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Ugo Manera, assicurato da Claudio Santunione. Una cordata storica a Cateissoft il 29 gennaio 2019
Fotografia di archivio Andrea Giorda
Ugo Manera
Fotografia di archivio Ugo Manera
Il Caporal (Valle dell'Orco)
Fotografia di archivio Ugo Manera
Andrea Giorda e Ugo Manera
Fotografia di archivio Andrea Giorda

Gli 80 anni di Ugo Manera

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Andrea Giorda racconta gli 80 anni di Ugo Manera, il fortissimo alpinista ed accademico del Club Alpino Accademico Italiano, nato a Torino il 1º febbraio 1939, che ha giocato un ruolo fondamentale nel movimento del Nuovo Mattino e, a partire degli anni ’70, è stato un assoluto punto di riferimento per l’arrampicata e l’alpinismo italiano.

ìVenerdi 1 febbraio 2019 Ugo compie 80 anni, la sua storia è scritta in un libro Pan e Pera e di lui si sa tutto. Per gli 80 anni di Ugo ho pensato di scrivere la mia esperienza, di getto, magari con qualche imprecisione, poco importa. Lui già prima era un alpinista famoso, ma il mio racconto inizia da come io l’ho conosciuto. Un punto di vista esterno non convenzionale. Ho scritto in pochi minuti sulla base dei sentimenti e dei ricordi, anche con riconoscenza per quello che Ugo è stato ed è. Non sempre ho condiviso tutti i suoi punti di vista ma di sicuro è uno con cui è sempre stato bello, interessante e spesso divertente confrontarsi.

Nei primi anni ’70 avevo visto qualche volta Ugo al CAI, sempre indaffarato e deciso, incuteva un certo timore reverenziale.... non ci conoscevamo, erano i tempi del Nuovo Mattino e lui apriva vie con Gian Carlo Grassi Grassi e Giampiero Motti, suo grande amico. E’ curioso quanto fossero diversi. Giampiero era l’intellettuale delle domande... e noi ragazzini avevamo da pensare. Ugo era la concretezza delle risposte insieme incarnavano lo Yin e lo Yang.

In quegli anni ero istruttore di Sci Alpinismo alla Sucai e avevo già un bel curriculum di scalate dalle Dolomiti alle Alpi Centrali con Enrico Camanni. Normale che due ragazzi sentissero il bisogno di confrontarsi con i più forti scalatori del momento, che militavano quasi tutti alla Scuola Gervasutti.

Decidemmo strategicamente di iscriverci come allievi nell’autunno del 1977 e, alle Courbassere, Ugo invitò Enrico, che già conosceva e me a provare alcuni passaggi che scalammo senza troppe difficoltà. Il nostro impegno come allievi fu decisamente scarso e addirittura io arrivai una mattina in ritardo in piazza Castello dove ci si trovava, ero rimasto in giro tutta la notte a far casino con un’amica. Non sapevo, ma ero stato assegnato proprio ad Ugo! Ugo mi rampognò bonariamente e visto che gli avevo detto che avevo solo una vecchia piccozza in legno mi aveva portato la sua, in alluminio, reduce da spedizioni, non la usava più e la conservo ancora.

Pochi giorni dopo mia madre mi chiama e mi dice che al telefono c’è un signore che non ha capito chi è, io rispondo e riconosco la voce di Ugo e temo un mega cazziatone... invece lui con tono burbero mi dice, senza chiamarmi per nome… "senti un po’ vuoi venire a fare l’istruttore alla scuola Gervasutti?"

Io non mi aspettavo questa promozione sul campo e non mi pareva vero. La stessa telefonata fu fatta a Enrico Camanni e volavamo a metri di altezza, come solo due ragazzini invasati potevano fare. Alla prima riunione ricordo Locatelli, Meneghin, Santunione e tanti altri che leggete nei racconti di storia ed io ed Enrico eravamo li ad occhi bassi, ma non dimessi, le nostre ripetizioni erano di tutto rispetto. Conobbi Ugo direttore, giovane, determinato, molto meno scherzoso che ora, ma sempre chiaro franco e leale. Anche nella mia vicenda avrebbe potuto liquidarmi come un tipo inaffidabile e farmi pagare l’affronto …. invece valorizzò l’aspetto positivo, la non comune esperienza in montagna e le capacità in arrampicata.

I valori e i modi di andare in montagna erano molto diversi da ora. Per dirla in breve, era dominio comune che l’alpinismo fosse un’attività pericolosa, anche mortale e questo fatto era accettato da tutti. Nelle nostre uscite era normale andare su terreno vergine, trascinare gli allievi su terreni infidi e non sempre proteggibili come normalmente facevamo noi alla domenica. Ovvio che si usava il buon senso, e l’allievo era messo tutte le volte che si poteva in sicurezza. Ma su certi terreni e in certe condizioni la sicurezza è relativa.

Nel 1979 successe un brutto incidente, in un’uscita del corso di alpinismo al rifugio Teodulo dovevamo fare le nord dei Breithorn, la Supersaxo, la Triftjigrat e la Jung! Io avevo 20 anni e stavo andando alla Jung con due allievi inesperti (!), mi sentivo forte, con energie debordanti…le nord le avevo fatte tutte e mi mancava quella, correvo di notte fra i crepacci perché era la via più distante e lunga. Enrico Pessiva era vicino a me e mi disse che sentiva delle voci… le prime luci dell’alba inquadrarono l’attacco della Triftjigrat dove giaceva un allievo morto e un istruttore ferito. Non si sa come, l’unica pietra in mezzo a una parete ghiacciata era cascata addosso ai due malcapitati, lasciandoli in una striscia di sangue.

Portai giù io l’auto del morto, non ero scioccato per nulla, nella mia testa bislacca di ventenne era un fatto che poteva accadere e si accettava per una passione che non aveva limiti. Per Ugo non fu lo stesso, dovette andare dai genitori e dire che il loro figlio era morto. Da quel giorno la Gerva cambiò, l’aspetto sicurezza entrò prepotentemente nelle nostre discussioni e Ugo scelse di orientare la scuola verso una attività pur sempre avventurosa, eravamo una scuola di alpinismo vero! Ma la scelta delle mete e la selezione degli istruttori avrebbe tenuto in maggior conto i pericoli oggettivi.

Ugo intanto apriva vie a ripetizione, sul Monte Bianco e soprattutto nel Gran Paradiso, erano gli anni in cui il sodalizio con Isidoro Meneghin fu più forte, e Isidoro era spesso anche mio compagno di aperture o scalate, insieme aprimmo la via alle Pagine di pietra nel vallone di Forzo.

Ugo scalava e sulla Rivista della Montagna puntualmente raccontava le sue esperienze e i suoi punti di vista che facevano sempre discutere. In quegli anni, mi pare proprio Motti, lo chiamava simpaticamente Pan e Pera e lui invece di piccarsi ne ha sempre giustamente fatto un vanto. Il suo Alpinismo era tirato fuori a forza, da una dura attività lavorativa, a differenza di Grassi o altri, il suo tempo era limitato e non poteva perderne!

Spesso ancora oggi dice di se di non essere mai stato un fenomeno dell’arrampicata, ma questo non vuol dire che non sia stato un fenomeno nelle realizzazioni. Il punto più alto della sua carriera alpinistica è nel 1980, quando scala in una spedizione composta da vari alpinisti il Changabang nel Garhwal indiano. Lui e Lino Castiglia raggiungono la vetta soli, dopo un lavoro di squadra per arrivare al colle. Per darvi un’idea in quei posti aveva già incontrato in una spedizione precedente Peter Boardman e Joe Tasker, leggende dell’alpinismo mondiale. Il grande alpinismo si faceva li, e Ugo era arrivato in vetta. Tra le grandi imprese italiane dell’alpinismo extraeuropeo il K2, il Tirich Mir di Guido Machetto e Gianni Calcagno, il Gasherbrum IV di Bonatti e Mauri … il Changabang di Ugo e Lino non era certo da meno.

Che dire? Ugo quando c’è una novità tecnica, un nuovo orizzonte non si arrocca mai al suo grande passato ma ancora oggi è curioso anche delle piccole cose. Per me è sempre una grande piacere quando ci vediamo e mi racconta i suoi imperdibili aneddoti…

Martedì siamo andati io e Battezzati per l’ultimo ritocco alla nostra nuova falesia Cateissoft, vediamo che c’è qualcuno… Ugo Manera e Claudio Santunione, devo dire che mi sono emozionato a rivederli insieme. Ugo 80 anni venerdì 1 febbraio 2019 e Santunione, Santunghia per gli amici. A 71 anni che lo assicurava con la massima attenzione, come fosse un prezioso vaso di porcellana che non doveva assolutamente cadere. Una cordata apparentemente fragile, di anziani, ma con uno spirito e una determinazione inalterati, nei loro gesti e nei loro occhi nulla era cambiato.

Grazie UGO! Buon compleanno.

di Andrea Giorda

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