Coffee Break Interview: Nicola Tondini / Alessandro Baù

Nicola Tondini e Alessandro Baù sono i protagonisti della quarta puntata del progetto Coffee Break Interview di Daniela Zangrando per esplorare sogni, desideri e limiti dei protagonisti dell'arrampicata e dell'alpinismo.

Daniela Zangrando: Il passo chiave.
Nicola Tondini: Quando apri una via nuova, è quel passo che sembra insuperabile, dove a volte spendi una giornata intera a provare senza riuscire a superarlo. Sei costretto a tornare a casa e ritornare più allenato fisicamente e mentalmente. Spesso coincide anche col passo più duro da concatenare quando si fa la rotpunkt, ma non sempre. Altre volte è il passo chiave da superare psicologicamente in apertura, perché intuisci che per molti metri non riuscirai a posizionare una successiva protezione e la paura ti blocca.
I passi chiave sono comunque i passi dove raggiungi il tuo limite fisico e/o mentale. Rappresentano quell’ostacolo oltre al quale butti i tuoi sogni.

D.Z.: Cosa vuol dire spostare il limite?
N.T.: Non aver paura di sognare. Non solo in alpinismo, ma anche nella vita professionale e nella vita in generale.

D.Z.: I tuoi limiti, ora.
N.T.: Ho 44 anni e i limiti tecnico-atletici sono abbastanza delineati, anche se non viene meno il sogno di fare ancora mezzo grado in più. Quelli mentali sono ancora superabili: credo di poter sperimentare qualcosa di nuovo come avventura. Con gli impegni e le responsabilità che ho nel lavoro, uno dei limiti più grande è la disponibilità di tempo.

D.Z.: Se non dovessi più fare il climber, cosa faresti? Hai un piano altro, parallelo?
N.T.: Opero già su più fronti: pratico arrampicata/alpinismo, ma la maggior parte del tempo lo dedico alla professione di guida alpina all’interno del gruppo XMountain e alla direzione del centro d’arrampicata King Rock. Se non arrampicassi più, non smetterei di andare in montagna per diletto, per raccogliere le energie e l’entusiasmo da mettere nell’attività professionale.

D.Z.: Cosa ti piacerebbe cambiare del mondo dell'arrampicata? Di questo che a tutti gli effetti penso sia il tuo lavoro?
N.T.: Non molto. È un ambiente dove trovo molta semplicità e schiettezza nel rapporto con le persone, un ambiente in cui sto bene. Se proprio dovessi dire qualcosa, mi piacerebbe che i dettagli delle salite alpinistiche fossero sempre chiari. Lo sono spesso, ma non sempre.

D.Z.: Descrivimi il luogo. Quel posto che senti tuo. Dove puoi rifugiarti, pensare, distruggere, gridare.
N.T.: In generale è la montagna stessa il posto che sento più mio e dove ricarico le energie, la mente, il corpo e lo spirito. Ci sono dei monti a cui sono legato in modo particolare per una serie di ricordi e legami affettivi vissuti nel passato o nel presente: l’alpe di Siusi e lo Sciliar, le montagne della Val Gardena e della Val Badia, la Val Fiorentina e il Civetta, per citare i primi che mi vengono in mente ora. Le Dolomiti in generale mi danno emozioni uniche rispetto ad altre montagne. Ricordo che quando in passato mi capitava di tornare dopo qualche mese sulle Dolomiti, pur essendo stato a lungo su altre montagne magnifiche, avevo un tuffo al cuore, la sensazione di essere tornato a casa. Mente e corpo. Ho da anni un altro luogo particolare dove vado se ho bisogno di pensare, riflettere e ritrovarmi: un santuario/monastero sopra l’abitato di Santa Brigida, in provincia di Firenze. Lo spirito e il pensiero lì rinascono sempre.

D.Z.: E per ultima cosa un sogno. Che meriti di essere chiamato tale.
N.T.: Essere capace, fino all’ultimo giorno passato su questa terra, di accorgermi della poesia e della bellezza che mi circonda. Di contemplare la natura e di stupirmi dentro gli occhi delle persone che incontro.

ALESSANDRO BAÙ
Daniela Zangrando: Il passo chiave.
Alessandro Baù: Aver dato le dimissioni quando facevo l’ingegnere, non esser più dipendente e aver cambiato stile di vita. ;-)
D.Z.: Cosa vuol dire spostare il limite?
A.B.: Avere sempre la curiosità, la voglia di mettersi in gioco e di vivere nuove avventure. Penso che, prima di tutto, il limite sia un fattore mentale e strettamente personale.

D.Z.: I tuoi limiti, ora.
A.B.: Frequentare la montagna a 360° praticando arrampicata, alpinismo, freeride e scialpinismo è la cosa che più mi entusiasma di questo stile di vita ma, allo stesso tempo, la vivo come un limite. Non dedicandomi esclusivamente ad una di queste discipline è difficile spostare l’asticella sempre più in alto.

D.Z.: Se non dovessi più fare il climber, cosa faresti? Hai un piano altro, parallelo?
A.B.: A dire il vero non faccio esclusivamente il climber: quest’anno sono diventato guida alpina e continuo a fare qualche consulenza come ingegnere.

D.Z.: Cosa ti piacerebbe cambiare del mondo dell'arrampicata? Di questo che a tutti gli effetti penso sia il tuo lavoro?
A.B.: Mi piacerebbe che in Italia, come avviene in altri paesi, ci fossero maggior dialogo e collaborazione tra le organizzazioni che promuovono l’arrampicata (Guide Alpine, CAI, FASI) per divulgare ancor di più questo bellissimo sport.

D.Z.: Descrivimi il luogo. Quel posto che senti tuo. Dove puoi rifugiarti, pensare, distruggere, gridare.
A.B.: Ne ho due: il primo è un sasso in cima alla cresta di “Rocca”. Rocca Pendice è la falesia sui colli Euganei vicino casa. Quando devo pensare vado lì, un bel balcone sulla mia città (Padova ndr) e sulla pianura. L’altro è la parete Nord Ovest del Civetta, il contenitore di molti dei miei sogni.

D.Z.: E per ultima cosa un sogno. Che meriti di essere chiamato tale.
A.B.: Da quando ho iniziato a scalare, ho in mente la foto di Wolfgang Gullich in amaca durante l’apertura di Eternal Flame alla Nameless Tower nel gruppo delle Torri di Trango. Prima o poi su quella via ci voglio assolutamente andare…

di Daniela Zangrando 

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