Nuove vie in Groenlandia di Ben Kent e Robbie Milne

Il report di Ben Kent sulla spedizione alpinistica in Groenlandia, avvenuta tra il 28 giugno e il 18 luglio 2025 in compagnia di Robbie Milne.
1 / 23
Non capita spesso di guardare il mare con i ramponi ai piedi
Ben Kent archive

"In bocca al lupo per le future imprese! Ma non contare che vadano lisce come questa!" - Ci abbiamo rimuginato sopra, un po' divertiti, mentre atterravamo nel piccolo villaggio di Maniitsoq. Era un commento lasciato su un breve resoconto che avevo scritto sull'ultimo viaggio di esplorazione in Groenlandia nel 2024. Ora, quasi esattamente un anno dopo il giorno in cui eravamo arrivati in barca nel villaggio della Groenlandia occidentale, eravamo appena tornati in aereo per un'altra dose di paesaggi selvaggi e migliaia di miglia di granito incontaminato.

Sebbene l'ultimo viaggio avesse richiesto settimane di navigazione per raggiungere Maniitsoq, il viaggio di quest'anno, anche se molto più efficiente, non era stato poi così semplice. Tre giorni noiosi bloccati dalla nebbia nella piuttosto desolata capitale Nuuk ci avevano fatto morire dalla voglia di iniziare. Ciò nonostante, questo contrattempo ci aveva dato la possibilità di fare una doccia e mangiare un pasto caldo in un hotel pagato dalla compagnia aerea. Un punto su cui sia io che il mio compagno di spedizione Robbie eravamo d'accordo fosse un grande successo, visto che avevamo passato i due giorni precedenti a bivaccare tra la ghiaia con i nostri haulbag ad aspettare i voli di collegamento.

Quest'anno avremmo scambiato le pareti della costa, facilmente accessibili, con ghiacciai e grandi montagne entroterra. Più materiale, più complicazioni, più sofferenza... equivalevano a più divertimento? Il nostro improbabile team era composto da me, un arrampicatore ventiseienne del Lake District in Inghilterra, e Robbie Milne, un ventiduenne istruttore di sci francese. La nostra destinazione era uno screenshot sfocato di un'ombra minacciosa, una sorta di vetta alla fine di un enorme lago glaciale, preso da Google Maps... Non molto su cui lavorare... ma sembrava un obiettivo potenzialmente interessante.

Le informazioni, oltre ai fugaci scorci di vedute in lontananza del viaggio precedente, consistevano in tre foto scattate da una coppia tedesca che aveva fatto trekking attraverso il fiordo 10 anni prima, e un resoconto di uno dei pochi team che aveva visitato la zona: una spedizione dell'esercito britannico del 1967 che aveva fatto qualche salita lì. Sebbene non fossero lì per salire le grandi pareti di granito, alcune delle loro parole che descrivevano una delle uscite più avventurose aveva acceso la nostra immaginazione. Una frase in particolare: "Il secondo di cordata fece parlare gli esperti per giorni: 1500 piedi di diedro, sormontati da una masso incastrato grande come un cottage, enormi placche e tiri di V grado, quasi fino alla cresta sommitale finale".

La nostra arma segreta era l’amico Salik, un vero local, un pescatore con il proprio peschereccio, un ragazzo conosciuto da tutti. Nato e cresciuto a Maniitsoq, conosceva i fiordi meglio di quanto tu conosca i banchi del supermercato sotto casa. Ovunque andassimo, raccontava storie su chi possedeva ogni isolotto, a chi piaceva pescare lì, e storie tramandate da suo padre. Non solo aveva una barca (qualcosa di essenziale per viaggiare in Groenlandia), ma aveva anche una canoa che aveva gentilmente accettato di prestarci per la spedizione. L'anno scorso avevamo passato una settimana ad aiutare lui e la sua ragazza a costruire un lodge sulla costa, che sperava un giorno di trasformare in un'attività turistica. La pesca con il peschereccio è un lavoro da giovani, dice. La Groenlandia è uno di quei posti dove passi qualche giorno con qualcuno che incontri per puro caso, poi finisci per conoscerlo per il resto della vita.

Salik è venuto a prenderci sulla pista dopo un breve volo di 30 minuti da Nuuk, in una giornata fredda e limpida di fine giugno. Abbiamo aspettato un po' i nostri bagagli, non per il traffico (c'erano solo sei persone sul nostro volo), ma più che altro perché ogni membro dello staff, ogni passeggero e persino il pilota, dovevano salutare Salik prima che si potesse fare qualsiasi cosa. Città piccola, personaggi grandi.

Una veloce spesa nel negozio di alimentari locale "Pissifik", la consueta visita al negozio di ferramenta locale per Salik ed eravamo pronti a partire. Avevamo disidratato la maggior parte dei nostri pasti principali e li avevamo portati con noi, ma le necessità come cioccolato, scatolette di sgombro e fiocchi d'avena li comprammo in Groenlandia. L'antico dilemma tra più cibo e più peso da portare o meno cibo e stomaci brontolanti era nell'aria. I 45 km di viaggio lungo il fiordo fino alla testata del lago sarebbero durati poco più di un'ora e mezza alla velocità folle di Salik in barca. Non proprio una sofferenza quando il paesaggio era come quello di un documentario che potresti vedere in TV e le balene emergevano ogni 400 metri. A circa metà strada, abbiamo fatto una breve sosta per prendere la canoa. "Presa" in stile Groenlandia: una veloce camminata di 20 minuti in salita tra massi fino alla testata di un lago dove era stata nascosta, seguita da una missione di ben più di 20 minuti per tornare al mare con essa in equilibrio sulle nostre teste.

Salik ci lasciò alla testata del fiordo di Ikamiut con la promessa che sarebbe stato lì tra tre settimane, purché "il vento non fosse troppo forte", e si allontanò navigando nella sera. Il tempo era buono, noi dovevamo attraversare un lago, costruire un campo base e lui doveva fare il tetto. In Groenlandia dicono che ci sono due stagioni: la stagione invernale e la stagione delle costruzioni. Il suo commento d'addio, in puro stile Salik, fu: "Ah, a proposito, non sono troppo sicuro se il lago che intendete risalire in canoa sia ancora ghiacciato".

Il primo viaggio attraverso il portage è stato un po' preoccupante, ma per fortuna il lago si era scongelato e presto stavamo già trasportando i circa 120 chilogrammi di cibo e equipaggiamento che avevamo fino al lago. La vista era piuttosto speciale. Non capita spesso di trasportare una canoa mentre si guardano enormi seracchi pendenti creparsi e valangare giù per una parete alta un miglio.

Non c'era un alito di vento per la pagaiata. Un fatto che entrambi commentammo essere un'enorme botta di fortuna, considerando la nostra canoa sovraccarica e un lago gelido che era alimentato direttamente da un ghiacciaio pendente sulla sua sponda meridionale. Eravamo senza giubbotti di salvataggio o qualsiasi forma di galleggiante extra in canoa, quindi le probabilità di sopravvivenza in caso di capovolgimento durante la nostra pagaiata di 4 km probabilmente non sarebbero state molto alte. Sebbene avessimo originariamente pianificato di stare il più possibile vicino alla riva, la corrente discensionale dai ghiacciai sopra ci spingeva rapidamente per oltre mezzo miglio verso il centro. La selvaggia remotità della nostra situazione iniziava a farsi sentire. Niente disastri qui, ragazzi, perché nessuno verrà a prendervi.

Il campo base, almeno, era ovvio. L'unica area pianeggiante per miglia era una grande lingua di vecchia morena, erosa negli anni in un fondo sabbioso tappezzato di muschio e salice nano. Piatto come una crêpe e a drenaggio rapido. All'improvviso la decisione di portare tanto cibo aveva tutto il senso, mentre piantavamo le nostre tende a 10 metri dalla canoa. Risultato!

Erano le 20:00 quando avevamo finito di montare il campo e iniziavamo a preparare un pasto veloce. Forse per l'arroganza della gioventù, l'adrenalina di essere in montagna dopo mesi di pianificazione, o una combinazione di entrambi, la sveglia presto alle 6 del mattino per il volo da Nuuk veniva rapidamente dimenticata.

Sapendo dalle previsioni di Salik che avevamo altre 24 ore di bel tempo prima che arrivasse una tempesta, sicuramente una rapida missione di ricognizione per andare a osservare la nostra vetta non poteva far male. In alta montagna il tempo cambia in fretta e per esperienza, quando c'è una finestra di bel tempo, di solito bisogna approfittarne. Presto decidemmo che un approccio alpino rapido e leggero sarebbe stato meglio: un rack ridotto, 1 piccozza a testa, un pacchetto di albicocche secche, 2 scatolette di pesce, un po' di formaggio e del pane di segale. Dagli screenshot di Google Maps sapevamo che la vetta doveva essere a circa 3 km su per la valle. Avevamo trovato le immagini satellitari preziose nella pianificazione; era un vantaggio molto gradito del moderno mondo dell'alpinismo. Sebbene accurate vicino alla costa, le mappe nell'entroterra, specialmente in zone non salite, erano prive di molti dettagli. Senza di esse, saremmo stati in gran parte all'oscuro di ciò che avremmo potuto incontrare.

Dopo circa un'ora di faticosa e poco agevole salita attraverso la morena, avevamo raggiunto il ghiacciaio molto più solido e presto avremmo fatto progressi rapidi verso la base di un'enorme parete rotta e friabile. Alla sua destra c'era il canalone di accesso che credevamo portasse alla vetta. Dallo scrutinio delle mappe satellitari, avevamo sperato di salire la parete est fino alla vetta, ma era diventato rapidamente ovvio che non sarebbe stato possibile. Sembrava bagnata, ripida e molto intimidatoria. Era solo giugno e, sebbene il sole fosse in cielo 24 ore su 24, gran parte delle lastre superiori erano ancora coperte di neve. La temperatura dell'aria era poco sopra lo zero. Per fortuna, un ripido canalone innevato sormontato da enormi chockstone sembrava percorribile. Speravamo così di raggiungere un colle da cui la cresta nord sembrava poter essere salita in modo abbastanza agevole.

L'aria ha una incredibile trasparenza in Groenlandia. Ci sono pochi punti di riferimento con cui giudicare dimensioni o distanze ed è quindi sempre molto difficile cogliere la scala. Conoscevamo l'altezza della vetta da un punto quotato sulla curva di livello dato dal nostro in-reach, ma non c'era modo di sapere quanto potesse essere lungo il canalone. Inevitabilmente, 500 metri di dislivello front-pointing su ripido névé, in quello che pensavamo sarebbe stato un "rapido scatto fino al colle", ci avevano lasciato alle chockstone più stanchi di quanto volessimo, ma comunque di buon umore. Era mezzanotte.

Mi ero imbragato pronto per un po' di lotta con la chockstone, ma era passata facilmente a circa M4/5 e dava luogo a un ultimo tratto di qualche centinaio di metri di canalone friabile. Avevamo raggiunto il colle all'1:30 di notte e la vista che ci si presentava era piuttosto speciale. Bagnati dalla luce alpina del sole di mezzanotte, gli enormi ghiacciai pendenti erano veramente spettacolari. Il lato destro della cresta sembrava fattibile; chiaramente le meno ore di sole sulla parete nord-ovet avevano fatto la differenza in questa prima stagione e avevano ridotto lo scioglimento. Forse la vetta era a portata!

Ingollammo un paio di albicocche secche e cambiammo per le scarpette d'arrampicata; sarebbe stata una lunga notte...

Non ricordo molto dei tiri successivi. Non perché fossero noiosi, ma perché ero in uno stato di tale esaurimento in cima che iniziavano a sfocarsi in un unico ricordo. Sono abbastanza sicuro che l'arrampicata fosse fantastica, però. Esposizione ridicola e roccia gestibilmente asciutta tra alcune striature bagnate, con difficoltà medie intorno a E1-E2. Seguivamo una solida fascia di roccia che divideva la Cresta Nord e la Parete Nord-Ovest. Da un lato, lastroni di granito e sistemi di diedri a perdita d'occhio, e dall'altro un dirupo dritto di 700m sul ghiacciaio sottostante. Faceva un freddo pungente, però; eravamo ormai ben oltre i 1000m sul livello del mare alle 3 del mattino e la temperatura dell'aria era sotto zero. Molte fessure erano ostruite dal ghiaccio e si dovevano accettare dita e piedi intorpiditi. Ero il capocordata più veloce e quindi, nell'interesse di una finestra di bel tempo che si chiudeva e di una vetta da conquistare, conducevo a blocchi la parete mentre Robbie prendeva tutte le giacche e il nostro piccolo zaino.

Nove tiri dopo ero a pezzi. Erano le 8:00 e vedevo un ultimo tiro misto di neve e roccia prima di quello che speravamo fosse la vetta. Sembrava piuttosto duro e passai un po' di tempo a cercare invano un passaggio. Gridavo a Robbie per fargli sapere la situazione, ma non sentivo risposta. Gridavo di nuovo. Da quanto mi ha detto Robbie, a quel punto si svegliava mentre mi faceva sicura. Eravamo ormai entrati nel nostro 26esimo ora di veglia.

Dopo aver tirato su Robbie alla sosta e dopo qualche discussione avevo deciso di fare l'ultimo sforzo con alcuni skyhooks "bomber" come protezione attraverso uno lastrone liscio, poi, con i piedi completamente intorpiditi nelle scarpette d'arrampicata, ginocchia profonde in un breve campo di neve che proteggeva la parete finale. Dopo l'audace lastrone, una finale ripida e sicura fessura fino al ripiano sommitale sembrava un dono ed eravamo in vetta alle 08:52. 1600m di dislivello dopo e 13 ore dopo aver lasciato le tende. La vista era sbalorditiva, ma purtroppo c'era poco tempo per i festeggiamenti. Come tutti gli alpinisti vi diranno con un luccichio negli occhi, la vetta è solo a metà. Il vento del nord che aveva portato il tempo stabile stava girando. Le nuvole iniziavano a formarsi a sud e la finestra di bel tempo si stava chiudendo.

Non sono sicuro di come siamo riusciti a superare 800m di calata senza intoppi maggiori, ma lo abbiamo fatto. Robbie era stato inestimabile, risalendo velocemente un tiro di 15m per recuperare una corda incastrata e individuando alcune grandi fessure da cui potevamo calare con lunghezze minime di cordino. Non avevamo lasciato nulla sulla parete, tranne 2 dadi e un po' di cordelette. Dopo aver maledetto la lunghezza del canalone nevoso all'andata, esultavamo quando lo avevamo raggiunto di nuovo. Un dono per le nostre ginocchia e una relativa sicurezza. Avevamo raggiunto il ghiacciaio e barcollato per gli ultimi chilometri fino alle tende come zombi. Ovunque sentivamo entrambi voci tra le rocce e i ruscelli. Dopo aver rapidamente demolito un po' di pasta al pesto, ci eravamo accasciati nei nostri sacchi a pelo esausti ma felici. Svegli da oltre 36 ore, avevamo completato l'obiettivo della spedizione la prima notte...

Dopo il nostro primo incontro, riuscito ma piuttosto intenso, con le montagne, un periodo di due giorni di pioggia e nuvole basse era ben accetto. Una grande scusa per stare a letto, riposare e mangiare il più possibile senza esaurire troppo le nostre scorte. Un vantaggio dell'aver impiegato così tanto tempo a salire la prima via senza pasti caldi era che potevamo ora mangiare razioni per quattro giorni in soli due! Ottimo!

Dopo tanto dormire e controllare le previsioni, il sole stava tornando. Un'altra finestra di 48 ore era all'orizzonte e la sofferenza di due giorni prima veniva presto dimenticata. Sicuramente era giunto il momento per un'altra avventura.

L'obiettivo per la prossima grande via era un'altra affascinante parete all'estremità superiore della stessa valle. Ogni mattina il sole bagnava gli enormi lastroni di granito sul suo fianco esposto a est con una luce dorata. Era la scelta ovvia.

Questa volta avevamo imparato dalla nostra precedente uscita insonne e avevamo optato per un bivacco alla base della parete, pronti per una partenza anticipata la mattina seguente. Una rilassata camminata su per il ghiacciaio con gli zaini pesanti fino alla base della parete ci aveva occupato la maggior parte del pomeriggio. Avevamo portato con noi una pala per scavare la neve per un bivacco, quindi il terreno pianeggiante non era un problema e presto avevamo un riparo piuttosto accogliente sotto un masso ben strapiombante. La parete era però ancora avvolta in una spessa coltre di nuvole e aveva ricominciato a piovere. Era abbastanza ovvio che la linea che speravamo di fare stava bagnando, ma ci addormentammo comunque sperando che quando le nuvole si sarebbero alzate avremmo potuto vedere una linea.

Per le 3:00 del mattino le nuvole si erano alzate e dopo una rapida colazione di dhal di lenticchie e sgombro, partivamo su per i sistemi di diedri sulla destra della parete. Da un'ispezione con il binocolo, sembrava sia la più asciutta che l'arrampicata più agevole, e forse non lunga come la linea originariamente pianificata sul lato sinistro. Di nuovo, la trasparenza dell'aria groenlandese e la prospettiva di stare sotto una parete molto alta giocavano con le nostre menti.

L'arrampicata diventava presto molto coinvolgente e di natura un po' seria. Fessure ripide e solchi svasati su roccia friabile e flakes risonanti. Due tiri dopo, Robbie decise molto saggiamente che probabilmente era meglio per me restare in prima. Sebbene fosse un arrampicatore forte, era abituato a seguire lucenti bolt nelle Alpi, e la natura esplorativa dell'arrampicata combinata con molta astuzia nella protezione era decisamente sulla fascia più impegnativa della scala. Chiaramente una vita passata a infilare nuts in fessure muschiose nei Lake District mi aveva preparato bene. Sebbene non tecnicamente dura (forse solo intorno al 6b francese), l'esposizione e la natura della roccia ti facevano davvero sentire che qualsiasi caduta o distacco di flakes poteva rivelarsi estremamente seria.

Come stava rapidamente diventando un tema per le mie e le nostre giornate con Robbie, presto iniziò a diventarci chiaro che la parete, sebbene sembrasse piccola, era in realtà... maledettamente enorme. Undici tiri duri dopo, ci sdraiavamo su un ripiano per un po' di respiro. Mentre tiravo su Robbie nell'ultimo tiro prima della sosta, entrambe le mie braccia avevano iniziato a crampare così tanto che avevo dovuto assicurarlo e sdraiarmi per qualche minuto. Ero stato in prima da ben oltre 14 ore e avevo bisogno di riposare. Eravamo stati all'ombra per la maggior parte del pomeriggio, quindi prendemmo un'ora per indossare tutte le giacche disponibili e ammirare la nostra posizione mentre spizzicavamo un po' di salame e formaggio ben meritati. Per fortuna, dopo un altro tiro ripido, l'angolazione finalmente iniziava ad attenuarsi. Eravamo arrivati in un enorme solco di drenaggio che sembrava condurre fino alla vetta. Concordando che una ben meritata scatoletta di sgombro al tramonto era ormai a portata di mano, proseguivamo con rinnovato entusiasmo.

Potevamo vedere, però, che un ultimo muro sommitale si rizzava decisamente ripido. È sempre un po' preoccupante nelle prime ascensioni di questa scala che si possa arrivare a 50m dalla cima e trovare un enorme muro strapiombante e liscio che ti blocca. Non avevamo martello o bolt, quindi se non ci fossero stati appigli, quella sarebbe stata la fine. Per fortuna, non c’era alcun maledetto rigonfiamento liscio e mi ritrovavo a superare il bordo su una delle viste più folli che penso vedrò mai. Picchi senza fine e senza nome e ghiacciai che si estendevano verso la costa. Anche Robbie concordò che forse era meglio di qualsiasi vista francese avesse visto, il che è un elogio piuttosto grande per un francese. Non male come posto per un pranzo alle 22:00, in ogni caso.

Ancora una volta, le calate si profilavano davanti a noi. Due corde si incastravano questa volta e una fredda discesa di 6 ore. Eppure, solo un serio calo di umorismo durante la ripetizione di un tiro particolarmente sgradevole di 50m per liberare una delle corde da dietro un flake. 24 ore dopo aver lasciato il bivacco, scivolavamo di glaciazione fino ad esso, raccoglieavmo la nostra roba e iniziavamo la route ormai fin troppo familiare giù per il ghiacciaio. Un'altra missione compiuta.

La settimana e mezzo successiva è stata funestata dal maltempo. Una grande tempesta persisteva per quasi sei giorni e portava la neve fino al campo, mettendo in pausa i nostri obiettivi di arrampicata su roccia. Quando finalmente si era placata, tutto sembrava piuttosto invernale e la nostra canoa, che avevamo ancorato con pietre, era ora piena fino all'orlo di acqua piovana...

In una rara giornata "corta" per me e Robbie, avevamo fatto un colpo di mano in stile alpino sull'ispirante picco che sovrastava il nostro campo. Robbie era nel suo elemento in questa occasione e fece uno sforzo impressionante a scalciare gradini su neve e ghiaccio ripidi per 1700m di dislivello in poche ore. Questa è stata la nostra unica non "prima ascensione", poiché la squadra del 1967 l'aveva rivendicata come il loro premio più grande del viaggio (essendo la vetta più alta nella zona intorno al lago). Sicuramente meritevole di tale elogio, concordavamo, mentre ammiravamo la vista dalla cima.

La quarta e ultima via del viaggio è arrivata appena 48 ore prima del pick-up. La finestra di bel tempo che stavamo monitorando sull'In-reach si era spostata sempre più indietro ed eravamo preoccupati di perderla. Salik sarebbe venuto a prenderci il 16 luglio. Con venti forti previsti per oltre 50 mph nei giorni seguenti, non c'era spazio per ritardi. Vento di quella portata avrebbe reso sia il viaggio di Salik che la nostra risalita in canoa del lago semplicemente troppo pericolosi e non avevamo scorte di cibo per aspettare.

Avevamo deciso di impegnarci per due ragioni. In primo luogo, il lato sinistro del guglia che originariamente speravamo di provare, prima di essere bloccati dalla roccia bagnata, ci rimuginava in testa. Il semprepresente "che bella linea sarebbe se riuscissimo a salirla". Sarebbe stata sicuramente la via più grande, diretta e potenzialmente più dura del viaggio. Forse un finale perfetto per una missione già di successo. In secondo luogo, avevo lasciato la mia sacchetta per il gesso preferita in cima all'altra via quando me l'ero tolta per andare in bagno! Sarei stato dannato se avessi lasciato la fedele sacchetta a una vita di solitudine accanto a una cacca per l'eternità. La possibilità che fosse ancora lì dopo neve, venti impetuosi e piogge torrenziali era esigua, ma non zero.

Per darci la migliore possibilità di successo, passavamo l'ultima giornata piovigginosa a portare l'attrezzatura per circa 4 miglia fino alla base. Questa volta avremmo trainato. La via sembrava dura e non pensavo che sarei stato in grado di condurla tutto da solo senza un buon riposo da qualche parte. Più peso e complicazioni, sicuramente. Ma un sacco a pelo a testa, più cibo, alcuni chiodi e friend grandi sembravano una buona ricetta per arrivare in cima senza troppi epici. Quella notte tornavamo alle tende per un pasto abbondante e un buon sonno.

Il giorno dopo si presentò sereno. Tempo perfetto. Risalivamo positivamente il ghiacciaio fino alla base, questa volta senza zaini. La via sembrava asciutta e le previsioni si mantenevano. Era fatta.

Questa via era certamente ciò che speravamo. Roccia perfetta, tiri sostenuti e ripidi fino a circa E3 e una linea diretta per il trainaggio. Trovare la via era difficile, però. Sebbene le fessure erano spesso verticali, spesso si dividevano in due o tre linee potenziali. Molte volte ci trovavamo a una sosta a strizzare gli occhi verso l'alto e a guardare le foto che avevamo scattato alla base per cercare di capire quale fessura continuasse e quale si interrompesse. Ancora e ancora sceglievamo correttamente e dopo alcune mosse incredibilmente improbabili attraverso un lastrone perfetto, eravamo arrivati a un ripiano a metà altezza che avevamo scorto dal nostro vecchio bivacco. Questo ripiano era tutt'altro che lussuoso, ma andava bene. Nove tiri fatti. Era tempo di riposare. Le temperature erano di nuovo ben sotto lo zero poiché il sole si era spostato a ovest e fuori portata. Ci eravamo rannicchiati insieme nei nostri sacchi aspettandoci una lunga e scomoda attesa di 3 ore per il ritorno del sole, ma con nostra sorpresa, ci eravamo svegliati appesi alle nostre imbracature con il sole che ci illuminava. Risultato! Non ricordavamo nemmeno di esserci addormentati!

Non avremo avuto più di un'ora o giù di lì in una posizione seduta incredibilmente scomunda premuti contro la parete, ma ci sentivamo come uomini rinnovati. Abbiamo ingoiato un po' di cioccolato e albicocche secche e proseguito. Un superbo tiro dopo l'altro veniva e andava, incluso una memorabile arrampicata di 20m, poi una traversata di 5m e una discesa di 20m fino a un ripiano e un sistema di diedri appena fuori portata dal nostro punto di partenza. Qui avevamo fissato una delle nostre corde di prima e, con nostro grande divertimento, stavamo teletrasportando orizzontalmente l'haul bag con una teleferica. Robbie ha avuto anche la sua prima prima di cordata del viaggio dopo questo tiro: una obbligatoria discesa in arrampicata di fessura E2 5c a 600m sopra il ghiacciaio. Non male per uno sciatore!

L'ultimo tiro, purtroppo, non andava in libera. Un diedro strapiombante completamente fradicio. Andava facilmente in A1, ma semmai, sentivamo che aggiungeva all'avventura. Eravamo arrivati in cima vittoriosi su un ripiano perfettamente piatto quasi esattamente 24 ore dopo la partenza. I sacchi a pelo erano fuori in un lampo e abbiamo passato qualche ora meravigliosa a dormire sotto il sole pomeridiano. Le vie iniziavano decisamente a farsi sentire e la nostra capacità di recupero era notevolmente peggiorata rispetto alle nostre prime uscite. Eravamo molto contenti di aver deciso di portare l'attrezzatura extra questa volta, ma non avevamo ancora finito. Altri 3-400m di arrampicata facile su una cresta sommitale dall'aspetto selvaggio ci avrebbero portati, si sperava, alla nostra linea di calata che avevamo accuratamente annotato dalla via precedente.

Mentre procedevamo in simultanea lungo la cresta, l'apprensione iniziava a crescere. Il terreno era facile e lo abbiamo percorso in meno di un'ora. Di nuovo, le nuvole stavano arrivando, gran parte della base della parete era ora avvolta e la temperatura stava calando di nuovo. Tuttavia, con il bonus delle nostre calate memorizzate, non eravamo troppo preoccupati. Avevamo fatto rotolare giù una grande quantità di roccia potenzialmente pericolosa e intrappola-corde durante la nostra prima discesa dalla parete, quindi questa volta doveva essere molto più sicuro. Robbie iniziava rapidamente a preparare la prima calata mentre io mi affrettavo dietro l'angolo dell'enorme blocco sommitale. Eccola lì! La mia sacchetta per il gesso Aiguille regalatami dal mio migliore amico Chris. Piena d'acqua, ma ancora valorosamente appollaiata in cima ai massi. Chiaramente, la via era destinata a essere!

Tra le date del 28 giugno - 16 luglio 2025, il team ha salito:
- Optimisme - TD+ 6b (Francese), M5, 930m, 11 tiri
- Duddon Valley Syndrome - E3/4 6a, 610m, 13 tiri
- Simon’s Route - E3 6a / A1, 868m, 16 tiri

Le vette stesse le abbiamo lasciate senza nome. Queste montagne certamente non ci appartengono in un luogo selvaggio come questo. Ci sentiamo semplicemente privilegiati di aver potuto vivere avventure su di esse e di essere fuggiti illesi senza che se ne accorgessero.

- Ben Kent, Inghilterra




News correlate
Ultime news


Expo / News


Expo / Prodotti
Patagonia Men's Nano-Air Ultralight Pullover
Uno strato imbottito, flessibile e ultra-comprimibile è pensato per giornate fredde e per attività ad alto impatto in cui hai bisogno di traspirabilità.
SCOTT Pure Tour 100 - sci da scialpinismo e freeride
Nuovissimi sci SCOTT, leggeri per lo scialpinismo e modellati per il freeride.
Kong Leef – casco arrampicata
Leggero casco per arrampicata, alpinismo e scialpinismo.
Ferrino Kunene Jacket Woman - giacca impermeabile alpinismo
Kunene è la giacca ultraleggera traspirante, antivento e impermeabile da avere sempre nello zaino.
Singing Rock Rockalp 35+7 - zaino da alpinismo leggero
Zaino da alpinismo leggero per condizioni e terreni impegnativi.
Guanti Grivel GUIDA HDry
I guanti Grivel Guida HDry rappresentano l'evoluzione del modello Guida, arricchiti dalla tecnologia HDry, che li rende ideali in ogni condizione atmosferica.
Vedi i prodotti