Scarason e la prima solitaria in libera di Massimo Rocca

Il 28/09/2012 Massimo Rocca ha realizzato la prima solitaria in libera della Via Gogna-Armando allo Scarason (Alpi Liguri). Il video-intervista di Angelo Siri e il report della salita.
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La parete NE dello Scarason
archivio Fulvio Scotto
“È stata un’avventura grandiosa, incredibile. Ci vogliono tanta delicatezza e tecnica per caricare appigli e appoggi nel verso giusto, ed evitare che si stacchino, zolle erbose comprese. L’attenzione deve restare totale dal primo all’ultimo metro. Più di tredici ore per sette tiri totali tutti in libera e, numeri a parte, la cosa più allucinante che abbia mai fatto!”. Così Massimo Rocca descrive la sua solitaria dello scorso settembre sulla via aperta, in 6 giorni nel 1967, da Alessandro Gogna e Paolo Armando sulla Nord Est dello Scarason. Per i meno informati, diciamo subito che si tratta di una montagna, di una via e, soprattutto, di una parete che rappresentano una sorta di mito alpinistico per le Alpi del Sud. Tanto da essere considerata uno di quegli “ultimi” problemi” che hanno tenuto in scacco e appassionato gli alpinisti degli anni '60, ma non solo. E' su questi 400 metri, strapiombanti, non sempre di roccia solida (anzi) e con attrezzatura tradizionali (leggi chiodi e protezioni veloci) che Massimo Rocca ha realizzato la sua solitaria, la prima tutta in libera. Ed è ancora a questa montagna, così appartata, forse anche poco conosciuta ai più, che Fulvio Scotto ha dedicato il suo ultimo libro intitolato (appunto) Scarason (ed. Versante Sud). Un volume che, con la storia e i fatti, racconta il mito di una parete che ha attratto gli alpinisti come una chimera. E che chimera! Visto che, dopo quella bella e storica prima salita di Gogna e Armando, ci sono voluti ben 11 anni per la prima ripetizione ad opera, non casualmente, di una gran cordata come quella di Gianni Comino e Celso Rio. Poi, nel 1981, dopo altri 3 anni, ecco la splendida seconda ripetizione, nonché prima invernale e prima solitaria, da parte di un autentico campione come Marco Bernardi. Più avanti ancora, e solo nel 1999, con la nona salita arriva anche la prima libera di Stéphane Benoist e Laure Baretge. Intanto, nel 1987 a vent'anni dalla prima, era stata aperta la Diretta, la seconda via della parete. Ne furono protagonisti Sergio Calvi, Andrea Parodi e quello stesso Fulvio Scotto autore di “Scarason” e autore, insieme a Guido Ghigo, anche della 3a ripetizione e prima salita in giornata della Gogna-Armando. Ci sarebbe da aggiungere che nell' “albo d'oro” dello Scarason figurano oltre ai già citati, altri alpinisti di chiara fama come Patrick Gabarrou, Philippe Magnin, Patrick Bérhault. Oppure, ci si potrebbe chiedere come mai in 45 anni questa parete abbia avuto così poche salite e ripetizioni. Ma, appunto, forse tutto sta nel mito e nella natura difficile e selvaggia di quei strapiombi di calcare (per la verità non ottimo). E, molto, se non tutto, si può intuire leggendo l'appassionante libro di Scotto. Oppure tutto sta nell'azione... per questo vi lasciamo al report di Massimo Rocca e al bel video-intervista di Angelo Siri.



SCARASON, IN SOLITARIA SULLA GOGNA-ARMANDO di Massimo Rocca

Ciò che mi ispirava era l’idea dello Scarason, e di andare a provare la Armando-Gogna in solitaria. Sapevo di avere del margine per la difficoltà pura, ma mi preoccupava il fatto di dover predisporre soste a prova di bomba sia per calarmi a recuperare il materiale che per ripartire sul tiro successivo. Dopo un po’ di ripensamenti decido di provare ma quel giorno mi sveglio tardi, allora nel pomeriggio salgo fino all’attacco per lasciare dell’acqua e dei chiodi e ne approfitto per ambientarmi un po’ all’incombenza della parete.

Finalmente il 28 settembre mi decido, arrivo all’attacco un po’ tardi, c’è una bella nebbia e la parete è abbastanza colata a causa di un temporale esagerato di due sere prima. Anche le previsioni non sono un granchè: pioggia debole in serata e diluvio l’indomani, ma alla fine parto, convinto di poter essere rapido. L’inizio è incoraggiante, in un tiro faccio il diedro iniziale, l’inquietante traverso marcio e la successiva lunghezza su roccia sana. Una cosa bella delle solitarie è che finché hai corda puoi andare: l’attrito non da problemi, anzi spesso torna utile. Scendo a recuperare lo zaino e, mentre risalgo sulla corda, un piccolo inconveniente mi dà la sveglia: una fettuccia vecchia su un chiodo cede quando sto per recuperare il rinvio; così parto per un pendolo violento di almeno 15 metri nel vuoto, quando tutto si ferma vedo che la corda non ha patito e riprendo la salita.

Riparto nel diedro con il passo di 6c, intenso ma ben protetto, e continuo senza sosta sul tiro del cespuglio che mi impegna parecchio perché l’uscita del breve camino finale è completamente bagnata e bisogna spalmare un po’ i piedi. La cosa che mi impressiona di più è l’assoluta verticalità della parete nonostante la difficoltà pura contenuta, sembra di essere su una Nord delle Tre Cime. Il successivo tiro sinuoso mi porta alla famosa grotta del bivacco, fin qui tutto bene ma mi rendo conto che su questa parete i tempi si dilatano in modo esagerato: sono lentissimo. In salita controllo la solidità di appigli e appoggi prima di caricarli, mi calo piano per non sollecitare le soste, buone ma pur sempre su chiodi datati, non faccio quasi frazionamenti perché non mi fido troppo dei chiodi singoli, così anche in fase di risalita mi muovo con delicatezza per non molleggiare sulla corda che potrebbe danneggiarsi su qualche spigolo.

Arriva il momento critico: non so come sia la sosta prima della placca improteggibile e anche fosse buona non penso che sarebbe bello caderci sopra direttamente dal passo di 6b previsto. Decido di provare a fare un tiro unico dalla grotta all’imbocco della canna fumaria sperando che la corda basti. La nebbia si è diradata e resta giusto sotto di me, sembra di scalare sul mare… Dopo il diedro erboso piazzo un rinvio con fettuccia sulla punta del pilastrino, che come sosta di partenza in solitaria non sarebbe servito a niente. Parto sul muro a tacche: un po’ di brivido ma in fondo questo è il mio genere preferito e tutto va liscio. Segue un tratto tranquillo e poi il fessurone marcio, davvero marcio, un’altra sezione super emozionante! E finalmente la sosta dopo 70 metri giusti, la corda è bastata al pelo.

Non mi rilasso tanto e metto la frontale in testa, che i minuti di luce sono contati. La canna fumaria è un’incredibile soluzione naturale ad una fascia strapiombante, è anche l’unico tratto tranquillo su roccia stranamente pulita e di qualità ottima. Con un tiro di 70 metri la unisco al successivo diedro molto bello e su roccia abbastanza buona, a metà accendo la frontale perché si è fatto buio, ha anche iniziato a piovere. Faccio la sosta con due friend e riesco a orientarla prima in basso e poi in alto per ripartire sul tiro successivo che con un corto strapiombo ed una rampa erbosa mi porta fin oltre il pino mugo contorto. Anche qui due friend per rinforzare un chiodo di sosta. In fondo la pioggia non dà tanto fastidio perché i tratti più impegnativi sono strapiombanti o coperti da strapiombi. Riparto su un diedrino intenso ma bello, lo unisco al camino finale in un tiro di 65 metri e finalmente sono fuori! Quasi non ci credo!

So che mio fratello Marco è venuto ad aspettarmi in cima anche se ho tentato di dissuaderlo con un sms quando ho capito che non sarei uscito tanto presto, poi non siamo più riusciti a comunicare. Gli faccio un fischio per tranquillizzarlo e mi ricaccio nell’abisso, aspetterà ancora un’ora che io recuperi il materiale e risalga per uscire finalmente quasi a mezzanotte. La presenza di mio fratello nei dintorni per me è stata molto importante, anche se questa volta non era con me sulla via. Poi quando abbiamo iniziato a scendere, dopo un momento in cui si è pure vista la luna quasi piena, è arrivata la nebbia fitta e ha ricominciato a piovere forte, non so se da solo avrei trovato il sentiero del Passo del Duca…

di Massimo Rocca


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