Dhaulagiri 2005: pessime le condizioni, niente vetta

19/05 Romano Benet, Nives Meroi e Luca Vuerich hanno dovuto interrompere a 7700 il loro tentativo di salita al Dhaulagiri per le condizioni di estremo pericolo del nevaio sommitale.
Himalaya, Luca Vuerich, Nives Meroi, Romano Benet, Dhaulagiri

Niente da fare al Dhaulagiri: anche l'ultimo tentativo si è concluso stamattina a quota 7700m. Romano Benet, Nives Meroi e Luca Vuerich si sono trovati difronte ad una scelta obbligata: il grande nevaio poco sotto la cima, che avrebbero dovuto traversare, era in condizioni pericolosissime. A quel punto restava un'unica scelta possibile: scendere.

I tre alpinisti italiani erano partiti dal campo Base, insieme allo spagnolo Inaki Ochoa, l'equatoregno Ivan Vallejo e l'austriaco Christian Stangl, martedì 17. Ieri, dopo una giornata segnata dalla bufera scoppiata nel pomeriggio e dalle difficili condizioni della montagna, hanno raggiunto il Campo 2 a quota 7300m, dove hanno passato la notte. Ochoa e Vallejo, invece, sono scesi al campo Base, mentre Stangl, dopo una notte al Campo 1, è rientrato al Base questa mattina.

Romano, Nives e Luca hanno voluto giocare fino in fondo anche questa chance ma, alle prime ore di questa mattina, a 7700m, li aspettava un'inelluttabile scelta, la più giusta... Ora sono tutti al Campo base.


Diario dal Dhaulagiri 16 - 19 maggio Campo base
FARE LA SCELTA GIUSTA
di Leila Meroi

16.05.05
Comincia una nuova settimana. Un’altra, l’ennesima al cospetto del Dhaula. Siamo rimasti completamente soli al CB e lo scorrere delle ore ha assunto ormai una lentezza d’altri tempi. Ci si alza il mattino presto, al sorgere del sole (prima sarebbe un suicidio, viste le temperature non proprio tropicali delle notti himalayane); colazione, pranzo, riposino e cena. Per ora l’unico verbo che pare meglio adattarsi alle nostre giornate è ‘wir fressen’ (= noi gozzovigliamo), gentilmente prestatoci dal compagno Christian Stangl.

Effettivamente qui non si fa che mangiare, nel tentativo di soffocare almeno con il cibo la noia che giorno dopo giorno si accumula sia nel morale che nel fisico. Atleti, e non, si avvicendano nelle quotidiane faccende, cercando di non perdere mai di vista l’obiettivo comune: toccare la vetta di questo difficile Ottomila. I viveri cominciano a scarseggiare, così che venerdì scorso Galzen e Badur (i due kitchen-boy) sono andati fino a Marpha per rifornire gli approvvigionamenti: uova, verdura fresca, latte, il necessario per tirare avanti ancora qualche giorno. In verità ognuno di noi, in cuor suo, spera che questi acquisti non siano necessari e che entro la prossima settimana si possa finalmente volare all’Annapurna.

Oggi il sole splende beffardo e non soffia un alito di vento. Le temperature sono salite in maniera consistente e gli alpinisti fremono come cavalli da corsa alla linea di partenza. Per domani è prevista la tanto anelata finestra di bel tempo, e finalmente sembra che i ragazzi possano dare inizio all’ultimo (speriamo decisivo) assalto alla vetta. In questi giorni hanno avuto tempo per riposare e coltivare la pazienza; ora è lo sforzo che deve prevalere, la spinta verso l’alto.

Non si fa che puntare lo sguardo in su, con un occhio al cielo ed uno alla parete. Valanghe e scariche di sassi sono all’ordine del giorno, tanto che ormai non ci si fa più neanche caso. Questa mattina però la nostra attenzione è stata catturata da un boato più forte del solito: una valanga enorme alla destra del C1 proprio dove, fino a qualche giorno fa, ferveva un avvicendarsi continuo di alpinisti e di sherpa (ndL. vedi spedizione coreana). Si vede che la buona sorte esiste veramente e, a quanto pare, ha fatto il suo dovere.

Domani mattina partenza alle h.4:30. Questa volta è tutto il gruppo che si mette in moto: gli italiani (Nives, Romano e Luca), gli ispanici (Ivan e Inaki) e l’austriaco (Christian). Partenza - C1 (6300 mt) - C2 (7300 mt): questo il piano di salita. Queste le incognite: ci saranno ancora le nostre tende? E le picozze abbandonate in parete il giorno dei fulmini? Sì perché dopo circa una settimana di neve, bufera, vento a 40 mt/sec (in vetta) probabilmente la nostra attrezzatura può essere volata via ed in tal caso ci converrebbe fare armi e bagagli e tornarcene zitti zitti a casa. Sarebbe veramente un gran colpo di sfortuna, anche perché l’idea di partire e ‘spararsi’ su senza la certezza di trovare il materiale non è confortante, oltre che estremamente pericolosa.

Il Dhaulagiri si sta dimostrando un osso duro, non tanto per la difficoltà tecnica della parete, quanto per l'incognita-meteo e tutto ciò che ne deriva. La via per la cima è lunga, anche se non particolarmente ripida: arrivati alla cresta posta a 6500 mt la pendenza cresce dai 40 ai 55-60° fino a 7400 mt. Ed è questa la linea di soglia, il punto a partire dal quale i ragazzi si giocheranno tutto: le gambe dovranno andare al massimo, tagliando pendii carichi di neve e poco assestati, mentre è alla testa che rimarrà il compito più difficile, ossia sostenere lo stress e una motivazione tirata all’estremo, cercando un passo dopo l’altro di illudere la fatica. E poi il rischio di valanghe, il vento e le corde fisse poco sicure o semplicemente sommerse dalla neve... Un bel mix soprattutto per chi, come loro, affronta la montagna in completa autonomia, senza portatori né ossigeno, contando solo sulle proprie forze e sull’esperienza accumulata in questi anni di duro lavoro.

Himalaya, Luca Vuerich, Nives Meroi, Romano Benet, Dhaulagiri

18.05.05
Una notte tormentata; il vento ha soffiato furioso fino alle prime ore della mattina, sbattendo le tende come bandierine impazzite. In lontananza il solito frastuono delle valanghe e davanti a me il Dhaulagiri maestoso soffiato dalle continue raffiche gelate.
Accendo la radio, pur sapendo che oggi non riuscirò ad avere contatti con i ragazzi. Il C1, ove dovrebbero trovarsi ora, è situato in una zona poco coperta e sono certa che sarà impossibile sentirli. Non sono tranquilla: le previsioni paiono buone, ma questa si sta dimostrando una montagna davvero ricca di sorprese. Cerco di rilassarmi, evitando di pensare alle difficoltà che i ragazzi si troveranno a dover affrontare.

In mattinata la comunicazione della tragedia all’Annapurna. Sono sconvolta. Immediatamente telefono a casa per avvisare mia madre del fatto che il nostro gruppo è ancora al Dhaulagiri e che per il momento va tutto bene.

Nel pomeriggio il tempo cambia e comincia a nevicare, come sempre da queste parti. Verso le 5 mi chiama Inaki dal C1: “qui c’è un tempo infernale, nevica e non si vede niente. Dal C2 è venuta giù una valanga enorme, con blocchi alti come case; continuare è un suicidio, non ci sono le condizioni adatte. Devo decidere se scendere al base, com’è il tempo lì?” Gli rispondo che qui il cielo si sta rasserenando e gli chiedo che fine abbiano fatto gli altri. “Ivan e Christian si trovano al nostro C1 (5900 mt) – risponde - in una posizione che spaventerebbe chiunque.

Gli italiani (Romano, Nives e Luca) sono più su, al C2. Oggi ero a 7300 con Romano e sulla cresta di fronte si sentiva forte il rumore dei tuoni… Terribile, in queste condizioni andare avanti è troppo pericoloso; in montagna esistono delle regole e sono dell’idea che vadano rispettate. Conosco bene il limite che posso accettare, oltre non intendo spingermi.” Percepisco la sua tensione e immediatamente mi rendo conto di come stanno effettivamente le cose.

In serata faranno ritorno Inaki ed Ivan, mentre la mattina seguente sarà la volta di Christian. Gli italiani hanno deciso di rimanere su ed alle h. 1,30 circa partire per fare un ultimo tentativo alla vetta.

Himalaya, Luca Vuerich, Nives Meroi, Romano Benet, Dhaulagiri

19.05.05
Una notte meravigliosa: la luna tinge della sua fredda luce l’intera vallata, completamente dimentica del vento dei giorni scorsi. Il silenzio è ovunque e la temperatura sembra quasi essersi alzata. La notte giusta per la cima. Una notte insonne.

Alle 6:30 c.a il primo contatto radio con Luca: si trova al C2 e dalla sua voce non è difficile intuire che qualcosa è andato storto. Mi riferisce che ‘stamane sono arrivati a quota 7700 (in prossimità del grande nevaio, poco sotto la cima) ma che le condizioni del pendìo si sono fatte troppo pericolose per pensare di proseguire. Le continue ed abbondanti precipitazioni di quest’ultimo mese infatti, associate all’azione del forte vento, hanno portato alla formazione di enormi lastre di neve, lastre di “dimensioni himalayane”. Subito la decisione di scendere. Andare avanti sarebbe troppo pericoloso.

Alle 13.30 c.ca vedo tre piccole sagome poco più sopra delle corde fisse, all’attacco della parete. Sono loro, stanno arrivando. Insieme ai ragazzi della cucina mi incammino sul ghiacciaio per portare loro qualcosa di caldo da bere. La stanchezza quasi non si percepisce sui loro volti. Sono sereni. Hanno fatto la scelta giusta.

In tenda mensa scambiamo quattro chiacchere e subito vengo a conoscenza di quanti rischi abbiano corso. Una salita a continuo contatto con il pericolo, quest’ultima: partiti con l’incognita di non trovare né le tende né il materiale, hanno subito dovuto fare i conti con il maltempo e l’incessante rischio di valanghe. Arrivati a 6300 mt (C1) trovano la loro Mountain Hardware semisommersa dalla neve: è necessario svuotarla, “strizzarla”, cercare di farne asciugare il contenuto (sacchi a pelo, materassini, tute in piuma, ecc) e, ovviamente, rifare la piazzola. A 7300 mt (C2) stessa situazione: tenda rotta e bufera a complicare la situazione. Delle picozze abbandonate sulla cresta il giorno dei fulmini nessuna traccia, tantomeno del bastone a cui erano state assicurate. Decisi a raggiungere la cima hanno proseguito sino a 7700 mt. Unico ausilio una picozza ed i bastoncini. In seguito la decisione di scendere.

di Leila Meroi


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Dall'alto foto dei precedenti tentativi: discesa... ; Romano Benet; si parte (Foto archivio Luca Vuerich).


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