Spedizione Tien Shan 2016: esplorazioni e vie nuove nel massiccio di Ala Archa

Il racconto della piccola spedizione alpinistica di Giovanni Pagnoncelli e Marcello Sanguineti (CAAI, Gruppo Occidentale) nel massiccio di Ala Archa (catena montuosa di Ala Too, Tien Shan Kirghizo). Il bilancio: tre vie nuove, aperte in stile rigorosamente trad (nessun uso di spit, né con trapano né a mano), due delle quali su vette che erano ancora senza nome.
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Tien Shan 2016: Via 'Creuza de Ma' sul Baichechekey
archivio Pagnoncelli-Sanguineti

4 agosto 2016: Giovanni ed io siamo nuovamente in volo alla volta di Bishkek, capitale del Kirghizistan. L’anno scorso l’obiettivo era rappresentato dalle montagne del Pamir Kirghizo, all’estremità sud-orientale del Paese (si veda "Spedizione Kirghizistan 2015: vie nuove e ripetizioni sulle 'montagne proibite' del Pamir Alai"), mentre quest’anno puntiamo al Tien Shan Occidentale, a sud della capitale.

Dopo gli ultimi preparativi a Bishkek e l’organizzazione dei portatori, ci trasferiamo ai piedi del massiccio di Ala Archa. Il giorno successivo inizia il trekking per il Campo Base (CB), situato a circa 3400 metri di quota. Appena arrivati, ci rendiamo conto che ci aspetta un mare di granito da esplorare: le vie esistenti su roccia sono ben poca cosa rispetto alle potenzialità del massiccio! I Russi e qualche altra cordata di slavi, quasi gli unici apritori da queste parti, si sono dedicati più che altro al misto.

Baichechekey Peak (4515 m): apertura di "Crêuza de Mä"
Martedì 9 agosto partiamo alla volta di una delle pareti che abbiamo binocolato dal CB: la ovest del Baichechekey Peak (4515 m). L’impressione è che la roccia sia buona e, infatti, si rivela un ottimo granito, stile il migliore del Monte Bianco. Siamo liberi di disegnare la nostra linea, che alterna un primo tratto di fessura in diedro a una sezione che la raccorda a una splitting crack, fin sotto un enorme masso in bilico. Passandoci sotto arriviamo alla seconda parte della parete. Evitiamo un camino poco invitante e inventiamo tre tiri che ricercano il passaggio attraverso una successione di diedri poco marcati. Dopo una decina di lunghezze, ci raccordiamo sullo spigolo con la via Swaba (una delle sole tre esistenti sulla O del Baichechekey), con la quale la nostra linea ha in comune gli ultimi tre tiri. Se fossimo sulle Alpi, su una parete di queste dimensioni esisterebbero una ventina di vie… no comment! Nasce così "Crêuza de Mä" (550 m, 6a+), al termine della quale un lungo traverso ascendente a destra ci porta sulla via normale, da cui scendiamo alla luce delle frontali. Si tratta dell’unica giornata di tempo buono dalla mattina alla sera durante la nostra spedizione. Ci risulterà poi chiaro perché un local incontrato in discesa ci dice: "in sedici anni non ho mai visto ad Ala Archa un’altra giornata come questa!"… Da quel giorno, ogni pomeriggio sarà caratterizzato da qualche ora di precipitazioni. Ciò renderà la pianificazione delle salite praticamente impossibile, costringendoci più volte a scalare con pioggia, grandine, o neve.

Chiavari Peak (4145 m): apertura di "Roulette Kirghiza"
Avendo messo in saccoccia una via nuova appena arrivati, decidiamo che ci spetta un giorno di riposo, dopo il quale iniziamo l’esplorazione delle pareti sul bacino dell’Uchitel Glacier. Grazie a un potente teleobbiettivo, raccogliamo una notevole documentazione fotografica. È durante queste esplorazioni che individuiamo una linea su una vetta ancora senza nome, situata lungo la cresta fra Ratzek Peak (3980 m) e Korona Peak (4840 m); la battezziamo "Chiavari Peak" (4145 m).

La linea naturale è una diagonale letteralmente disegnata sulla parete, che la taglia da sinistra a destra e rappresenta una sorta di invito a nozze. Valutiamo di poter scalare dapprima una fessura, poi un diedro che, dopo un tiro apparentemente più facile, porta alla base della grande diagonale. È proprio in quel punto che la parete si impenna e diventa ben più impegnativa. L’ultimo terzo è un enorme diedro con una fessura-camino di fondo, in buona parte strapiombante. Ironia della sorte, la grande incognita è rappresentata proprio dall’ultima parte: l’uscita sembra sbarrata da una sorta di grotta! Con il teleobbiettivo ispezioniamo la parete in lungo e in largo. Niente da fare: a destra e a sinistra, solo placche lisce capaci di fare la gioia del più esigente apritore di vie moderne a spit, ma noi puntiamo a salite rigorosamente trad… Prima di darci per vinti, ci spostiamo a binocolare su una morena. Grazie alla luce che illumina in modo diverso la parete e al nuovo angolo visivo, individuiamo una stretta cengia che, iniziando proprio prima della grotta, corre verso destra e rappresenta un’alternativa per terminare la via, nel caso non fosse possibile superare l’ostacolo! Resta un dubbio: la fattibilità in stile trad dei tiri-chiave nel diedro strapiombante.

Decidiamo di attaccare e scalare almeno fino al secondo terzo di parete, in modo da valutare. Parto io su una splitting crack non difficile, ma delicata, quindi prosegue Giovanni in un diedro impegnativo ed estremamente estetico, purtroppo con roccia instabile in un paio di sezioni, che il mio socio affronta con decisione. Un tratto a risalti ci porta all’inizio della grande fessura "a banana". Vorremmo proseguire, ma il tempo cambia e dobbiamo attrezzare in fretta le calate. Creiamo un deposito di materiale (D1) sulla parte fossile dell’Uchitel Glacier e rientriamo al CB sotto una nevicata.

Il giorno successivo il meteo è pessimo, con pioggia al CB e neve in alto. Ne approfittiamo per riposare, ma per entrambi il tempo trascorre nello "stress da dubbio": la via che abbiamo individuato sarà realizzabile senza usare spit, che per scelta non abbiamo portato?

L’indomani mettiamo la sveglia a notte fonda e risaliamo il ghiacciaio fino al deposito di materiale D1. Per guadagnare tempo, ci portiamo alla base della seconda sezione di parete aprendo una variante più semplice e più veloce, che evita la fessura e il diedro iniziali con tre nuovi tiri ascendenti da sinistra a destra. Arrivati all’ultima sosta attrezzata due giorni prima, osservo pensoso le lunghezze che mi aspettano. Poi parto carico, ma arrivo in cima alla via decisamente esausto: i tiri sono violenti e difficili da proteggere, a volte con una chiodatura snervante. Pur essendo esteticamente stupendi, presentano sezioni di roccia instabile che richiede molta concentrazione e, come se non bastasse, mi tocca fare l’ultimo tiro e mezzo scalando su difficoltà elevate sotto neve e grandine. Gli sforzi, però, sono ripagati: riesco ad aggirare la grotta terminale con un breve spostamento a destra, uscendo poi con un bel tiro lungo un diedro accennato, senza dover ricorrere alla cengia, che avrebbe reso la linea meno diretta. In discesa attrezziamo le doppie sulla via, sotto un’incessante nevicata. Il nome scelto la dice lunga sull’ingaggio: "Roulette Kirghiza" (330 m, 6c/A1).

Tower Gymnica 2000 (4020 m): apertura di "www.lookoutofthetent.com"
Le pessime condizioni meteo continuano l’indomani, con pioggia e grandine al CB e neve in alto. Ne approfittiamo per studiare con il teleobiettivo le pareti fra Uchitel Peak (4527 m) e Baichechekey Peak (4515 m). "Eureka!" - urla all’improvviso il Pagno. Dall’analisi del materiale fotografico ha individuato una linea di salita sulla prima torre (circa 4020 m) del Pilastro Uchitel, con partenza su una candela di granito stile satelliti del Monte Bianco e prosecuzione in cresta. Sulla prima parte della struttura identifichiamo una stupenda sequenza di fessure: all’inizio sicuramente di dita, poi mano, quindi mano-pugno, per diramarsi infine "a V" in due meravigliose off-width. "Una linea così estetica ancora da aprire non capita tutti i giorni!" - esulta Giovanni. Come dargli torto?! Non riesco a staccare gli occhi da quelle foto e non vedo l’ora di mettere le mani – anzi, di incastrare dita, mani, pugni, braccia, gambe e quant’altro - in quelle fessure!

A questo punto, dobbiamo riorganizzare i depositi di materiale. La strategia adottata si rivelerà determinante per il successo: essendo solo in due, ogni spostamento di materiale è un gran mazzo e ottimizzare le risorse è essenziale. Dedichiamo una giornata a vagabondare su e giù fra ghiacciai e morene, per creare due depositi nei punti migliori. Ne piazziamo uno (D2) nuovamente sull’Uchitel Glacier, questa volta ai piedi dei pilastri ovest del Semionova Tien-Shanskogo Peak (4895 m): durante l’apertura della via sul Chiavari Peak avevamo individuato una linea interessante proprio su quei pilastri. In D2 mettiamo al sicuro due mezze corde e quindici chiodi, una serie di friend, una di nut, rinvii e ramponi. L’altro deposito (D3) è posto sotto il Pilastro Uchitel ed è pensato per l’attacco alla struttura che abbiamo appena individuato. Vi lasciamo altre due mezze, due serie di friend, nut, rinvii e un’altra quindicina di chiodi. Al CB sono rimasti gli imbraghi, 60m di kevlar da 6mm, le piccozze, le scarpette da arrampicata, vari altri chiodi e rinvii. Ora si tratta di aspettare il momento propizio per partire per i pilastri O del Semionova Tien-Shanskogo o per il Pilastro Uchitel.
Decidiamo di dare precedenza al progetto su quest’ultimo e il giorno successivo ripartiamo. Purtroppo, il tempo cambia in fretta: nel giro di mezz'ora arriva la nebbia e poi inizia a nevicare. Risultato: depositiamo il materiale prelevato da D3 alla base della parete (deposito D4) e scendiamo nuovamente al CB – accidenti, che palle il meteo di Ala Archa!

Mercoledì 17 il tempo, tanto per cambiare, è pessimo, con neve fino alla quota del CB, ma sappiamo come tenerci occupati. Ci eravamo resi conto che la fantastica linea di fessure individuata avrebbe richiesto di scalare, più o meno nel terzo tiro, una off-width che stimavamo di dover proteggere con Camalot #6 e pezzi ancora più grossi, tipo Big Bro e Gipsy. Purtroppo, non abbiamo nulla del genere: la nostra dotazione arriva fino al Camalot #5… Combinando l'ingegno ligure e quello ossolano, optiamo per "la soluzione degli antichi": dedichiamo qualche ora a fabbricare cunei di legno, da usare come "psico-protezioni" nel tiro fuori-misura.

Il giorno dopo ci portiamo di nuovo al deposito D4 alla base della torre, tiriamo fuori dai sacchi impermeabili il materiale e ci prepariamo. Fa un freddo becco: siamo a ovest e negli ultimi due giorni le temperature sono calate sensibilmente. Nonostante questo, siamo decisi ad attaccare. Parte Pagno, che apre uno stupendo tiro in fessura, prima di dita poi di mano, al limite dei sintomi di pre-congelamento. Scalare con queste temperature e con la roccia bagnata ha un sapore un po' masochistico, ma non abbiamo scelta: il conto alla rovescia per il rientro in Italia è iniziato…. Poi tocca a me, con un’entusiasmante lunghezza prima di mano poi di pugno-avambraccio; risultano utilissimi il Camalot #4 e il #5. Finalmente, siamo ai piedi della grande incognita: le due fessure off-width "a V". Scelgo quella di destra e, dopo una prima parte di pugno e braccio, arrivo nel tratto chiave del tiro: una sezione leggermente strapiombante, con i bordi inesorabilmente svasati, da risolvere con incastri chicken wing e piede-ginocchio. Come vorrei avere con me i Big Bro che ho lasciato a casa! Invece, devo farmi bastare le protezioni psicologiche rappresentate dai tre pezzi di legno preparati al CB, intorno ai quali strozzo altrettanti cordini, prima di martellarli furiosamente fra i bordi del "mostro di granito" che sta inghiottendomi… Alla fine ne esco: estenuato, ma ne esco. Ho dato quasi tutto e, nonostante il freddo, mi sdraio qualche minuto su un terrazzino innevato, quasi per spegnere il "fuoco di adrenalina" che ho dentro… Siamo in cima alla struttura da noi battezzata "Chandelle dell’Uchitel" per la forma, la verticalità e lo stupendo granito fessurato. Nel frattempo il meteo è peggiorato: a breve inizierà a nevicare. Decidiamo di calarci, attrezzando le doppie e lasciando le fisse sui tre tiri aperti, per la successiva risalita in jumar: oltre alle due mezze, fissiamo i 60 metri di kevlar.

Durante i giorni successivi le nevicate ci costringono a rivedere i nostri piani, abbandonando il progetto sui pilastri ovest del Semionova Tien-Shanskogo. Risaliamo quindi al deposito D2 e spostiamo tutto il materiale al D4, sotto il Pilastro Uchitel. Questo anche in funzione del fatto che la via iniziata sta risultando più complessa del previsto e abbiamo bisogno di un’altra serie di friend, micro-friend e nut.

Dedichiamo poi una giornata di tempo incerto, che in tarda mattinata degenera nelle solite piogge e nevicate, all’esplorazione visiva delle pareti all’inizio dell’Ak-Say Glacier. A sorpresa, nella seconda parte del pomeriggio arriva il sole, che asciuga almeno un pochino le pareti. Per l’indomani si prospetta quindi la possibilità di terminare la via sul Pilastro Uchitel: non ci sembra vero!

Arriviamo alla base della chandelle con le prime luci. Risaliamo con le jumar le fisse e lanciamo alla base il cordino di servizio di kevlar, per recuperarlo successivamente. Una breve lunghezza di porta a un intaglio, dal quale attrezziamo una calata per arrivare in cresta, venti metri più sotto. La giornata prosegue intensamente con l’apertura degli altri tiri, fino alla prima torre del Pilastro Uchitel, ancora senza nome, da noi battezzata "Tower Gymnica 2000". Ne esce una sorta di campionario dell’arrampicata su granito: da una fessura di mano degna dei migliori incastri della Valle dell’Orco a una splitting crack strapiombante di pugno-braccio, fino a un camino con masso incastrato e uscita da un buco, infine una tecnica fessurina di dita. Tanto per cambiare scaliamo gli ultimi due tiri, fortunatamente un po’ più facili, sotto la neve. In vetta la soddisfazione è incontenibile, ma non c’è tempo: la nevicata aumenta d’intensità. Ormai abbiamo capito che in Ala Archa l’unica cosa da fare per avere un’idea del tempo è "guardare fuori dalla tenda", quindi battezziamo la via "www.lookoutofthetent.com" (360m, 6c/A0). Attrezziamo sei calate per portarci nel canale fra Pilastro Uchitel e Baichechekey Peak, che ci consente di rientrare sull’Uchitel Glacier. Per non farci mancare nulla, ecco che si incastra una doppia, naturalmente su una calata di sessanta metri nel vuoto... Pagno si offre per risalire, ma io, stupido, propongo di fare "bim bum bam" e perdo miseramente… "Ma perché diavolo non imparo a star zitto?!" - mi chiedo mentre risalgo le corde, imprecando sotto la neve…

Epilogo
Lunedì 22 continua il maltempo e dalla sera nevica significativamente anche alla quota del CB. Il giorno successivo, al nostro risveglio ci rendiamo conto che la neve caduta sulle pareti e le temperature sensibilmente diminuite non ci consentirebbero realisticamente di portare a termine un altro obiettivo nei tre giorni rimanenti – visto il tempo necessario a pulire le pareti. Nella mattinata successiva riprendono le precipitazioni nevose. Non abbiamo scelta: anticipiamo di un paio di giorni il rientro a Bishkek, scendendo con due portatori. Lasciamo il resto del materiale al CB, dove il giorno successivo inviamo altri tre portatori a recuperarlo. Non tutto il male vien per nuocere: dedichiamo due giorni a un meraviglioso viaggio negli immensi spazi delle steppe del nord-est, fra yurte di nomadi e incredibili cavalcate… Il 28 agosto ci imbarchiamo sul volo di rientro in Italia. Anche quest’anno, le montagne del Kirghizistan sono state generose con noi!

LA SPEDIZIONE IN SINTESI
Periodo: 4-28 agosto 2016
Gruppo montuoso: Tien Shan Occidentale. Catena: Ala Too. Massiccio: Ala Archa.
Cartografia. Carta 1:50.000 Kyrgyzstan – A Climber’s Map and Guide, dell’American Alpine Club. Cartina molto approssimativa del Kyrgyz Alpine Club.
Roccia. Granito. Su alcune pareti, principalmente quelle esposte a O, di ottima qualità (tipo satelliti del Monte Bianco). Su altre, tipicamente quelle a E, a tratti con strutture instabili.
Attività svolta
- Esplorazione visiva delle pareti rocciose lungo l’Uchitel Glacier e l’Ak-Say Glacier.
- Apertura della via "Crêuza de Mä" sulla parete O del Baichechekey Peak (4515 m): 550m, 6a+.
- Apertura della via "Roulette Kirghiza", per ora unica via esistente sulla parete E della punta da noi battezzata "Chiavari Peak" (4145 m): 330m, 6c/A1.
- Apertura della via "www.lookoutofthetent.com" sulla prima torre (4020 m) del Pilastro Uchitel, da noi battezzata "Tower Gymnica 2000": 360 m, 6c/A0.
Stile di apertura. Rigorosamente trad: solo protezioni veloci (friend e nut) e chiodi. Nessun uso di spit, né con trapano né a mano.
Materiale utilizzato. Ampia dotazione di chiodi di vario tipo; 3 serie di friend fino al Camalot #3; due friend #4; un friend #5; 1 serie e mezza di micro-friend; cunei di legno ("corrispondenti" a #6 e Big Bro); 1 serie di nut; 1 serie di micro-nut; 1 serie di offset nut; 1 serie di offset micro-nut; due coppie di mezze corde; 60m di cordino di servizio (kevlar da 6mm), 4 jumar.

Giovanni Pagnoncelli e Marcello Sanguineti
(CAAI, Gruppo Occidentale)

Thanks to:
Comune di Chiavari (www.comune.chiavari.ge.it)
CAAI – Club Alpino Accademico Italiano (www.clubalpinoaccademico.it)
Karpos/Sportful (www.sportful.it)
Wild Climb (www.wildclimb.it)




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