Nuove vie in Groenlandia di Ben Kent e Robbie Milne
"In bocca al lupo per le future imprese! Ma non contare che vadano lisce come questa!" - Ci abbiamo rimuginato sopra, un po' divertiti, mentre atterravamo nel piccolo villaggio di Maniitsoq. Era un commento lasciato su un breve resoconto che avevo scritto sull'ultimo viaggio di esplorazione in Groenlandia nel 2024. Ora, quasi esattamente un anno dopo il giorno in cui eravamo arrivati in barca nel villaggio della Groenlandia occidentale, eravamo appena tornati in aereo per un'altra dose di paesaggi selvaggi e migliaia di miglia di granito incontaminato.
Sebbene l'ultimo viaggio avesse richiesto settimane di navigazione per raggiungere Maniitsoq, il viaggio di quest'anno, anche se molto più efficiente, non era stato poi così semplice. Tre giorni noiosi bloccati dalla nebbia nella piuttosto desolata capitale Nuuk ci avevano fatto morire dalla voglia di iniziare. Ciò nonostante, questo contrattempo ci aveva dato la possibilità di fare una doccia e mangiare un pasto caldo in un hotel pagato dalla compagnia aerea. Un punto su cui sia io che il mio compagno di spedizione Robbie eravamo d'accordo fosse un grande successo, visto che avevamo passato i due giorni precedenti a bivaccare tra la ghiaia con i nostri haulbag ad aspettare i voli di collegamento.
Quest'anno avremmo scambiato le pareti della costa, facilmente accessibili, con ghiacciai e grandi montagne entroterra. Più materiale, più complicazioni, più sofferenza... equivalevano a più divertimento? Il nostro improbabile team era composto da me, un arrampicatore ventiseienne del Lake District in Inghilterra, e Robbie Milne, un ventiduenne istruttore di sci francese. La nostra destinazione era uno screenshot sfocato di un'ombra minacciosa, una sorta di vetta alla fine di un enorme lago glaciale, preso da Google Maps... Non molto su cui lavorare... ma sembrava un obiettivo potenzialmente interessante.
Le informazioni, oltre ai fugaci scorci di vedute in lontananza del viaggio precedente, consistevano in tre foto scattate da una coppia tedesca che aveva fatto trekking attraverso il fiordo 10 anni prima, e un resoconto di uno dei pochi team che aveva visitato la zona: una spedizione dell'esercito britannico del 1967 che aveva fatto qualche salita lì. Sebbene non fossero lì per salire le grandi pareti di granito, alcune delle loro parole che descrivevano una delle uscite più avventurose aveva acceso la nostra immaginazione. Una frase in particolare: "Il secondo di cordata fece parlare gli esperti per giorni: 1500 piedi di diedro, sormontati da una masso incastrato grande come un cottage, enormi placche e tiri di V grado, quasi fino alla cresta sommitale finale".
La nostra arma segreta era l’amico Salik, un vero local, un pescatore con il proprio peschereccio, un ragazzo conosciuto da tutti. Nato e cresciuto a Maniitsoq, conosceva i fiordi meglio di quanto tu conosca i banchi del supermercato sotto casa. Ovunque andassimo, raccontava storie su chi possedeva ogni isolotto, a chi piaceva pescare lì, e storie tramandate da suo padre. Non solo aveva una barca (qualcosa di essenziale per viaggiare in Groenlandia), ma aveva anche una canoa che aveva gentilmente accettato di prestarci per la spedizione. L'anno scorso avevamo passato una settimana ad aiutare lui e la sua ragazza a costruire un lodge sulla costa, che sperava un giorno di trasformare in un'attività turistica. La pesca con il peschereccio è un lavoro da giovani, dice. La Groenlandia è uno di quei posti dove passi qualche giorno con qualcuno che incontri per puro caso, poi finisci per conoscerlo per il resto della vita.
Salik è venuto a prenderci sulla pista dopo un breve volo di 30 minuti da Nuuk, in una giornata fredda e limpida di fine giugno. Abbiamo aspettato un po' i nostri bagagli, non per il traffico (c'erano solo sei persone sul nostro volo), ma più che altro perché ogni membro dello staff, ogni passeggero e persino il pilota, dovevano salutare Salik prima che si potesse fare qualsiasi cosa. Città piccola, personaggi grandi.
Una veloce spesa nel negozio di alimentari "Pissifik", la consueta visita al ferramenta per Salik, ed eravamo pronti a partire. Avevamo disidratato la maggior parte dei nostri pasti, ma necessità come cioccolato, scatolette di sgombro e fiocchi d'avena abbiamo comprato in Groenlandia. L'antico dilemma tra “più cibo e più peso da portare” o “meno cibo e stomaci brontolanti” era all’ordine del giorno. I 45 km di viaggio lungo il fiordo fino alla fine del lago sarebbero durati poco più di un'ora e mezza alla velocità folle di Salik in barca. Non proprio una sofferenza quando il paesaggio era come quello di un documentario che potresti vedere in TV, e le balene emergevano ogni 400 metri. A circa metà strada, abbiamo fatto una breve sosta per prendere la canoa. "Presa" in stile Groenlandia: una veloce camminata di 20 minuti in salita tra massi fino ad un lago dove era stata nascosta, seguita da una missione di ben più di 20 minuti per tornare al mare con essa in equilibrio sulle nostre teste.
Salik ci ha lasciato alla testata del fiordo di Ikamiut con la promessa che sarebbe ritornato lì tra tre settimane, purché "il vento non fosse troppo forte", e si è allontanato navigando verso il tramonto. Il tempo era buono, noi dovevamo attraversare un lago, allestire un campo base e lui doveva costruire il tetto. In Groenlandia dicono che ci sono due stagioni: quella invernale e la stagione delle costruzioni. Il suo commento d'addio, in puro stile Salik, è stato: "Ah, a proposito, non sono troppo sicuro se il lago che intendete risalire in canoa sia ancora ghiacciato".
Il primo tratto a piedi è stato un po' preoccupante, ma per fortuna il lago si era scongelato e presto stavamo già trasportando i circa 120 chilogrammi di cibo e materiale che avevamo fino al lago. La vista era piuttosto speciale. Non capita spesso di trasportare in spalla una canoa mentre si guardano enormi seracchi pendenti creparsi e valangare giù per una parete alta un miglio.
Sul lago non c'era un alito di vento per la pagaiata. Un fatto che entrambi commentammo essere un'enorme botta di fortuna, considerando la nostra canoa sovraccarica e un lago gelido, alimentato direttamente da un ghiacciaio pendente sulla sua sponda meridionale. Eravamo senza giubbotti di salvataggio o qualsiasi forma di galleggiante, quindi le probabilità di sopravvivenza in caso di capovolgimento durante la nostra pagaiata di 4 km non sarebbero state molto alte probabilmente. Sebbene avessimo originariamente pianificato di stare il più possibile vicino alla riva, la corrente discensionale dai ghiacciai ci spingeva rapidamente per oltre mezzo miglio verso il centro del lago. Il selvaggio isolamento della nostra situazione iniziava a farsi sentire. Niente disastri qui, ragazzi, perché nessuno verrà a prenderci.
Il campo base, almeno, era ovvio. L'unica area pianeggiante per chilometri era una grande lingua di vecchia morena, erosa negli anni in un fondo sabbioso tappezzato di muschio e salice nano. Piatto come una crêpe e a drenaggio rapido. All'improvviso la decisione di portare così tanto cibo aveva senso, mentre piantavamo le nostre tende a 10 metri dalla canoa. Grandi!
Erano le 20:00 quando avevamo finito di montare il campo e iniziavamo a preparare un pasto veloce. Forse per l'arroganza della gioventù, l'adrenalina di essere in montagna dopo mesi di pianificazione, o una combinazione di entrambi, ma la sveglia presto alle 6 del mattino per il volo da Nuuk veniva rapidamente dimenticata.
Sapendo dalle previsioni di Salik, che avevamo altre 24 ore di bel tempo prima che arrivasse una tempesta, abbiamo deciso che una rapida missione di ricognizione per andare a osservare la nostra vetta non poteva far male. In alta montagna il tempo cambia in fretta e per esperienza, quando c'è una finestra di bel tempo, bisogna approfittarne. Abbiamo deciso che un approccio rapido e leggero sarebbe stato la cosa migliore: pochi nut e friend, una piccozza a testa, un pacchetto di albicocche secche, due scatolette di pesce, un po' di formaggio e del pane di segale. Dagli screenshot di Google Maps sapevamo che la vetta doveva essere a circa 3 km su per la valle. Avevamo trovato le immagini satellitari preziose nella pianificazione; era un vantaggio molto gradito del moderno mondo dell'alpinismo. Detto questo, sebbene accurate vicino alla costa, le mappe nell'entroterra, specialmente in zone non salite, erano prive di dettagli. Senza di esse, saremmo stati in gran parte all'oscuro di ciò che avremmo potuto incontrare.
Dopo circa un'ora di faticosa e poco agevole salita attraverso la morena, avevamo raggiunto il ghiacciaio molto più solido e presto avremmo fatto strada verso la base di un'enorme parete rotta e friabile. Alla sua destra c'era il canalone di accesso che credevamo portasse alla vetta. Dallo scrutinio delle mappe satellitari, avevamo sperato di salire la parete est fino in vetta, ma rapidamente era diventato ovvio che questo non sarebbe stato possibile. Sembrava bagnata, ripida e faceva molta paura. Era solo giugno e, sebbene il sole fosse in cielo 24 ore su 24, gran parte delle placche superiori erano ancora ricoperte di neve. La temperatura dell'aria era poco sopra lo zero. Per fortuna, un ripido canalone innevato sormontato da enormi masso incastrato sembrava percorribile. Speravamo così di raggiungere un colle, da cui la cresta nord sembrava poter essere salita in modo abbastanza agevole.
L'aria ha una incredibile trasparenza in Groenlandia. Ci sono pochi punti di riferimento con cui giudicare dimensioni o distanze ed è quindi sempre molto difficile cogliere la scala. Conoscevamo l'altezza della vetta da un punto indicato sul nostro in-reach, ma non c'era modo di sapere quanto potesse essere lungo il canalone. Inevitabilmente, 500 metri di dislivello su ripida neve pressata, dove pensavamo di poter fare un "rapido scatto fino al colle", ci avevano portati al masso incastrato più stanchi di quanto volessimo, ma comunque di buon umore. Era mezzanotte.
Mi ero imbragato, pronto per un po' di lotta con il masso incastrato, ma sono riuscito a superarlo facilmente, con del misto di circa M4/5. La strada era spianata per l’ultimo tratto di qualche centinaio di metri di canalone friabile. Avevamo raggiunto il colle all'1:30 di notte e la vista che ci si presentava era piuttosto speciale. Illuminati dalla luce del sole di mezzanotte, gli enormi ghiacciai pendenti erano veramente spettacolari. Il lato destro della cresta sembrava fattibile; chiaramente le poche ore di sole sulla parete nord-ovest avevano fatto la differenza in questo inizio stagione, e avevano ridotto lo scioglimento. Forse la vetta era a portata!
Abbiamo ingollato un paio di albicocche secche e abbiamo messo le scarpette d'arrampicata; sarebbe stata una lunga notte… Non ricordo molto dei tiri successivi. Non perché fossero noiosi, ma perché ero in uno stato di tale esaurimento che iniziavano a sfocarsi in un unico ricordo. Però sono abbastanza sicuro che l'arrampicata fosse fantastica. Esposizione ridicola e roccia gestibilmente asciutta tra alcune striature bagnate, con difficoltà medie intorno a E1/E2. Seguivamo una solida fascia di roccia che divideva la Cresta Nord e la Parete Nord-Ovest. Da un lato, placche di granito e sistemi di diedri a perdita d'occhio, e dall'altro un salto di 700 metri sul ghiacciaio sottostante. Faceva un freddo pungente, però; eravamo ormai ben oltre i 1000 metri sul livello del mare alle 3 del mattino e la temperatura dell'aria era sotto zero. Molte fessure erano ostruite dal ghiaccio e dovevamo accettare dita e piedi intorpiditi. Ero il capocordata più veloce e quindi, vista la finestra di bel tempo che si chiudeva e la vetta da conquistare, salivo da primo mentre Robbie portava tutte le giacche e il nostro piccolo zaino.
Nove tiri più in alto ero a pezzi. Erano le 8:00 e vedevo un ultimo tiro di misto, prima di quello che speravamo fosse la vetta. Sembrava piuttosto duro e ho passato un po' di tempo a cercare invano un passaggio. Gridavo a Robbie per fargli sapere la situazione, ma non sentivo risposta. Gridavo di nuovo. Da quanto mi ha detto Robbie, a quel punto si è svegliato mentre mi faceva sicura. Eravamo ormai entrati nel nostro 26esimo ora di veglia.
Dopo aver assicurato Robbie fino in sosta e dopo qualche discussione, ho deciso di fare l'ultimo sforzo con alcuni skyhooks "a prova di bomba" come protezione per uno placca liscia. Poi, con i piedi completamente congelati nelle scarpette e fino alle ginocchia nella neve, ho attraversato il breve nevaio che proteggeva la parete finale. Dopo l'audace placca, un’ultima ripida e buona fessura fino al ripiano sommitale sembrava un vero regalo ed eravamo in vetta alle 08:52. Dopo 1600m di dislivello e 13 ore dopo aver lasciato le tende. La vista era sbalorditiva, ma purtroppo c'era poco tempo per i festeggiamenti. Come tutti gli alpinisti vi diranno con un luccichio negli occhi, la vetta è solo a metà. Il vento del nord che aveva portato il tempo stabile stava girando. Le nuvole iniziavano a formarsi a sud e la finestra di bel tempo si stava chiudendo.
Non sono sicuro di come siamo riusciti a superare 800 metri di calata senza grossi intoppi, ma lo abbiamo fatto. Robbie era stato inestimabile, risalendo velocemente un tiro di 15 metri per recuperare una corda incastrata e individuando alcune grandi fessure da cui siamo riusciti a calarci con pochissimi cordini. Non avevamo lasciato nulla in parete, tranne 2 nut e un po' di cordini. Dopo aver maledetto la lunghezza del canalone nevoso all'andata, esultavamo quando l’abbiamo raggiunto di nuovo. Un dono per le nostre ginocchia e una relativa sicurezza. Abbiamo raggiunto il ghiacciaio e siamo barcollati per gli ultimi chilometri fino alle tende come zombi. Ovunque sentivamo voci tra le rocce e i ruscelli. Dopo aver rapidamente demolito un po' di pasta al pesto, ci siamo accasciati nei nostri sacchi a pelo, esausti ma felici. Svegli da oltre 36 ore, avevamo completato l'obiettivo principale della spedizione già la prima notte...
Dopo il nostro primo incontro, riuscito ma piuttosto intenso, con le montagne di questa zona, un periodo di due giorni di pioggia e nuvole basse era ben accetto. Una grande scusa per stare a letto, riposare e mangiare il più possibile senza esaurire troppo le nostre scorte. Un vantaggio dell'aver impiegato così tanto tempo a salire la prima via senza pasti caldi era che potevamo ora mangiare razioni per quattro giorni in soli due! Ottimo!
Dopo tanto dormire e controllare le previsioni, il sole stava tornando. Un'altra finestra di 48 ore era all'orizzonte e la sofferenza dei due giorni appena passati veniva presto dimenticata. Sicuramente era giunto il momento per un'altra avventura.
L'obiettivo per la prossima grande via era un'altra affascinante parete all'estremità superiore della stessa valle. Ogni mattina il sole bagnava le enormi placche di granito sul suo fianco esposto a est con una luce dorata. Era la scelta ovvia.
Questa volta avevamo imparato dalla nostra precedente uscita insonne e abbiamo optato per un bivacco alla base della parete, pronti per una partenza anticipata la mattina seguente. Una rilassata camminata su per il ghiacciaio con gli zaini pesanti fino alla base della parete ci aveva occupato la maggior parte del pomeriggio. Avevamo portato con noi una pala per scavare la neve per un bivacco, quindi il terreno pianeggiante non era un problema e presto avevamo un riparo piuttosto accogliente sotto un masso ben strapiombante. La parete era però ancora avvolta in una spessa coltre di nuvole e aveva ricominciato a piovere. Era abbastanza ovvio che la linea che speravamo di fare si stava bagnando, ma ci siamo addormentati comunque sperando che quando le nuvole si sarebbero alzate, avremmo potuto vedere una linea.
Per le 3:00 del mattino le nuvole si erano alzate e dopo una rapida colazione di dhal di lenticchie e sgombro, siamo partiti su per i sistemi di diedri sulla destra della parete. Dal binocolo sembrava sia la più asciutta che la salita più agevole, e forse non lunga come la linea originariamente pianificata sul lato sinistro. Di nuovo, la trasparenza dell'aria groenlandese e la prospettiva di stare sotto una parete molto alta giocavano con le nostre menti.
L'arrampicata diventava presto molto coinvolgente e un po' seria. Fessure ripide e solchi svasati su roccia friabile, con lame vuote. Due tiri dopo, Robbie ha deciso molto saggiamente che probabilmente era meglio avere me come capocordata. Sebbene fosse un arrampicatore forte, era abituato a seguire lucenti spit nelle Alpi, e la natura esplorativa dalla salita abbinata alla necessaria astuzia a mettere le protezione era decisamente sulla fascia più impegnativa della scala. Chiaramente una vita passata ad infilare nuts in fessure muschiose nel Lake District mi aveva preparato bene. Sebbene non tecnicamente difficile (forse solo intorno al 6b francese), l'esposizione e la qualità della roccia ci facevano davvero capire che qualsiasi caduta o rottura di prese poteva rivelarsi estremamente seria.
Come stava rapidamente diventando un tema per le nostre giornate, presto è iniziato a diventarci chiaro che la parete, sebbene sembrasse piccola, era in realtà... maledettamente enorme. Undici tiri duri dopo, ci siamo sdraiati su un ripiano per un po' di respiro. Mentre assicuravo Robbie nell'ultimo tiro prima della sosta, entrambe le mie braccia avevano iniziato ad avere così tanti crampi che avevo dovuto assicurarlo e sdraiarmi per qualche minuto. Ero stato in prima da ben oltre 14 ore e avevo bisogno di riposare. Eravamo stati all'ombra per la maggior parte del pomeriggio, quindi ci siamo presi un'ora per indossare tutte le giacche disponibili e ammirare il panorama mentre spizzicavamo un po' di salame e formaggio ben meritati. Per fortuna, dopo un altro tiro ripido, l'angolazione finalmente iniziava ad attenuarsi. Eravamo arrivati in un enorme solco di drenaggio che sembrava condurre fino alla vetta. Concordando che una ben meritata scatoletta di sgombro al tramonto era ormai a portata di mano, abbiamo proseguito con rinnovato entusiasmo.
Potevamo vedere, però, che un ultimo muro sommitale si rizzava davanti a noi. È sempre un po' preoccupante nelle aperture di questa scala che si possa arrivare a 50 metri dalla cima e trovare un enorme muro strapiombante e liscio che ti blocca. Non avevamo nè martello nè spit, quindi se non ci fossero stati appigli, quella sarebbe stata la fine. Per fortuna, non c’era alcun maledetto rigonfiamento liscio e mi sono ritrovato a superare il bordo per osservare una delle viste più folli che penso vedrò mai. Montagne senza fine e senza nome e ghiacciai che si estendevano verso la costa. Anche Robbie ha concordato che forse era meglio di qualsiasi vista francese, il che è un elogio piuttosto grande per un francese. In ogni caso, non male come posto per un pranzo alle 22:00.
Ancora una volta, le calate si profilavano davanti a noi. Due corde si sono incastrate questa volta durante la fredda discesa di 6 ore. Eppure, c’è stato solo momento poco divertente durante la risalita di un tiro particolarmente sgradevole di 50 metri per liberare una delle corde da dietro una lama. 24 ore dopo aver lasciato il bivacco siamo ritornati, abbiamo raccolto il nostro materiale e abbiamo iniziata il ritorno, ormai fin troppo familiare, giù per il ghiacciaio. Un'altra missione compiuta.
La settimana e mezzo successiva è stata funestata dal maltempo. Una grande tempesta persisteva per quasi sei giorni e portava la neve fino al campo, mettendo in pausa i nostri obiettivi su roccia. Quando finalmente si era placata, tutto sembrava piuttosto invernale e la nostra canoa, che avevamo ancorato con pietre, era ormai piena fino all'orlo di acqua piovana...
In quella che era una rara giornata "corta" per me e Robbie, abbiamo fatto un colpo di mano in stile alpino su una bella cima che sovrastava il nostro campo. Robbie era nel suo elemento in questa occasione e ha fatto uno sforzo impressionante a scalciare gradini su neve e ghiaccio ripidi per 1700m di dislivello in poche ore. Questa è stata la nostra unica non "prima salita", poiché il team del 1967 l'aveva rivendicata come il loro premio più grande del viaggio (essendo la vetta più alta nella zona intorno al lago). Sicuramente meritevole di tale elogio, abbiamo concordato, mentre ammiravamo la vista dalla cima.
La quarta ed ultima via del nostro viaggio è arrivata appena 48 ore prima del pick-up. La finestra di bel tempo che stavamo monitorando sull'In-reach si era spostata sempre più avanti ed eravamo preoccupati di perderla. Salik sarebbe venuto a prenderci il 16 luglio. Con venti forti previsti per oltre 80 km/h nei giorni seguenti, non c'era spazio per eventuali ritardi. Vento di quella portata avrebbe reso sia il viaggio di Salik che la nostra risalita in canoa del lago semplicemente troppo pericolosi, e non avevamo scorte di cibo per aspettare.
Abbiamo deciso di impegnarci per due ragioni. In primo luogo, il lato sinistro del guglia che originariamente speravamo di provare, prima di essere bloccati dalla roccia bagnata, ci rimuginava in testa. L’omnipresente "che bella linea sarebbe se riuscissimo a salirla". Sarebbe stata sicuramente la via più grande, diretta e potenzialmente più dura del viaggio. Forse un finale perfetto per una spedizione già ben riuscita. In secondo luogo, avevo lasciato il mia sacchettino per la magnesite preferito in cima all'altra via quando me l'ero tolto per andare in bagno! Sarei stato dannato se avessi abbandonato il fedele sacchettino ad una vita di solitudine accanto ad una cacca per l'eternità. La possibilità che fosse ancora lì dopo neve, venti impetuosi e piogge torrenziali era esigua, ma non zero.
Per darci la migliore possibilità di successo, abbiamo passato l'ultima giornata piovigginosa a trasportare il materiale per circa 4 miglia fino alla base. Questa volta avremmo utilizzato il haulbag. La via sembrava dura e non pensavo che sarei stato in grado di salirla tutta da capocordata senza un buon riposo da qualche parte. Più peso e complicazioni, sicuramente. Ma un sacco a pelo a testa, più cibo, alcuni chiodi e friend grandi sembravano una buona ricetta per arrivare in cima senza troppi momenti complicati. Quella notte siamo tornati alle tende per un pasto abbondante e un buon sonno.
Il giorno dopo si è presentato sereno. Tempo perfetto. Siamo risaliti velocemente il ghiacciaio fino alla base, questa volta senza zaini. La via sembrava asciutta e le previsioni erano buone. Fatta.
Questa via era certamente ciò che speravamo. Roccia perfetta, tiri sostenuti e ripidi fino a circa E3 sulla scala inglese, ed una linea dritta ideale per tirare su lo zaino. Trovare la via giusta era difficile, però. Sebbene le fessure erano spesso verticali, spesso si dividevano in due o tre linee. Molte volte ci trovavamo in sosta a strizzare gli occhi verso l'alto e a guardare le foto che avevamo scattato alla base, per cercare di capire quale fessura continuasse e quale si interrompesse. Ancora e ancora sceglievamo correttamente, e dopo alcuni movimenti incredibilmente improbabili in placca perfetta, eravamo arrivati ad una cengia a metà altezza che avevamo scorto dal nostro vecchio bivacco. Questa era tutt'altro che lussuosa, ma andava bene. Nove tiri fatti. Era tempo di riposare. Le temperature erano di nuovo ben sotto lo zero poiché il sole si era spostato a ovest e fuori parete. Ci siamo rannicchiati nei nostri sacchi a pelo, aspettandoci una lunga e scomoda attesa di 3 ore per il ritorno del sole, ma con nostra sorpresa, ci siamo svegliati appesi ai nostri imbraghi illuminati dl sole. Perfetto! Non ricordavamo nemmeno di esserci addormentati!
Non avremo avuto più di un'ora o giù di lì in una posizione seduta ed incredibilmente scomoda, premuti contro la parete, ma ci sentivamo come uomini rinnovati. Abbiamo ingoiato un po' di cioccolato e albicocche secche e abbiamo ripreso la salita. Un bellissimo tiro seguiva l'altro, incluso una memorabile arrampicata di 20 metri, poi un traverso di 5 metri ed una disarrampicata di 20 metri fino ad una cengia e un sistema di diedri appena fuori portata dal nostro punto di partenza. Qui abbiamo fissato una delle nostre corde e, con nostro grande divertimento, abbiamo trasportato orizzontalmente l'haulbag con una teleferica. Robbie ha avuto salito il suo primo tiro da capocordata di tutta la spedizione: una disarrampicata in fessura, gradata E2 5c, a 600m sopra il ghiacciaio. Non male per uno sciatore!
L'ultimo tiro, purtroppo, non è stato salito in libera. Un diedro strapiombante completamente fradicio. L’abbiamo salito facilmente in A1, ma semmai, sentivamo che l’artif aggiungeva all'avventura. Eravamo arrivati in cima vittoriosi su un ripiano perfettamente piatto, quasi esattamente 24 ore dopo la partenza. I sacchi a pelo erano fuori in un lampo e abbiamo passato qualche ora meravigliosa a dormire sotto il sole pomeridiano. Le vie iniziavano decisamente a farsi sentire e la nostra capacità di recupero era notevolmente peggiorata rispetto alle nostre prime salite. Eravamo molto contenti di aver deciso di portare l'attrezzatura extra questa volta, ma non avevamo ancora finito. Altri 3-400m di arrampicata facile su una cresta sommitale dall'aspetto selvaggio ci avrebbero portati, si sperava, alla nostra linea di calata che avevamo accuratamente annotato dalla via precedente.
Mentre procedevamo in conserva lungo la cresta, l'apprensione iniziava a crescere. Il terreno era facile e l’abbiamo percorso in meno di un'ora. Di nuovo, le nuvole stavano arrivando, gran parte della base della parete era già avvolta e la temperatura stava calando di nuovo. Tuttavia, con il bonus delle nostre calate memorizzate, non eravamo troppo preoccupati. Avevamo fatto rotolare giù una grande quantità di roccia potenzialmente pericolosa e “intrappola-corde” durante la nostra prima discesa dalla parete, quindi questa volta doveva essere molto più sicuro. Robbie iniziava rapidamente a preparare la prima calata mentre io mi affrettavo dietro l'angolo dell'enorme blocco sommitale. Eccolo lì! ll mio sacchetto della magnesite Aiguille, regalatomi dal mio migliore amico Chris. Pieno d'acqua, ma ancora valorosamente appollaiato in cima. Chiaramente, la via era destinata a diventare realtà!
Tra le date del 28 giugno - 16 luglio 2025, abbiamo ha salito:
- Optimisme - TD+ 6b (francese), M5, 930m, 11 tiri. GPS: - 65.818010, -52.584283
- Duddon Valley Syndrome - E3/4 6a, 610m, 13 tiri. GPS: -65.832862, -52.562846
- Simon’s Route - E3 6a / A1, 868m, 16 tiri. GPS: -65.832862, -52.562846
Le vette stesse le abbiamo lasciate senza nome. Queste montagne certamente non ci appartengono in un luogo selvaggio come questo. Ci sentiamo semplicemente privilegiati di aver potuto vivere avventure su di esse e di essere fuggiti illesi senza che se ne accorgessero.
- Ben Kent, Lake District, Inghilterra
Traduzione di Ayrin Pettorosso














































