Intervista a Patrick Gabarrou, grande alpinista e uomo del Monte Bianco

Patrick Gabarrou, classe 1951, francese della regione di Parigi, alpinista, filosofo, guida alpina con le sue vie ha fatto la storia dell'alpinismo sul Monte Bianco. L'intervista di don Daniele D'Elia e Ronald Gumiel in occasione della recente serata che l'ha visto protagonista al Jardin de l'Ange di Courmayeur per il ciclo Passione Verticale.
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Patrick Gabarrou al Jardin de l'Ange di Courmayeur
Michele D'Aniello, Nicola Bartolomeo
Incontriamo Patrick Gabarrou a Courmayeur. E' qui per raccontare al pubblico del Jardin de l'Ange le sue numerose ascensioni sul Monte Bianco. Il pubblico è numerosissimo e Patrick riesce a coinvolgere tutti, anche i meno appassionati, mostrando foto di bellezza incomparabile, che raccontano anche un mondo interiore molto complesso. Quello di Patrick è sicuramente un modo di vivere la montagna che va al di là della semplice prestazione agonistico - sportiva.

Gli chiediamo se il Monte Bianco, dove ha aperto la maggior parte delle sue vie alpinistiche sia un luogo privilegiato.
"Lo trovo bellissimo. E' una cattedrale di luce naturale e non ti stanchi mai di guardarlo, anche se non lo arrampichi, come in una cattedrale. Certi momenti all'alba o al tramonto sono delle viste di una bellezza soprannaturale, se vogliamo. Io amo tutte le montagne, particolarmente le Alpi e i Pirenei perchè hanno una storia legata all'uomo che ha amato queste montagne e le ha esplorate. Amo anche, ad esempio, il Cervino o il Vallese; sul Cervino ho aperto tre vie con amici. "

Ci sono delle vie da te aperte alle quali sei legato affettivamente? E come mai?
"Le vie per me sono dei rilievi naturali ma hanno una storia legata ai miei compagni. Possiamo prendere ad esempio la 'Direttissima del pilastro rosso di Brouillard' già seguita da Bonatti con uno stampo moderno che ho salito poi con Alexis-Long, il mio "gemello di montagna".

La montagna che posto occupa nella scala dei tuoi valori? E' un mezzo per conseguire qualcosa d'altro o è fine a se stessa?
"Dall'inizio ho amato molto questo mondo che rispondeva molto ai miei sogni, all'ansia di scoperta, di mistero, di gioco, alla mia curiosità. Ma dall'inizio non ho mai considerato la montagna come qualcosa d'ultimo o di definitivo, come il Graal della vita. Per me è un luogo molto forte, molto fuori dal mondo, che ci è dato per camminare nel nostro pellegrinaggio terrestre. Per me è una cosa che mi è stata data ma non è mai stato un assoluto. Quando tutto è cominciato ero già profondamente cristano e per me quella è l'essenza della vita.

Ci sono delle sensazioni prevalenti durante un'ascensione? C'è qualcosa che, in particolare, può stimolare la tua riflessione durante un'ascensione oppure alimentare un percorso interiore?
"Ci sono delle 'immagini di montagna' che mi prendono. Pensiamo alla neve che dopo qualche giorno comincia a brillare come il platino. Sono 'immagini' che in quel momento potremmo ritrovare in tutte le montagne del mondo. E' come se in questi momenti queste rocce hanno un comportamento preciso che è qualcosa di archetipico. Tutto il mondo potrebbe in quel momento o in quel giorno vedere quell'immagine in un piccolo posto della Patagonia, delle Ande, delle Alpi. Ti sembra di ritrovare qualcosa che ti corrisponde come se fosse stampato in te."

Perchè una delle tue vie è intitolata alla Divina Provvidenza? E' una scelta fortuita o legata a una circostanza singola, oppure questa fede è una costante nella tua vita?
"E' tutto legato alla storia vissuta con François Marsigny su quella parete. Avremmo dovuto precipitare alla base della parete, seicento metri più in basso e invece un chiodo e un friend ci hanno tenuto in vita. Ne abbiamo parlato con Francois che è molto indietro nel suo percorso di fede. In questi momenti di grande emozione, sai che dovresti essere morto, e se sei vivo non può che avere un senso. E quindi non è un caso, ma siamo stati protetti da Dio perchè abbiamo qualcosa da fare nella vita."

Gli incidenti in montagna di queste giorni che hanno coinvolto alcuni tuoi amici, tra cui Giorgio, e ci riferiamo agli accadimenti sul Mont Blanc du Tacul, che tipo di insegnamento ti danno o possono dare a chiunque?
"Penso che non siamo mai assolutamente preparati ma ogni giorno puoi prepararti e domandare la forza, la chiarezza del pensiero nel tuo rapporto con la morte. Io lo faccio ogni giorno e ogni mattina io do tutto a Dio, la mia vita, la mia volontà. Nel momento della morte non sai come sarà. Ma se ogni giorno a Dio dai tutto sei aiutato in questo momento della morte. Per i miei amici questa morte può essere terribile, drammatica. Ma se hai fede, sai che c'è un senso che noi non conosciamo in questo momento. La fede mi da una grande forza interiore per aiutare gli altri in questo momento. Io posso anche essere debole nella vita in genere, ma questa fede nella vita eterna, che mi abita definitivamente, anche in questa storia che sembra incomprensibile, terribile soprattutto per una moglie, i figli, gli amici, per chi ama queste persone, mi dà comunque speranza. E allora con un grande rispetto di tutto io continuo comunque a fare della montagna una maniera di cantare nella nostra memoria la bellezza del mondo e poi anche di essere fedele a una passione che nell'amicizia abbiamo condiviso con chi non c'è più. Alexis è sempre con me e io spesso prego per lui e gli domando la vetta."

Intervista di Daniele D'Elia e Ronald Gumiel



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