Eppure Siamo Andati, nuova via sul Corno Grande del Gran Sasso di Fay Manners e Marco Malcangi

Giovedì 4 settembre ci siamo diretti a Prati di Tivo, in Abruzzo, un tranquillo villaggio montano incastonato sotto le aspre vette calcaree del massiccio del Gran Sasso. A soli 150 km dalla capitale, il massiccio sembra un mondo a parte. Nell'ultimo anno avevo letto del potenziale della zona per lo sci ripido, ma più recentemente la mia attenzione si era spostata sull'arrampicata, in particolare sulle impressionanti pareti intorno al Corno Grande, la vetta più alta degli Appennini.
Sfogliando vecchie guide e riviste, ero incuriosita dalla varietà del terreno: placche calcaree con buchi, creste selvagge, canaloni e vie ferrate storiche. Tra queste, il Paretone e la parete est del Corno Grande spiccavano come grandi obiettivi alpinistici, che ricordano per carattere (sebbene non per dimensioni) le Dolomiti.
Marco aveva una settimana libera e io stavo appena tornando da un infortunio alla caviglia di 7 settimane - non completamente guarita, ma sufficientemente a posto per inseguire un'avventura. Entrambi avevamo la stessa idea: esplorare una zona che avevamo sognato ma mai visitato prima.
Siamo saliti al Rifugio Franchetti e abbiamo passato il pomeriggio ad esplorare le montagne con il binocolo, osservando le pareti alla ricerca di possibili linee. Il canalone nord della Jannetta - una linea che entrambi sogniamo di sciare in inverno - ha attirato la nostra attenzione, ma siamo stati attratti soprattutto dalla parete della Vetta Orientale del Corno Grande, in particolare da una serie di pilastri sul Quarto Pilastro.
Nonostante la popolarità della montagna, abbiamo individuato quella che sembrava essere una linea non ancora salita: un sistema di diedri puliti e diretti che si innalzano nella parte centrale del pilastro. L'accesso sembrava un po' complesso, ripido e frammentato, ma la linea stessa era chiara. Esteticamente, era evidente. Abbiamo verificato nuovamente le guide e parlato con i local, e per quanto abbiamo potuto confermare, non era ancora stata salita.
Abbiamo lasciato il rifugio la mattina presto del giorno dopo, selezionando con cura il materiale. Arrampicare sul Gran Sasso ha una forte etica di chiodatura minima e stile alpino. La maggior parte delle vie utilizza una mix di protezione tradizionale, chiodi e qualche spit, dove assolutamente necessario. Da britannica, questo stile mi risuona profondamente, ed ero pronta a lasciare il trapano a casa. Tuttavia, dopo aver ispezionato la parete, ho deciso di portarlo; non per rendere la salita più facile, ma per garantire che la linea fosse ripetibile in sicurezza.
In totale, abbiamo lasciato cinque spit sulla nostra linea di 200 metri. Uno sul primo tiro per prevenire una caduta a terra e segnare l'inizio della via. Un secondo per proteggere un traverso altrimenti non proteggibile, evitando un tetto bagnato e friabile. Due per la sosta in cima al primo tiro, dove le altre protezioni erano inaffidabili. Ed uno in alto sull'ultimo tiro, per proteggere una sezione pericolosa e friabile di camino.
Tutte le altre protezioni erano tradizionali: un mix di friend, nut e clessidre. Abbiamo usato attrezzatura trad per le soste ovunque fosse possibile, comprese quasi tutti gli ancoraggi.
I primi 4 tiri erano di alta qualità, con fessure ben proteggibili ma con movimenti impegnativi e tecnici tra una protezione e l'altra. La nostra avventura per salire questa linea è valsa lo sforzo poiché il quarto tiro è stato il migliore; lungo e relativamente pulito, con movimenti magnifici lungo un diedro che si faceva sempre più ripido.
La sezione superiore della montagna ha rapidamente rivelato la sua vera natura: friabile e su roccia inaffidabile. Questo ha confermato ciò che in molti ci avevano avvertito, ed è esattamente il motivo per cui abbiamo scelto il nome Eppure Siamo Andati. Nonostante tutti i consigli, li abbiamo ignorati e c'abbiamo provato. Inizialmente, speravamo di continuare la nostra nuova linea fino in cima, ma quando siamo arrivati sulla parete superiore era chiaro che ogni opzione era pericolosa. La storica cresta Mario - Caruso offriva l'uscita più logica e leggermente più sicura, quindi l'abbiamo seguita fino in vetta.
Siamo arrivati in vetta sotto una luna piena, esausti ma soddisfatti. Gli ultimi metri hanno richiesto più tempo del previsto, appesantiti dagli zaini carichi e dalla fatica della giornata. Poco dopo mezzanotte siamo tornati al Rifugio Franchetti stanchi, indolenziti, ma con la quieta soddisfazione di aver tracciato una audace nuova linea sul Corno Grande.
- Fay Manners, Chamonix