Niccolò Ceria, Gabriele Moroni, Alessandro Zeni: una chiacchierata con Massimo Malpezzi

Massimo Malpezzi dialoga con tre dei climber più importanti dell'arrampicata, non solo italiana: Niccolò Ceria, Gabriele Moroni e Alessandro Zeni.
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Gabriele Moroni sui boulder di Luogosanto in Sardegna
Massimo Malpezzi

Da osservatore ritorno a scrivere di arrampicata e in questo lungo e tormentato anno la mia attenzione è stata catalizzata principalmente da tre personaggi direi ormai storici dell’arrampicata. In fondo come spesso accade, ci si affida alle certezze e i tre amici che ho incontrato, in una virtuale bevuta di birra intorno ad un tavolo, non hanno certo deluso le aspettative, soprattutto da un punto di vista della ricerca e dell’attenzione alla storia.

I vari lockdown e divieti di espatrio hanno di fatto rivalutato i territori più accessibili, o almeno quelli che potevano essere papabili per sbucciarsi le dita sulle rocce nostrane. Sto parlando di Gabriele Moroni, Niccolò Ceria e Alessandro Zeni che sono sempre riusciti a trovare spazi liberi quando era possibile muoversi senza problemi Dcpm.

Ale Zeni è un giovane arrampicatore trentino, personalmente lo considero probabilmente uno dei punti di riferimento mondiale per chi ama l’arrampicata di placca. Niccolò Ceria non ha bisogno di presentazioni, boulderista per scelta, ama confrontarsi con i più grandi problemi di blocchi in tutto il mondo,soprattutto risolvendoli! Gabrile Moroni invece è una istituzione dell’arrampicata Italiana e internazionale, climber polivalente sia sui tiri che sui Boulder, nazionale di arrampicata con risultati di livello assoluto.


Malpe: Ciao ragazzi, avevo voglia di raccontare un po' le vostre vite arrampicatorie. In questo ultimo periodo, vi ho seguito necessariamente tramite i social, intanto complimenti Gabri per il titolo italiano di Boulder, titolo conseguito per la quarta volta ad ottobre 2020. Ho quasi la sensazione che oggi le tue gare vivano una sorta di spensieratezza e di gioco che vanno aldi là della competizione e del suo risultato?

Gabri: Sì Malpe hai detto bene... dopo la vittoria in Giappone nel 2018 ho proprio cambiato l’approccio alla gara. Sono il veterano ultra trentenne che gioca con i teenager e si diverte sempre un sacco. Nell’ultimo anno, ovviamente per motivi di forza maggiore, anche la preparazione alle gare è stata diversa. Il circuito internazionale è saltato quindi l’unico appuntamento importante è stato il Campionato Nazionale. Fino all’ultimo non sapevo neanche se avrei partecipato. Poi sentendomi discretamente in forma ho deciso di prenderne parte e alla fine è andata come sappiamo un po’ grazie all’allenamento dell’ultimo minuto un po’ grazie alla buona e vecchia esperienza!

Malpe: Conoscendo la vostra innata voglia di viaggiare alla ricerca di stimoli ma soprattutto di divertimento, come avete reagito soprattutto nei tre mesi di stop forzato. Immagino sia stato un tormento starsene a casa.

Ale: Sicuramente il momento non è stato dei più semplici. Le belle giornate di sole e le condizioni stratosferiche di quel periodo spesso mi proiettavano immerso tra enormi pareti; un giorno mi immaginavo a scalare sulla sud della Marmolada, il giorno dopo ero in Verdon poi ancora in apertura su quella via rimasta incompiuta assieme all’amico di sempre Riccardo Scarian... Inutile negarlo, è stato difficile. Ma ho sempre creduto che per ogni difficoltà possiamo essere noi a decidere se affrontarla come un impedimento o come una possibilità per migliorare degli aspetti che a volte, troppo abituati a rincorrere sogni, tendiamo a trascurare.
Così ho affrontato quei giorni approffittando per stare assieme alla mia ragazza Ilenia, allenarmi al trave in vista dei prossimi obiettivi e cercando di utilizzare i miei canali social in modo utile condividendo dei video con degli allenamenti al trave.
Sono stato felice di vedere che molti climbers li abbiano trovati utili. Sicuramente la cosa non ha trasformato quel momento, ma la mia speranza è quella di essere stato capace di aiutare qualcuno a non mollare, a tenere duro e a dare uno stimolo per rimanere motivati.
Mi lamento un po' di più per quanto riguarda la situazione globale. Il virus è sicuramente un grande problema da affrontare, chiaro, ma in alcune occasioni mi sembra che le limitazioni alle nostre libertà siano state un po’ eccessive. Scalare sui sassi in natura con le giuste misure e applicando il buon senso dovrebbe essere a mio parere più concesso, così come si dovrebbe valutare la possibilità di mantenere vive anche altre attività che con il virus non hanno nulla a che fare.

Gabri: Io nella sfiga ho avuto una serie di fortune... Il weekend prima del lockdown avrei dovuto essere a fare una gara in Germania. Il giorno prima della partenza mi cancellano il volo quindi decido di andare con la mia compagna ad Arco per il fine settimana. La domenica arriva la notizia delle zone rosse quindi decidiamo di rimanere qualche giorno in più per capire come si sarebbe evoluta la situazione. Qualche giorno in più si trasforma in due mesi e mezzo di permanenza. Seconda fortuna essere stati vicini di casa di Seve Scassa che possiede un pannello in garage...

Nic: Da diversi anni alterno lunghi periodi di viaggio a periodi completamente opposti in cui sto "fermo" vicino le zone di casa, mi riposo e mi dedico ad altro. Per cui, periodi come quelli della primavera 2020 sono stati molto simili ad altri che ho vissuto in passato. L’enorme differenza si trova nella scelta. Un conto è quando scegli di tua spontanea volontà di isolarti o di prenderti un periodo di pausa dai viaggi, ben diverso invece è quando questo stop viene imposto da norme e restrizioni ufficiali.
Detto ciò, non credo sia corretto lamentarsi nella mia situazione personale. Da tre anni a questa parte ho un pannello casalingo molto divertente. Mi sono letteralmente trasferito in questo bunker che è, tra l’altro, situato in una zona di campagna, quindi vivevo in un ambiente rilassante se paragonato a chi ha dovuto subirsi due mesi di appartamento con molte meno possibilità.
Mi lamento certamente per la situazione globale. Il virus è un problema, chiaro, ma non possiamo continuare a rinunciare alle nostre libertà per morire sicuri in casa. Scalare sui sassi in natura con le giuste misure e applicando il buon senso dovrebbe essere a mio parere concesso, così come si dovrebbe valutare la possibilità di mantenere vive anche altre attività che con il virus non hanno nulla a che fare.

Malpe: Dopo il blocco di marzo e aprile finalmente era giunto il momento di riaprire le danze, escludendo i progetti d’oltralpe, il viaggio è tornato nostrano, insomma un ritorno alle rocce di casa. Ero curioso di sapere se in qualche maniera, nel lungo stop fatto di pensieri e riflessioni, avevate predisposto in previsione, una sorta di piano B da seguire oppure se la voglia forte di tornare liberi fosse già di per sé una grande conquista da vivere senza progetti

Nic: Il Nord Ovest è un luogo in cui ho esplorato poco rispetto a ciò che desidero perché ogni volta che mi trovo qui il tempo è limitato. Ci sono un sacco di valli ricche di roccia. Maggio è stato per me una piccola tabula rasa. Non avevo nessuno stimolo per andare fuori a scalare o a provare chissà quale linea, volevo solo camminare e camminare per cercare sassi in luoghi in cui non avevo mai passeggiato. Credo che questa cosa sarebbe successa indipendentemente da tutto il resto, siccome era nelle mie intenzioni e capitava in un mese (maggio) in cui non avevo altri piani stravaganti a prescindere dalla pandemia. Volevo solo trovare pezzi di roccia che stimolassero la parte creativa e ricercare qualcosa di bello. Come detto prima, i mesi del lockdown non sono stati così tormentati nel mio caso e, anche grazie a questo aspetto, nel periodo post-restrizioni ho potuto dedicarmi a ciò che davvero sentivo senza percepire pressioni o dover optare per ripieghi.

Gabri: Per me più che altro è stata una grande liberazione poter andare in falesia i giorni dopo la fine del lockdown. Passarlo ad Arco ha avuto psicologicamente i suoi pro e i suoi contro. Pro ovviamente meglio in un bellissimo posto rispetto a un appartamento in città, contro essere in mezzo alle pareti ma senza poterle scalare. Sta di fatto che dopo l’apertura ho recuperato scalando il più possibile prima di ritornare a casa e al lavoro in palestra.

Ale: Inizialmente il mio progetto era quello di andare in America; volevo vedere e conoscere quelle mete tanto rinomate oltre oceano. Il programma era di visitare Indian Creek, Bishop, Red Rock per poi scalare sulla big wall più famosa al mondo: El Cap. Una fitta nevicata di sogni e progetti che di colpo si sono sciolti sotto un caldo sole, proiettati e posticipati verso un futuro incerto e lontano. A quel punto l’unica cosa da fare era adattarsi e cambiare le carte in tavola. Come alpinisti e scalatori siamo però abituati al cambiamento: spesso situazioni difficili, il repentino cambiare del meteo o la mancanza di energie ci impongono a dei radicali e veloci cambi di programma.
Non è stato difficile quindi rivedere i mei progetti e nel periodo di lockdown ho iniziato a pensare a cosa di interessante si potesse fare in Dolomiti. Da anni l’idea era quella di andare a ripetere la via più difficile delle Pale di San Martino: Cani Morti, aperta dall’amico Riccardo Scarian assieme a Manolo. È stato un progetto stimolante e che ho avuto la fortuna di poter condividere assieme ad un altro grande alpinista e amico: Alessandro (Bobo) Rudatis. E’ per me fondamentale condividere momenti e scalate con persone positive e piene di belle energie e con Ale ho trovato esattamente quel che cercavo trascorrendo davvero dei bei momenti in quel luogo così lontano dal mondo riuscendo nella prima libera di Cani Morti Plus ossia il concatenamento delle prime due lunghezze di Cani Morti.

Malpe: Vorrei entrare di più dentro alle vostre filosofie, Ale ti seguo attraverso FB ed è lì che sono stato attratto dal tuo modo di vivere la montagna che va davvero al di là della performance, i tuoi post non si fermano mai allo sterile grado fatto, anzi le tue salite di primissimo livello sono sempre accompagnate da una storia sempre profonda su ciò che fai e vivi dando spessore ai tuoi gesti, una cosa che personalmente apprezzo tantissimo. Un approccio quasi romantico, perfettamente in sintonia con il tuo stile di arrampicata che ami di più; la placca, un genere che molti climber “scantonano” per non fare brutte figure, equilibrio precisione, pazienza su difficoltà davvero super, e sappiamo tutti cosa significhi scalare gradi altissimi su muri che somigliano molto a quello di casa mia, come nasce questo amore particolare?

Ale: Innanzi tutto ti ringrazio, mi fa piacere che tu abbia percepito questo mio modo personale di vivere la montagna. Io sono nato e cresciuto in Primiero e qui ho costruito una grande amicizia con uno scalatore che su questo genere di scalata ha trascorso anni a perfezionarsi e ad aprire molte vie difficili: Riccardo Scarian. Lui mi ha fatto conoscere questo modo lento di progredire, la pazienza necessaria per guardare la roccia con occhi diversi per veder affiorare su un muro, all’apparenza liscio, delle piccole liste che ti permettano di progredire. Ammetto che all’inizio erano solo appigli ridicoli, poi sono diventati appoggi ed infine dopo anni sono diventati addirittura appigli. Scalando gran parte delle vie di Manolo ho affinato la mia tecnica, ho iniziato a viaggiare e a capire sempre di più cosa davvero ero chiamato a fare.
Per me la scalata è divenuta una ricerca personale, una maniera per imparare ad affrontare le difficoltà della vita, conoscere i miei limiti. Da sempre scalo su ogni tipo di terreno, ma tutto questo l'ho trovato soprattutto su pareti verticali dove mente e corpo lavorano all’unisono per creare una sinfonia fatta di equilibri, calma e concentrazione.
Probabilmente non è propriamente il tipo di scalata più in voga al momento e forse anche quella che fa meno rumore a livello mediatico, ma questo sono io e questo è ciò che mi rende felice. Mio padre è un artista e scolpisce il legno, ricordo che da piccolo una volta mi disse: “Non è che se le mie sculture ad alcune persone non piacciono io smetterò di farle! E’ arte! Mi basta che ciò che faccio sia quello che avevo in mente e che mi renda orgoglioso del risultato.”

Malpe: Dopo un brindisi virtuale davanti alle nostre birre la chiacchierata continua. Seguo Nic da qualche anno e ho avuto il piacere, in alcune occasioni, di seguirlo attraverso i sassi valdostani, camminare con lui alla ricerca dei massi è un po' come avere una guida tutta per te dentro il Louvre, ti porta con eccitazione e passione raccontandoti gli aneddoti e le storie di quelle rocce come fossero dei libri aperti. Nic ho visto che la tua ricerca tutta di casa ha rispolverato vecchi progetti, come se fossero linee pronte solo per questo momento di ritorno alla libertà dedicando loro un atteggiamento quasi diverso.

Nic: Ho sempre reputato speciali alcuni aspetti della zona di casa (Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta). Da quando ho iniziato a cercare e a pulire passaggi in queste zone ne sono sempre stato legato da un punto di vista soggettivo, ma anche oggettivo perché alla fine, una decina di questi passaggi hanno un carattere estremamente forte. Il ritorno a piccole dosi di libertà non ha cambiato di troppo questa concezione... forse, e penso sia naturale, l’ha rafforzata un po’ di più anche per una questione logistica siccome le possibilità di viaggio, in Europa ed oltre Oceano, erano e sono tuttora più difficili da organizzare. Questo non rende comunque il Nord Ovest un piano B, anzi, finalmente ho avuto un periodo in cui non c’era altro a cui pensare se non dedicarmi alle camminate e alle ricerche. Alla fine ho trascorso mesi solo a cercare e a pulire. La scalata su questi passaggi è stata del 10%, quindi praticamente nulla. Spero prossimamente di avere occasioni per dedicarmi anche alla ricerca gestuale e non solo a quella visiva. In quanto al rispolvero sì, ce ne sono stati alcuni. Mi viene in mente un progetto storico aperto da Christian Core che aspetta ancora una prima salita...

Malpe: Come Ale non ami mai banalizzare ciò che stai facendo soprattutto dedicando molti dei tuoi pensieri al tema ambientale, etico e alla storia, una domanda provocatoria: abbiamo, mai come oggi, bisogno di testimonial credibili che possano in qualche maniera indirizzare le nuove generazioni ad un approccio consapevole verso la natura. Ma sinceramente sei sicuro che i nuovi giovani boulderisti sappiano recepire il messaggio?

Nic: Credo ci siano eccezioni, ma a livello generale i giovani e i giovanissimi hanno meno chance rispetto a quelle che abbiamo avuto noi; dico questo riferendomi al sistema omologato in cui si cresce oggi. Mi viene in mente la via trad che Gabri liberò nel 2015 al metanodotto battezzandola Maestri di Vita. Io e lui abbiamo avuto la fortuna di crescere sia come individui, che come scalatori, insieme a persone che ci hanno insegnato diverse cose, senza troppa didattica, ma bensì attraverso il carisma e la passione; non parlo solo del gesto tecnico, ma mi riferisco soprattutto a questioni di approccio, di visione, di rispetto per la roccia e anche per la storia del boulder.
È un processo di apprendimento lungo ed infinito, tant’è che la mia concezione è cambiata drasticamente negli anni: cose a cui ora dedico attenzione, erano solo dei pezzi superficiali anni addietro e credo ci sia ancora spazio per mettersi in discussione. Questo anche grazie al fatto che fino a qualche anno fa vi erano più ambienti fertili per far riflettere i climbers su tali questioni.
Ovviamente c’è chi ha queste attitudini e chi ne ha meno (io ad esempio ci ho lavorato parecchio sopra); la differenza, a parer mio, sta nel mondo in cui esse evolvono, o hanno la possibilità di evolvere, e credo che, per quanta "colpa" si possa dare alle nuove generazioni, la responsabilità più grande derivi dal sistema attorno che è quasi incontrollabile. Si pensi ad esempio all’impatto di tutta l’influenza smart, oppure ad alcune palestre dei centri urbani (da dove nascono diversi scalatori outdoor) che oggi si sono trasformati in grandissimi centri, dotati di qualsiasi comfort e con delle enormi potenzialità, ma dove secondo me si sta lasciando un po’ indietro il puro aspetto di una sala boulder come ad esempio i muri con gli appigli (pare scontato, ma oggi sono totalmente assenti) che permettevano l’invenzione dei passaggi, lo scambio gestuale con gli altri arrampicatori e un confronto positivo con i compagni che portava ad una condivisione di conoscenze su tutti gli aspetti. Credo che questa divisione, frutto del nuovo stile, stia lasciando il suo marchio su questa perdita di valori o meglio sulle possibilità di acquisirli. I nostalgici possono trovare sfogo in un spazio accantonato su un muro di 2m x 2m, ma questa non trovo sia una splendida idea soprattutto se paragonata al potenziale di queste nuove strutture.

Malpe: Gabri noi ci conosciamo da anni, posso permettermi di accostarti all’Ibra dell’arrampicata, intendo che ormai rientri nei veterani che sanno sempre dare la zampata vincente, una maturità agonistica stupefacente ma soprattutto un equilibrio speciale, nelle scelte e nella ricerca accurata del tiro o del blocco. Insomma, non devi certo dimostrare più nulla a nessuno eppure il livello è sempre altissimo. Come fai a tenere così alto lo stimolo mentale? E una curiosità: come trovi e stili i tuoi progetti in giro per il mondo e l'Europa?

Gabri: Credo che il continuo cambiamento di genere e discipline scalatorie sia il motore che mi mantiene la motivazione alta. Alla fine se guardo indietro agli ultimi dieci, dodici anni vedo uno scalatore che fisicamente ha raggiunto il suo massimo livello fisico però cerca di essere il più polivalente possibile mantenendo prestazioni sempre molto alte. Una volta, avendo più possibilità e tempo di viaggiare cercavo linee storiche o comunque che mi trasmettessero qualcosa. Adesso sono i progetti che trovano me, vivendo più la giornata senza grossi piani.

Malpe: Sappiamo del grosso problema che vede la chiusura da parecchi mesi delle sale di arrampicata, anche in questo caso la lontananza da quel mondo implica un sacrificio importante sia in termini di allenamento che da un punto di vista prettamente ludico, senza contare il dramma di chi le gestisce. Vorrei però concentrarmi su ciò che rappresenta oggi una sala di arrampicata. Tu Gabri hai trovato una seconda via di interesse lavorativo proprio all’interno di una delle più grandi e stilose sale di arrampicata d’Italia, ci sei dentro e respiri totalmente il suo mondo, un mondo variegato che spesso sceglie la plastica come obiettivo agonistico fine a se stesso, che idee ti sei fatto in generale?

Gabri: Diciamo che io faccio parte della generazione che ha vissuto e sta vivendo la vera evoluzione delle sale di arrampicata. Sono arrivato appena dopo la fase “bunker” iniziando in una delle prime attività commerciali delle nostre parti, L’Arrampicando Novara, una micro palestra già con muri attrezzati per scalare con la corda all’interno di un centro fitness. Era il 1996. Adesso praticamente vivo all’interno di Urban Wall Milano e mi sto rendendo conto soprattutto in una grande città di quanto l’arrampicata si stia trasformando in attività per tenersi in forma molto più divertente del fitness. Questo di conseguenza sta richiamando le grandi masse e la nascita di una nuova generazione di arrampicatori da palestra. E se questi nuovi indoor climbers vorranno approcciarsi all’ambiente naturale ben venga, sperando che i miei colleghi che lavorano nelle palestre insegnino ai nuovi utenti anche le regole base di rispetto della natura e della nostra amata roccia.

Parlando di indoor e di prese tu Nic sei davvero un caso quasi raro di questi tempi, insomma il tuo laboratorio molto British ci riporta a ciò che venti anni fa si chiamava bunker e che molti climber avevano messo in piedi n soffitte, cantine o garage. Oggi le sale di arrampicata hanno di fatto quasi soppiantato il sacrificio casalingo dell’allenamento preferendo un ambiente più aperto e meno claustrofobico. Qualche tua foto o video ci ha svelato il tuo di bunker che trovo davvero bello esteticamente, la sensazione è che non ci sia solo allenamento ma anche un pizzico di sperimentazione e forse anche di solo puro divertimento (tu sei uno che di fatto scala tantissimo fuori). Cosa può dare ad un climber di punta il pannello, intendo cosa ci si aspetta da una sessione importante rapportata poi alla scalata su roccia.

Nic: La scalata indoor è un pilastro essenziale della mia esistenza. Completamente diversa dalla scalata outdoor, per me una sala è sempre stata un rifugio dalla società, un posto in cui isolarmi, abbandonarmi al colore delle prese e dove far scivolare via il tempo. Sia da solo, sia in compagnia di amici. Per questo vivo alternando periodi in natura a periodi chiuso in questi luoghi. Anche al fine di riposare un po’ le spalle e la schiena dai carichi di materiale. Premesso ciò, li trovo ambienti piuttosto separati, specialmente da quando è subentrato il mio muro casalingo. Ho le mie ambizioni e i miei interessi al pannello (così come una volta ce le avevo alla Run-Out di Alberto Gnerro) e poi vi è la vita outdoor che include componenti dissimili. Anche io mi sento diverso quando scalo su roccia piuttosto che sulle prese di plastica. Per me il collegamento diretto è quasi assente. Poi, indirettamente, le due parti in realtà si compensano. Scalare indoor può aiutare per la scalata su roccia e viceversa.
Vi è anche un pizzico di sperimentazione come dici tu.. Mi piace pensare che quel pannello sia sempre statico e fermo, come uno sfondo immutabile. Per cui un set di prese può rimanere identico per anni, come questo che sto provando.

Malpe: Ale a te il "ciapa e tira" non piace molto o meglio non prediligi quel tipo di scalata, di conseguenza il pannello credo mi sembra che sia quasi inutile, ti è sufficiente un buon totem per le dita. Che rapporto hai con l’indoor, frequenti le sale di arrampicata? Il tuo stile da placchista non si addice molto a sessioni sulla plastica; sono curioso raccontaci un po' qual è la tipologia di allenamento che segui per riuscire poi su tiri impressionanti, penso alla placca perfetta.

Ale: In realtà si pensa spesso che nella scalata in placca il fattore forza non sia necessario e si crede per questo che la forza fisica non sia così importante. Devo dire che inizialmente anch’io lo credevo, ma arrivato ad un certo punto mi sono reso conto che allenare le dita non era più sufficiente. E’ vero, sicuramente la forza muscolare sulla scalata in placca non è un fattore predominate, se confrontata alla scalata su muri molto strapiombanti ma, sulle alte difficoltà, anche su muri verticali spesso si possono trovare movimenti molto fisici e questo impone un tipo di preparazione specifica per aumentare il tono muscolare. Non ho mai amato particolarmente l’allenamento indoor ma per raggiungere certi obiettivi ho capito che è molto importante (per non dire fondamentale) sottoporsi a delle sedute di forza mirate, programmare e dedicare del tempo a quelle che sono le proprie carenze personali. Per questo motivo, oltre che a fare allenamenti di dita al trave, mi alleno molto in palestra su inclinazioni che vanno dai 30 ai 45 gradi, mentre alleno la forza esplosiva al Pan Güllich e al system wall. L’obiettivo è proprio quello di migliorare i miei punti deboli per avere più forza e resistenza quando ne ho bisogno.
Oltre a questo tipo di allenamento dedico molto tempo allo stretching per mantenere sempre una buona elasticità, spesso necessaria quando si è costretti a portare un piede sopra la linea delle spalle. Il tutto viene poi trasformato in parete dove entra in gioco un ulteriore fattore, specialmente in montagna dove le protezioni a volte sono davvero distanti: la testa.

Malpe: Ale mi piace tantissimo questo tuo modo di vivere il gesto delicato, indispensabile su certi muri davvero lisci come pure il tuo legame con la natura e allo starci dentro, personalmente credo che il tuo stile sia in assoluto tra i più difficili proprio perché implica un approccio psico fisico completo. Il tuo modo di arrampicare si fonde perfettamente con la natura, ho infatti la sensazione che la placca esiga una scalata volutamente rallentata rendendola sinuosa e precisa in armonia proprio con la natura.

Ale: Sono nato tra le montagne ed è questa la mia casa. La passione per la scalata è nata proprio dalla curiosità di conoscere gli angoli più remoti di ciò che mi circondava.
Come un bambino curioso che quando inzia a gattonare esplora l’abitazione in cui è nato e poi vuole conoscere il mondo esterno; prima il suo giardino, poi il bosco e ancora il paese e la vallata. Così è nato il mio legame con la scalata, un richiamo verso qualcosa di ignoto che si nascondeva tra quelle montagne che allora, per me, non avevano nemmeno un nome.
Ho imparato in poco tempo a riconoscerle, a muovermi in quegli spazi e a rispettarli. Ho capito che la Natura ha i suoi tempi e il suo metronomo sono le stagioni, e noi dobbiamo adattarci ad esse.
Così anche per la scalata in placca, ci vuole tempo, pazienza e molta sensibilità per imparare quella che forse è la forma più lenta per progredire verso l’alto.
Quando scalo provo un senso di profonda concentrazione, di libertà e una perfetta sintonia con ciò che mi circonda. Sicuramente mi piace mettermi davvero alla prova su qualcosa che sia al mio limite, ma molte volte mi basta anche semplicemente essere immerso in un bel posto assieme a persone speciali per stare bene e sentire ancora quel richiamo.
Personalmente sono molto grato ai miei genitori per i valori che mi hanno trasmesso perché penso che senza di essi, senza quel profondo amore che ho per la Natura, probabilmente non avrei nemmeno iniziato a scalare.

Malpe: Molte regioni stanno andando verso il “liberi tutti” questo significa poter scalare muovendosi tra regione e regione, (uscire dall’Italia la vedo ancora dura). Un’ultima domanda di rito forse un po' scontata, cosa avete in serbo? Progetti futuri? Idee? Insomma cosa vi aspettate da voi stessi per il 2021?

Ale: Ho molti progetti in mente; dall’apertura di nuove vie in montagna assieme all’amico Sky alla ripetizione di alcune vie in falesia. Alcuni di questi progetti sono ben fissati altri, come spesso succede, nasceranno durante la strada ma che per scaramanzia non voglio svelare. Ma la cosa che davvero mi aspetto da questo 2021 è di poter continuare a fare tutto questo con la stessa felicità di sempre, con cuore leggero e con la voglia di conoscere e conoscermi che fin qui mi ha accompagnato, al di là dei risultati che riuscirò ad ottenere. Ora però propongo un bel brindisi virtuale per poterci rivedere presto nella vita reale! ;)

Gabri: Io più che altro in questo momento spero nella riapertura delle palestre e quindi tornare alla mia routine lavorativa. Poi come ho detto prima vivo le giornate e aspetto che qualche idea e progetto mi catturi l’attenzione!

Nic: Difficile programmare qualcosa che non sia all’ultimo minuto di questi tempi e credo che la strada continui così per ancora molto tempo. Per cui zero aspettative su gran parte delle cose. Come lo scorso anno, se ci sarà l’occasione di organizzare un viaggio all’ultimo istante la coglierò calorosamente, ma idealizzare ciò che sarà tra due mesi è pressoché inutile dal mio punto di vista. Sarebbe bello che ci fosse più consapevolezza e più buon senso nel futuro prossimo. Scalare fuori è una necessità per molti appassionati e, ponendo attenzione, scalando da soli (per questi tempi) ed evitando i pericoli, il sassismo in natura rimane un attività ben distante dall’essere problematica in quanto a contagi. Per questo dovrebbe esserci secondo me un varco giustificativo più ampio come in altri paesi.

Naturalmente ognuno di noi ticchettava sul proprio computer rispondendo alle mie domande da casa propria immaginandoci davvero tutti insieme in uno di quei tardi pomeriggi dopo aver scalato davanti ad una birra. E’ stato un gioco quello di vivere la normalità come fossimo davvero liberi chiacchierando tra noi. Virtualmente poi ognuno ha preso la propria strada pensando ai progetti future, ma soprattutto sognando il viaggio come parte integrante dell’arrampicata.




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