Grande alpinismo tradizionale: l'ambassador C.A.M.P. Zdeněk Hák in bello stile sulla parete sudest dell'Hunza Peak

Da Gilgit risaliamo la valle dell’Hunza, lungo la celebre Karakorum Highway (KKH): prima verso nord e poi a est, aggirando il magnifico Rakaposhi (7788 m). Strada e fiume l’una accanto all’altro – la prima fragile e il secondo potenzialmente devastante – e attorno, a destra e a sinistra, le gigantesche montagne del Pakistan settentrionale: colossi di settemila e passa metri scalati una manciata di volte, dove l’avventura è ancora totale. Arriviamo a Karimabad (circa 2400 m): la KKH prosegue verso il passo Khunjerab (4693 m, il più alto punto di confine asfaltato del mondo, oltre cui sta la Cina) e noi ci fermiamo, ai piedi dell’Ultar Sar (7388 m) e dell’Hunza Peak (6270 m).
Vette da intenditori, certamente, come tutte quelle affrontate negli ultimi anni e sempre in leggerissimo stile alpino da Zdeněk “Háček” Hák. Ma cos’ha combinato, questa volta, il nostro fuoriclasse della Repubblica Ceca? Ha messo gli occhi sull’inviolata parete sudest dell’Hunza Peak, scalato per la prima volta nel 1991 da Mick Fowler e Crag Jones per la cresta sudovest, e dopo essersi acclimatato e aver studiato l’itinerario ha atteso il momento buono per realizzare il suo progetto. Con lui, come già nel 2022 sul Chumbu (6859 m, prima ascensione assoluta), nel 2023 sul Cholatse (6440 m, prima salita della parete ovest) e nel 2024 sul Muchu Chhish (7453 m, prima ascensione assoluta), il connazionale Radoslav Groh.
I due amici hanno lasciato il campo base (3200 m) il 6 giugno 2025 e dopo cinque giorni di scalata hanno finalmente raggiunto la vetta dell’Hunza Peak, dedicando la via appena aperta all’Eid al-Adha: la “Festa del sacrificio” musulmana, che quest’anno cominciava proprio il 6 giugno, che commemora l’obbedienza di Abramo (Ibrahim in arabo) a Dio. L’itinerario di Hák e Groh si sviluppa per 2300 metri su roccia (V+), ghiaccio (WI5) e misto (M6+) e non è soltanto tecnicamente impegnativo ma anche pericoloso, specialmente nella prima metà esposta alla caduta di blocchi di ghiaccio.
Le condizioni meteo hanno complicato i bivacchi nella parte superiore della parete. Tra il quarto e il quinto giorno, Zdeněk e Radoslav hanno dovuto scavare nel ghiaccio per cinque ore fino a ricavare un terrazzino largo un metro dove passare scomodamente la notte, trascorsa sempre assicurati per evitare di precipitare durante il riposo (parlare di sonno ci sembra eccessivo). Da quel ripiano è partita la puntata finale verso la vetta: 20 ore di azione al termine di un crescendo tecnico, fisico e mentale. Non breve la discesa e profonda la soddisfazione una volta rimesso piede al campo base, guardando in alto verso l’Hunza Peak dove era stata appena scritta, con il prezioso aiuto degli attrezzi C.A.M.P., una nuova entusiasmante pagina di grande alpinismo tradizionale.
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