Il secondo giro è stata una passeggiata di salute, almeno così è sembrato a noi spettatori. Salire una via su quella inclinazione e tipologia di prese è per lui pura formalità, non gli serve tanto studio, è fisicamente al di sopra di queste difficoltà. Sulla base di queste considerazioni può capitare che non sempre esegua le sequenze nel modo più economico in termini di dispendio energetico. E’ un fatto normale che sicuramente sarà capitato alcune volte a climber impegnati con le prime libere di tiri appena chiodati. Propone il grado di 8c+.

Mentre provavo la via, spontaneamente e inevitabilmente ho iniziato a ragionare sulla gradazione. Purtroppo non ho ricordi dettagliati del tentativo vittorioso di Adam ma per alcune sezioni le foto scattate da ADM mi hanno aiutato a fare le dovute considerazioni. Nella prima parte eseguiamo le stesse sequenza, nella parte centrale più o meno anche mentre sull’uscita ho trovato una sequenza diversa, più diretta, meno precaria di quella eseguita da Adam e testimoniata dagli scatti in mio possesso.

Basandomi sulla mia esperienza di vie ripetute e liberate, dei vari viaggi arrampicata nei posti di riferimento mondiali dove ho provato anche vie più dure di Team, penso di possedere sufficiente esperienza e onestà morale per valutare ponderatamente la questione grado. Sulla base di quanto sopra citato ho proposto un piccolo ritocco della gradazione verso il basso passando a 8c/c+ sempre e comunque in attesa di ulteriori ripetitori.

Scrivo in merito a ciò perchè ho ricevuto svariate battute più o meno ironiche sul fatto che ho "sgradato" una via a Ondra e mi son giunte voci di gente che ritiene la mia proposta di ritocco del grado un sintomo di arroganza. La cosa che mi dispiace maggiormente è che pochi mi hanno chiesto della bellezza della via o di come ho vissuto la salita, la maggior parte si è limitata al grado.

Alla base di tutto penso ci sia un briciolo di invidia altrimenti non capirei l’atteggiamento. Io arrampico per me stesso, ne ho bisogno e sono felice quando lo faccio. Cerco di essere obbiettivo in merito a quello che faccio, non voglio mentire a me stesso ingrandendo prestazioni delle quali conosco il valore e non voglio spacciare agli altri, agli sponsor e ai media una prestazione più grande di quello che in realtà è. Questa a casa mia è umiltà, l’arroganza la lascio a chi giudica spesso in modo non consapevole e senza esperienza.

Impariamo ad amare la roccia e a rispettarla, a godere del gesto atletico e della bellezza dei movimenti lasciando in secondo piano i gradi, le invidie, le stupide competizioni in falesia e i giudizi a cuor leggero, vivremo meglio la nostra passione e la condivisione sarà più piacevole.

Buone arrampicate a tutti, ci vediamo in parete!

di Andrea Polo

Andrea ringrazia: E9

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