Alpinismo radicale in Baffelan

Il 21 ottobre 2017 Leonardo Meggiolaro, insieme a Matteo Maran, ha realizzato la seconda ripetizione di Alpinismo Radicale, la via aperta nel 1999 da Alberto Peruffo e Alberto Urbani sulla parete Est del Monte Baffelàn (Piccole Dolomiti). Il racconto di Leonardo Meggiolaro.
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Leonardo Meggiolaro durante la seconda ripetizione, effettuata insieme a Matteo Maran, della via Alpinismo Radicale sulla parete est del Baffelàn, Piccole Dolomiti, aperta nel 1999 da Alberto Peruffo e Alberto Urbani
Daniele Zardo

“Accompagnato dal fedele e paziente Matteo Maran abbiamo ripetuto questa ormai leggendaria via, aperta nel 1999 dagli amici compaesani Alberto Peruffo e Alberto Urbani. Che dire... 92 minuti di applausi a questi rocciatori che con etica rigorosa dal basso, con chiodi, martello, dissipatori e molto ardimento hanno osato avventurarsi su certi muri dalla roccia fragilissima e protezioni precarie. Grazie agli apritori per questa super via, pietra miliare dell'alpinismo vicentino” - con queste parole su Facebook, Leonardo Meggiolaro, tra i giovani alpinisti più forti e attivi delle Piccole Dolomiti, saluta la sua ripetizione di Alpinismo Radicale la via aperta da Alberto Peruffo e Alberto Urbani nel 1999 sul Monte Baffelàn, Piccole Dolomiti.

Una via “leggendaria” per avere una sola ripetizione (e unica on-sight del 6° tiro) da parte dei fuoriclasse triestini Marco Sterni e Mauro Florit. D'altra parte i triestini in quegli anni andavano fortissimo. Erano gli anni di Bubu Bole, di Mauro Florit e appunto di Sterni che, con l'altro triestino Erik Svab e con Rolando Larcher, aveva aperto nel 1998 Never the same sul Tsaranoro (Madagascar), considerata uno dei capolavori di apertura dal basso con spit dell'epoca. Intanto sempre più si parlava dei tentativi andati a vuoto e dei diversi ritiri che nel corso degli anni avevano visto protagonisti alcuni tra i più forti alpinisti delle Piccole Dolomiti vicentine.

Anche per questo abbiamo chiesto a Leonardo di raccontarci la sua salita e soprattutto di riportarci la relazione e qualche foto, specie della “radicale” chiodatura: aperta dal basso, senza l’ombra di uno spit, neppure nelle soste o nei punti più delicati. Trovato ancora il “chiodo appoggiato”, protezione solamente simbolica, quasi un segnavia, che si può spostare con una mano, sul passaggio di entrata nel muro chiave della via: un VII+, obbligatorio, che poi diventa VIII-.

Prima però vi riportiamo quello che ci ha detto Alberto Peruffo su questa ripetizione ma soprattutto su questa via e il suo carattere del tutto particolare (anche per quanto riguarda la qualità pericolosa e non proprio raccomandabile della roccia): “Sono felice di questa ripetizione. E’ una via di concetto. Non di piacere. Che non ho mai pensato di divulgare o spinto qualcuno a ripetere. Un’esperienza personale che sai che non può o non deve diventare collettiva, senza i requisiti necessari e la conoscenza dei contesti in cui si agisce. Essere cresciuto su queste pareti ti aiuta ad avere un forte gap specifico per riuscire a muoverti su rocce per altri impossibili. In alcuni punti la roccia è molto delicata, friabile, pericolosa. Io e il mio compagno sapevamo che era l’unica zona del Baffelan ancora libera, dove nessuno era passato. E volevamo passare in stile tradizionale, quello da noi sempre usato, che moltiplicava l’ingaggio e le soddisfazioni. Esperienza difficilmente ripetibile sia per noi, sia per gli altri. Con l’occasione ho sentito pure Marco (Sterni ndr), che non sentivo da anni. Mi ha raccontato particolari che non sapevo, descrivendomi il tiro chiave come fosse oggi. La sua soddisfazione. E pure lui è concorde sul valore di concetto di questa via, ovviamente nel piccolo contesto geografico dove è stata realizzata e nel periodo storico di quegli anni dove Sterni fu veramente un protagonista, capace di muoversi su terreni oggi impensabili o per pochissimi. Ringrazio Leonardo per averla ripescata al mio ricordo. Ma credo non diventerà mai una classica”.

Va detto anche che Leonardo Meggiolaro con Alberto Peruffo è stato l’apritore di un’altra notevole via - su roccia questa volta solida e con già molte ripetizioni - nel 2015: la Via dei Montecchiani Ribelli. Ora, a 18 anni dall’apertura, a 20 anni da un articolo omonimo che ne precedeva il concetto sull’Annuario del CAAI, la ripetizione di Alpinismo Radicale da parte di Meggiolaro e Matteo Maran è in perfetta continuità con la Via Dei Montecchiani Ribelli e segna la coerenza di un percorso e di una passione davvero longeva di Alberto e dei suoi compagni - vecchi e nuovi - per l’alpinismo, “radicale”.


UNA VIA RADICALMENTE LEGGENDARIA di Leonardo Meggiolaro

Alberto mi indicò la linea passando sotto la parete est due anni fa. Al tempo avevo già letto le poche informazioni nei forum dove alcuni sproloquiavano su quella via ed ero già a conoscenza delle peripezie, voli, dissipatori e chiodi che saltavano via. Insomma questa via vuoi per il nome austero, per l’etica di apertura rigorosa, per le pochissime informazioni reperibili e soprattutto per il fatto che non vi fossero ripetizioni documentate - solo il “leggendario” passaggio di Sterni e Florit - neppure tra le tante ritirate, aveva e forse ha ancora un'aura di leggenda, una leggenda legata soprattutto al nome. “Radicale”.

L’idea di andare a provare questa via è venuta di recente in seguito ad alcune discussioni sull’etica di apertura di nuove vie in zona, che andavano dal tipo e distanza delle protezioni alle interferenze sportive con vie alpinistiche vicine o al fatto di aprire esclusivamente e a priori per tutti anziché per se stessi. Sentivo il bisogno di ripetere una via “pura”, indipendente, rispettosa, dall’etica severa. Mosso da un po’ di sana ambizione e dal fatto che era una delle poche vie che mi mancano su questa parete, dopo aver trovato in Matteo un compagno di cordata entusiasta e affidabile, abbiamo iniziato a raccogliere informazioni attendibili dagli amici apritori. L’origine del nome è stata determinante: la via infatti prende il nome da un articolo vecchio quasi quanto me, scritto da Alberto Peruffo sull’Annuario del CAAI del 1997. Un articolo autorevole che metteva nero su bianco le regole di questo nostro gioco, articolo che invito a leggere come quello della pagina successiva sull’assassinio dell’impossibile di Reinhold Messner.

Ci trovavamo troppo d’accordo con quanto scritto nell’articolo, sebbene in alcune parti tirasse le orecchie pure al sottoscritto, e sentivamo il bisogno di toccare con mano quell‘etica alpinistica rigorosa, radicale: la direttissima al Baffelàn del ‘99 sembrava essere l’emblema di quanto scritto in quelle pagine. Anche se non era una via aperta e preconfezionata per i ripetitori, come ultimamente accade da queste parti, bisognava andare come minimo a provarla, in quanto aperta da compaesani e amici, fosse solo per una sorta di solidarietà e considerazione che la concezione di una via del genere meritava.
La via non è certo interamente piacevole, sana e bella come quelle vicine. Tuttavia, ciò che rimane impresso non è solo la bellezza della roccia in alcune parti o alcuni movimenti spesso lontani dalla protezione, ma soprattutto l’abilità e l’audacia degli apritori nel chiodare e saper leggere placche compattissime e strapiombi friabili attraverso i quali mai si penserebbe di poter passare, specie con chiodi dal basso, dove spesso non entrano del tutto per via delle fessure cieche che caratterizzano il Sengio Alto. Gli apritori usarono addirittura dei dissipatori sui rinvii del tiro chiave! Speriamo dopo questa ripetizione che qualcun’altro - con le dovute precauzioni e preparazione - provi andare ad ammirare le gesta e l’intuizione dei primi salitori. Spesso si tende a considerare solo vie dalla roccia buona-ottima, comode, con protezioni sicure, relazionate nei minimi dettagli e conosciute. Dovrebbe invece essere interessante percorrere le vie anche quando la roccia non è delle migliori o la parete non va molto di moda, anche solo per conoscere lo stile degli apritori e ammirarne la bravura. Colpa è sicuramente anche di quelle guide cartacee che raccolgono solo itinerari scelti, condannando le vie meno popolari, ma non meno importanti, al dimenticatoio: un vero peccato! L’invito è perciò quello di andare a mettere le mani anche sulle strade meno battute, per provare a rivalorizzare, se necessario sistemando i chiodi, le vie snobbate e quasi dimenticate, ovviamente con il supporto di amici fidati con i quali condividere la difficile avventura e solo dopo aver arrampicato molto su questo genere di roccia.

Un esempio di vie da rivalorizzare, restando sul Baffelàn, e mai considerate per quel che valgono, tuttavia già più accessibili, per difficoltà e qualità della roccia, sono l’Indiretta sulla sud e la Mattiazzi sulla nord, oppure spostandosi di qualche chilometro le nuove nate: Manitou sul Lontelovere o Prigionieri dei Sogni e Transito Consentito in Valdastico, tutti itinerari di grande valore per la chiodatura tradizionale dal basso e per l’impegno.

A proposito di chiodi... un ricordo fisso di questa ripetizione è stato quando nel bel mezzo del tiro chiave ho estratto un chiodo dalla fragile roccia senza alcuna fatica. Provando a ribatterlo al primo colpo di martello la roccia già vibrava in modo preoccupante, decisi di lasciarlo così, solo “appoggiato” e proseguii in cerca dei successivi chiodi, tutti magistralmente piantati. Ripensando a quei momenti mi son ricordato del primo incontro di qualche anno fa con Alberto Peruffo: era il curatore artistico di una mostra presso la Casa Rossa Ceccato (la fu Casa di Cultura Cibernetica, progetto da lui fondato, ora CCC) vicino alla mia abitazione e stava piantando un chiodino per appendere un quadro. Non sapevo che fosse un rocciatore e forse nemmeno lui che io fossi un ‘falesiaro’ e mi disse dall’alto della scala dov’era, in equilibrio precario, che piantare quei chiodi era per lui un gioco da ragazzi, poiché abituato a piantarne di più grossi e in posizioni ben più scomode sulle grandi pareti di montagna… Ho trovato curioso come il ricordo di questo primo incontro mi sia venuto alla mente solo ora e non dopo le prime scalate fatte assieme qualche anno più tardi!

Infine, sottolineo che i primi 2-3 tiri di Alpinismo Radicale sono ottimi come variante d’attacco alla Carlesso, se proprio si vuole evitare lo zoccolo e le “Canne Carugati”, che sono comunque molto piacevoli, oltre che di interesse storico. Una volta arrivati al sesto tiro è possibile “fuggire “ sulla Carlesso tramite la variante Brunello-Albiero.
Leonardo Meggiolaro
Montecchio Maggiore, 3 novembre 2017

PS Leonardo e Matteo ringraziano Andrea Santacà, Daniele Zardo, Giacomo Peruffo per le foto, Giuriato Srl per il vestiario Kapriol e gli apritori per questa dimostrazione di ardimento nel “radicale” rispetto dello stile tradizionale.




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