Ugo Manera, dal Monviso al Changabang

Intervista di Andrea Giorda a Ugo Manera in occasione dell'uscita del suo nuovo libro Dal Monviso al Changabang - Scalate e personaggi di sei decenni di Alpinismo (Fusta editore 2022).
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Ugo Manera in apertura sulla via dell'Addio, Parete dei Titani, Vallone di Sea, il 26/08/1983
archivio Ugo Manera

A 83 anni Ugo Manera non sembra proprio intenzionato ad appendere le scarpette al chiodo. Questo autunno, al corso di arrampicata base della Scuola di alpinismo Gervasutti mancava un istruttore per l’uscita alla Rocca Sbarua e Ugo, chiamato dal Direttore Claudio Battezzati, ha risposto presente. Ugo è stato il Direttore della Scuola ed è istruttore dagli anni ’60, ai tempi di Gian Piero Motti e Gian Carlo Grassi. Immaginate per un giovane allievo avere al fianco Ugo Manera in parete, che con il suo entusiasmo ti spiega come scalare e come diventare un alpinista. Gli allievi sono entusiasti e raccontano di esperienze indelebili.

Da sempre ad Ugo piace raccontare, condividere le sue esperienze, anche in questo mondo che è cambiato radicalmente. Quest’anno al corso della Gervasutti su 46 allievi iscritti, 26 erano ragazze, pensare che un tempo nella Scuola erano ritenute una distrazione per il virile alpinista. Manera ha sempre fatto battaglie di avanguardia, spendendosi ad esempio per le donne che non potevano neanche entrare nel Club Alpino Accademico Italiano, secondo alcuni non adatte al rude ambiente alpino. Personaggi come la francese Catherine Destivelle hanno rotto il soffitto di cristallo asfaltando le teorie dei vecchi tromboni e per noi ora è normale leggere le imprese della nostra Federica Mingolla, senza badare al genere.

Ugo mi riceve a casa sua nel suo studio, mi fa sedere al tavolo in solido legno massiccio costruito da lui, un po’ a sua immagine e somiglianza e gli faccio la prima domanda.

Nel 2003 era uscita per i Licheni la tua autobiografia con il simpatico nomignolo coniato da Giampiero Motti, Pan e Pera (Pane e Pietra in piemontese). Sembrava un libro definitivo, cosa ti ha spinto a scriverne un altro e cosa c’è di nuovo per i tuoi lettori?
Pan e Pera era il racconto della mia vita con aneddoti anche non alpinistici ed un racconto cronologico delle mie scalate. Nel 2013 Alessandro Gogna ha lanciato il suo Blog, inizialmente mi limitavo a leggerlo tutti i giorni, poi, nel 2016, l’anno che sarebbe stato il settantesimo per l’amico Gian Carlo Grassi, sono andato a raccogliere quanto avevo scritto sullo sfortunato personaggio e l’ho passato ad Alessandro. Il riscontro è stato immediato e positivo ed è così iniziata la mia collaborazione con il blog. Complice il fatto che ormai per me il tempo delle grandi avventure è passato, ho tirato fuori miei articoli pubblicati sulle vecchie riviste, li ho copiati in word e attualizzati per renderli comprensibili ad un pubblico contemporaneo. Per me è stato come rivivere quelle avventure e poterle ancora condividere è una grande soddisfazione. Questi articoli sono ricchi di aneddoti, situazioni, personaggi famosi e meno famosi che possono incuriosire e ora sono diventati un libro.

Proprio Alessandro nel 1975 ha scritto un libro iconico, Un Alpinismo di Ricerca. Quanta ricerca c’è stata nel tuo Alpinismo, nei luoghi che hai frequentato e nelle tecniche di scalata?
Sono sempre stato un "Alpinista di ricerca", non mi piacciono le cose preconfezionate, scontate. Il desiderio di Avventura ha sempre guidato le mie scelte, già da piccolo leggevo i libri di Salgari e sognavo le avventure della fantasia. Da grande ho voluto cercare e vivere delle mie avventure; ho scoperto che la montagna era il terreno ideale. Ho cercato di viverle in modo compatibile anche con il lavoro e una famiglia.
Mi ha sempre appassionato anche capire le motivazioni sul perché uno scala le montagne, qualcuno prima di me disse "perché esistono", ma le ragioni sono tante ed ognuno ha le sue. Sulle tecniche, specie quelle che aumentano la sicurezza, sono sempre stato aggiornato, perché non ho mai amato il rischio oltre ad un certo limite. Non mi piacciono le situazioni estreme come le solitarie, ne ho fatte pochissime, ho privilegiato l’aspetto sicurezza ed il tornare a casa, per me, è stato sempre un fattore preponderante.

Hai riservato molte pagine ai tuoi compagni di scalata, come mai questa scelta?
Certo i compagni sono importanti, io ho sempre scalato in cordata, a volte mi son legato con ragazzi anche della Scuola Gervasutti appena conosciuti pur di portare a casa una salita. Ma il mio intento nel libro è quello di descrivere dei personaggi noti o meno noti che mi hanno colpito e soprattutto non farne dei santini ma raccontare veramente come erano o almeno come io li ho vissuti.

Un’ ultima mia curiosità, raccontami la tua grande prima ripetizione italiana della via Gervasutti alla Nord dell’Ailefroide in Delfinato, ricordo i commenti tragicomici di Flaviano Bessone, tuo compagno in quella scalata, e la eccezionale spedizione al Changabang. Due punti fermi ed eccellenti del tuo curriculum di Alpinista.
Quando non sapevo ancora nulla di montagna e mi chiedevo chi portasse su una corda per appendersi e salire, trovai in biblioteca il manuale di Alpinismo di Giusto Gervasutti e Renato Chabod (edito a metà degli anni ’30) e lo lessi tutto con interesse anche se non sapevo cosa fosse l’alpinismo.

La figura di Gervasutti mi rimase impressa e quando l’alpinismo divenne una mia ragione di vita, e mi sentii pronto, volli ripetere la sua epica via che scalò con tre costole rotte, per una banale caduta prima di attaccare. Quanto al Bessone, lo conosci, è un ottimo Alpinista ma lui ama la roccia bella, l’accesso facile e le temperature miti, non proprio l’ambiente di una Nord paragonata a quella delle Grandes Jorasses nel Monte Bianco.

Il Changabang lo vidi per la prima volta nel 1976, dove incontrammo i mitici Peter Boardman e Joe Tasker reduci dall’eccezionale impresa sulla Ovest di quella straordinaria montagna che da subito mi ha conquistato ed ho sognato di scalarla. Al momento di partire per il Changabang ero un po’ intimorito dalle difficoltà che avremo incontrato. Era quella una montagna da professionisti e noi eravamo alpinisti dilettanti. Un po’ di fortuna e moltissima determinazione mi hanno permesso di raggiungere anche questo insperato obiettivo.

Grazie Ugo al prossimo libro allora… mi sa che la tua storia non finisce qui!

Ugo Manera quest’anno 2022 ha celebrato i 50 anni della prima salita al Caporal in Valle Orco, compiuta con Gian Piero Motti e compagni. Questa estate per le riprese di un documentario della serie DoloMitiche della Guida alpina Alessandro Beber, ha ripetuto la via del Pesce d’Aprile alla Torre di Aimonin, l’avvincente video racconto è disponibile su Youtube. A settembre, in occasione del meeting dell’Alpine Club UK ha scalato con Claudio Battezzati e Richard Nadin, vice presidente del Club britannico la via Serendipity al Sergent con difficoltà fino al 6b. Ugo non smette di guardare avanti, è sempre un riferimento per idee e modernità lo dimostra anche la sua battaglia per rivedere in chiave attuale i criteri di ammissione al Club Alpino Accademico, per rinnovarne l’immagine e le forze, che non possono che venire dai giovani.

Andrea Giorda CAAI – ALPINE CLUB UK




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