Grande nuova via sull'Aikache Chhok in Pakistan di George Ponsonby e James Price
Avevamo passato una settimana e mezza al campo base aspettando che il maltempo passasse, studiando le linee da scalare e passando il tempo con gli altri membri dello YAG, con gli alpinisti locali Hassan, Adnan e Najeed, e con i pastori che gentilmente ci avevano prestato ua baita. Dopo aver esplorato due valli, arrivando da un lato fino a Sani Pakush e dall'altro fino al campo base del Batura, avevamo scelto una linea che si vedeva direttamente dall'ingresso della nostra tenda: la cresta che risaliva dritto la parete nord-ovest di una montagna del massiccio di Haachindar. Incerti sul fatto che fosse già stata scalata in precedenza, abbiamo scoperto solo in seguito che un team italiano l'aveva salita per la cresta sud dal ghiacciaio Shilling Bar, battezzandola Aikache Chhok. Finalmente, le previsioni hanno annunciato un lungo periodo di bel tempo, e tutte e tre le squadre al campo base hanno iniziato a prepararsi per le rispettive salite.
Prevedendo circa cinque-sette giorni per la salita, abbiamo preso cibo per cinque giorni e gas per sette, mentre i pastori se ne stavano intorno a osservare la nostra attrezzatura, chiacchierando ed esclamando ogni tanto che la montagna era "molto pericolosa". Un imam locale era arrivato un paio di giorni prima e ci aveva detto che un ghiacciaio vicino al nostro percorso, normalmente una zona proibita a causa dei seracchi sovrastanti, ci avrebbe permesso un passaggio sicuro il giorno dopo. Nonostante questa previsione avallata dalla parola di un uomo santo, abbiamo deciso comunque di salire per un'altra via. Quel giorno i pastori hanno fatto ben poco lavoro a causa della distrazione che rappresentavamo, e verso sera la situazione è diventata un po' troppo caotica, così ci siamo ritirati nel rifugio per 30 minuti prima di partire. James si è infilato gli auricolari, io mi sono isolato, e Akbar, il capo pastore, padrone della baita che usavamo, è entrato e ci ha preparato del chai cantando sottovoce. Con quel commiato, sembrava che le stelle si stessero allineando, e dovevamo assolutamente salire quella via. Quella sera abbiamo attraversato il ghiacciaio e abbiamo bivaccato alla base della parete. Entrambi i nostri zaini si sono rotti nell'avvicinamento, nel punto in cui le bretelle per le spalle e la cintura lombare erano attaccate, così quella sera ho cucinato io mentre James riparava gli zaini con il nostro kit da cucito.
Il primo giorno di salita è iniziato alla grande, con un buon progresso lungo un canalone principale, poi a sinistra in un canalone secondario, prima di raggiungere circa 6 lunghezze di misto fino a M5/M6 per connettere piccoli nevai sempre più in alto sulla parete, nel tentativo di raggiungere la cresta. Una lunghezza memorabile ha richiesto al primo di cordata di essere calato in un piccolo couloir di ghiaccio sottile, con il secondo che ha dovuto effettuare un salto in tensione per entrarvi. Il giorno è finito tre tiri sotto la cresta, ed entrambi di noi soddisfatti dei progressi e ingenuamente convinti che la nostra tabella di marcia di cinque giorni fosse abbastanza ragionevole.
Il secondo giorno ci ha dato una bella lezione. Ci ha impiegato tutto il giorno per salire tre tiri di misto ed artif, di circa M7/A2+. James ha fatto uno sforzo notevole soprattutto sul secondo tiro, con una fessura leggermente strapiombante, salita in artificiale su roccia che diventava sempre più friabile. Io ho terminato l'arrampicata su una lunghezza che iniziava come misto ripido, per poi portare ad un misto un po’ più brutto e sepolto nella neve farinosa che finalmente conduceva in cresta. Esausti, ci siamo spostati sul lato sud della cresta e abbiamo montato la tenda nel primo raggio di sole che vedevamo da un paio di giorni. Anche se eravamo sul lato sud del massiccio, ci trovavamo sul lato nord della montagna che stavamo scalando, e l'ambientazione era diventata un po' troppo stile "Grandes Jorasses" per i nostri gusti. Vedere il sole è stata una vera benedizione.
Il terzo giorno siamo finalmente riusciti a mettere tutto dentro gli zaini – niente più giacche o borracce che penzolavano all'esterno. Abbiamo abbandonato la cresta per un tratto, a causa di roccia compatta e ripida che non potevamo scalare senza scarpette da roccia, e abbiamo risalito un ghiacciaio ripido e frammentato e cenge di neve, prima di risalire verso la cresta su terreno di misto più facile, raggiungendo un posto dove bivaccare poco prima di quello che avevamo battezzato il "secondo gradino roccioso".
Il quarto giorno ha richiesto l'attraversamento del secondo gradino roccioso, con l'unica opzione possibile i pendii di ghiaccio sul lato nord. Dopo essere scesi in corda doppia sui pendii di ghiaccio e aver salito alcune lunghezze in traverso, siamo arrivati in un vicolo cieco. Speravo di salire fino alla cresta, dove avremmo potuto muoverci per un po' su terreno facile per tornare ai pendii di ghiaccio superiori, eliminando, almeno così speravo, tre o quattro lunghezze di ghiaccio. Dopo qualche ora di lotta contro un tiro per metà ghiaccio e metà misto, era ovvio che non ce l'avremmo fatta. Con la luce che calava, siamo tornati al bivacco per riprovare il giorno dopo. Quella notte, per consolarci, abbiamo preparato quello che credevamo fosse crema pasticcera, ma è risultata essere una sostanza immangiabile, dal sapore di mango e consistenza di plastica, che abbiamo dovuto buttare. Abbiamo deciso di cambiare tattica, e siccome io avevo più esperienza sul ghiaccio, ho preso uno zaino leggero da primo, 6 chiodi da ghiaccio per lunghezza e l'incarico di farci superare il ghiaccio il più velocemente possibile.
Il quinto giorno è diventato duro. È stato un giorno lungo, lunghissimo, di arrampicata su ghiaccio con 8 tiri fino a AI5, la maggior parte di esse erano tiri da 60m su ghiaccio durissimo, e una lunghezza di neve verticale per uscire di nuovo sulla cresta al buio. Dopo quattro lunghezze a sbatterci in salita, abbiamo iniziato a commettere errori a causa della fatica e delle dita dei piedi e mani martoriate. Nonostante la maggior parte del ghiaccio fosse relativamente facile in una giornata normale, la stanchezza accumulata portava a posizionamenti approssimativi e un paio di momenti spiacevoli quando entrambi i piedi sono scivolati via. Una lunghezza di neve non proteggibile è stata la ciliegina sulla torta. La sensazione di sollievo quando siamo usciti in cima al secondo gradino roccioso a 5700m al buio è stata immensa. I danni includevano due chiodi da ghiaccio parzialmente rotti e una becca scheggiata.
Il sesto giorno abbiamo pregato per una bella cresta di neve facile fino alla mini vetta. Avrei potuto piangere quando abbiamo smontato il bivacco, abbiamo superato un piccolo dosso e visto quasi 1000m di ghiaccio nero lungo la cresta, con l'aggiunta di alcuni gradini rocciosi friabili. Entrambi avevamo i piedi a pezzi dal giorno prima, e questo sembrava non avrebbe fatto che peggiorare le cose. Questo è stato il giorno in cui abbiamo perfezionato quello che abbiamo chiamato il "Karakorum flop". Per eseguire un buon flop, sali il più possibile su ghiaccio nero dall'ultimo chiodo, idealmente in arrampicata simultanea. Quando non sopporti più il dolore alle dita dei piedi e ai polpacci, pianti la piccozza e ti appendi su essa. Poi, rilassa ogni muscolo del corpo, se lo zaino inizia a ribaltarti all'indietro, lascia fare, non opporti. Dopo un minuto di completo relax, solo allora inizi a pensare di piazzare un chiodo. Moschettoni il chiodo, poi ripeti l'intera procedura finché non finisci i chiodi. La sera, senza alcun buon punto per il bivacco in vista, abbiamo traversato verso il ghiacciaio sulla destra e abbiamo trovato un posto per il bivacco in un crepaccio a 6150m, ancora una volta dopo il tramonto.
Il settimo giorno è continuato sulla parete glaciale con altra arrampicata simultanea su neve, un gradino di ghiaccio strapiombante e una lunghezza e mezza di ghiaccio nero ripido fino alla cresta tra la vetta secondaria e la vetta principale. Il mio turno da capocordata è finito quando abbiamo raggiunto la cresta, e mentre facevo sicura, il sole è finalmente apparso. Dopo aver sofferto di dolori brucianti e biblici ai piedi prima, il sole adesso mi è sembrato il tocco di Dio, e pur non essendo religioso, ho rivolto una preghiera sincera ringraziando, chiunque fosse lassù, per il sole. Ovviamente chiunque sia ha senso dell'ironia, perché non appena la preghiera è finita, il sole è scomparso e si è scatenata una mini-tempesta. La cresta sommitale era avvolta in nuvole e vento e la visibilità è calata. James è salito da capocordata e si è aperto la strada attraverso neve infinita, raggiungendo un punto in cui la vetta era a soli 70m di distanza e 10 metri più alta, secondo la mappa. Io ho ripreso l’iniziativa per concludere. Tuttavia, 30 minuti dopo, stavamo ancora salendo, molto oltre il punto in cui la vetta era segnata sulla mappa. Volendo solo che finisse, ho iniziato a diventare paranoico riguardo a qualsiasi altro ostacolo subdolo che la montagna potesse metterci sulla via. Alle 16:00 una cosa ripida simile a una cornice si è eretta nella nebbia davanti a noi, sembrando necessarie altre due lunghezze di arrampicata! Completamente indisposti a continuare e con una visibilità terribile, abbiamo piantato la tenda proprio sotto la cornice e siamo saltati dentro la tenda per aspettare che il maltempo passasse durante la notte. Non so come abbia trovato l'energia, ma James ha fissato un tiro sulla cornice quella sera. Abbiamo tremato per tutta la notte, a malapena in grado di mangiare e concentrandoci solo nel mantenere tutte le estremità il più caldo possibile.
L'ottavo giorno è arrivato con tempo sereno e calmo, e una sola Cliffbar da dividere per colazione (cibo per cinque giorni, ricordate?). Si è scoperto che la cosa a forma di cornice era invece la vetta, e dopo averla toccata in sicurezza, assicurati con la corda (misurata 6673m sul Garmin), i pensieri si sono volti alla discesa. Molto poco della via di discesa era stato visibile dalla valle nelle settimane precedenti, e il maltempo aveva significato che le missioni di ricognizione per studiare la discesa erano state di utilità limitata. Tuttavia, le discese difficili sono dove James inizia davvero a brillare. Dopo aver raccolto quante più informazioni possibile dalla cresta sommitale, abbiamo iniziato a scendere in corda doppia, prima dalla roccia poi da infiniti Abalakov. Dopo alcuni traversi complessi, corde doppie su seracchi, altra roccia, poi ancora Abalakov, abbiamo finalmente raggiunto un posto per il bivacco proprio al tramonto, in tempo per vedere lo spettacolo immensamente confortante di luci frontali che brillavano verso di noi dal campo base. Akbar si era assicurato di puntare una luce verso di noi sulla montagna ogni sera alle 19:00, cosa che aveva fatto miracoli per il nostro morale durante la salita. Abbiamo mangiato gli ultimi dei nostri purè di patate e abbiamo diviso le ultime razioni rimanenti per quello che speravamo fosse l'ultimo giorno, esclamando quanto fosse densa l'aria a 5000m.
Il nono giorno abbiamo continuato a scendere verso una grande costola/sperone roccioso tra due ghiacciai che convergevano alla base della montagna. Non vedendo un buon passaggio attraverso nessuno dei due ghiacciai, abbiamo iniziato a scendere in corda doppia lungo la costa, puntando verso il punto di convergenza dei ghiacciai. All'ultima calata, guardando il ghiacciaio cosparso di detriti, abbiamo elaborato un piano per correre attraverso il ghiacciaio sulla sinistra – era il più percorribile dei due, ma minacciato da enormi seracchi. Completata l'ultima discesa in corda doppia, ci siamo legati e siamo saliti sul ghiacciaio, abbiamo fatto due rapide calate corda doppia lasciando lì i chiodi, abbiamo raggiunto la base del ghiacciaio, camminato 200m a destra dietro una costola rocciosa e avevamo finito! Sconvolti dalla mancanza di rischi oggettivi, abbiamo attraversato un laghetto ghiacciato sulla via del ritorno, e prima di raggiungere il campo base siamo stati salutati da una folla chiassosa e cantante composta da Adnan, Najeed, Gemma e i pastori che sparavano felici colpi di fucile in aria. Volevano chiamare la montagna "James Chhok" (monte James), poiché James aveva fatto un così buon lavoro con le relazioni internazionali, ma lui li ha convinti a chiamarla "Akbar Chhok" invece, in onore del nostro ospite.
Ci sono molte persone da ringraziare per questa spedizione – Mountain Equipment, Petzl e La Sportiva per il materiale fornit, l'Alpine Club, il Mount Everest Foundation (MEF), il British Mountaineering Club (BMC) e lo Scottish Mountaineering Club (SMC) per l’aiuto economico, Tom Livingstone per aver creato lo YAG e averci riunito tutti, James per la grande esperienza che ha portato in Pakistan, Hassan, Adnan e Najeeb per averci ospitato all'Hostel Nomads e per essersi uniti a noi nel viaggio, e soprattutto Akbar e gli altri pastori che gentilmente ci hanno ospitato per tutta la nostra permanenza in montagna, ci hanno fornito cibo e riparo, e ci hanno tenuto d'occhio mentre eravamo in montagna.
- George Ponsonby, Irlanda
- La prima salita dell'Aikache Chhok è stata realizzata nel 1983 da Enrico De Luca, Giorgio Malucci e Gianpiero Di Federico.













































