Becca Etresenda Canale Ovest, Procacci e Migliavacca scovano Il Mito della Caverna

Il racconto di Flavio Migliavacca che insieme a Francesco Procacci il 20 febbraio 2020 ha effettuato, in snowboard, la probabile prima discesa del Canale Ovest della Becca Etresenda in Valle d’Aosta. Un'estetica linea che i due del gruppo Effetto Albedo hanno chiamato Il Mito della Caverna.
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Il Mito della Caverna, Becca Etresenda Canale Ovest (Flavio Migliavacca, Francesco Procacci 20/02/2020)
Flavio Migliavacca

Fontana di Closé, frazione di Oyace, Valpelline. E' sera, fa ancora piuttosto caldo e mi godo l'acqua fresca della fontana guardandomi un po' attorno, mentre uno dei cani pastore del villaggio mi gironzola attorno. E' stupefacente quante cime selvagge siano ancora inesplorate lassù. Mi asciugo l'acqua dal viso e provo quella sensazione di tepore caldo e reidratazione che ti danno un benessere assoluto. Penso a come a volte basti poco e quanto sia buona l'acqua. L'acqua è sottovalutata. Un po' come questa valle.

C'è una pala lassù che è più rossa delle altre alla luce del tramonto e confluisce in un bel canale… Incuriosito recupero subito la mia guida scialpinistica preferita. Me l'ha regalata la mia ragazza ed è una guida che da moltissimo spazio alla creatività: è un binocolo. Metto faticosamente a fuoco con strani presentimenti. Chissà se si passa in qualche modo. Chissà com'è sotto...

Mi appoggio alla fontana per non tremare e mettere meglio a fuoco. Un grosso masso sembra frapporsi tra pala e canale, un grosso masso che sembra bucato sotto. Una caverna? Certo che se si passasse da sopra a sotto, come in un tunnel, sarebbe clamorosamente figo… Certo anche che è improbabile… Però il masso ha un colore diverso, magari si è eroso con colate di acqua e detriti? C'è un solo modo per scoprirlo. Perché la mia guida scialpinistica fa viaggiare con la fantasia, ma non sempre da delle risposte e il bello è proprio quello!

La ricognizione. E così, in un maffo pomeriggio di nuvole, accolto dallo stesso cane pastore, parto alla ricerca dell'imbocco sperato, in quella che dalle mappe dovrebbe essere la valle corretta. Dalla fontana si deve scendere di un 150 metri di dislivello, sino ad un orrido profondissimo con vista Torre d'Oyace, che già da solo merita una visita. Ho infantilmente subito delle buone sensazioni, perché il gioco si fa subito selvatico. Finalmente si sale su bel sentiero abbastanza ripido. La neve scarseggia e dopo circa un'ora seguo delle grosse tracce di animale. Strano che un cane sia salito sin qui e che non vi siano anche tracce del padrone. Forse è una volpe… Guardo meglio: le falangi sono ravvicinate e la traccia è davvero grossa. Da ignorante in materia di orme cerco su internet. Da quel che vi si descrive, pochi dubbi, lupo.

Inizio a pellare in un bel bosco di larici un po' cupo. Penso a quanto sia bello gironzolare così, senza un vero obiettivo, ma spinto dalla sola curiosità e voglia di esplorare, senza informazioni. Penso a quanto sia forte il fatto di poter vagare nell'ignoto anche nel 2020, dove tutto è ormai conquistato da internet, folle e cemento. Qui c'è l'ignoto, probabilmente è solo un'illusione, ma per me è così e la sensazione è stupenda. Penso anche alla fortuna di avere tempo in questi pochi mesi sabbatici dal lavoro. Il tempo ti da una ricchezza incomparabile.

Tra un pensiero e l'altro il bosco inizia a diradarsi, finché improvvisamente si apre su un lunghissimo vallone soleggiato. Mi guardo attorno… BUM! Come un miraggio, sulla sinistra si apre un canyon profondo, dritto e lineare. Stai a vedere che…. mi fermo, mi tolgo gli sci e mi siedo anche piuttosto stanco a guardare meglio. Pazzesco, è lui, è il canale che porta al superiore canale della grotta. Mi viene da ridere. Mi godo la vista, come se avessi scoperto una miniera, pregustando il momento in cui sarei tornato a recuperare l'oro! Sbinocolo la grotta. La prospettiva non aiuta e non capisco nulla di più di quanto già vedessi dalla fontana in paese. Arriva un forte vento caldo, la neve si inumidisce e decido di tornare, soddisfatto, pensando che forse è bello avere ancora dell'incertezza, con la sicurezza di tornare a vedere, al più presto!

Il Mito della Caverna, the day. 19 febbraio sera. Io, Fra e Cata siamo al cinema a Torino a vedere il BANFF. Finiamo tardi ma per il giorno seguente Fra ha prenotato il famigerato ''jollyno'', perché sappiamo che le condizioni sono belle polverose come piacciono a noi. Poche ore di sonno ma anche pochi dubbi, si va a caccia della presunta caverna. Sul sentiero ora ci sono le tracce del lupo e le tracce di uno scemo che è salito nella nebbia a vedere i canali, tracce che però male non fanno perché rendono più veloce la progressione.

In poco tempo ci ritroviamo lì, ai piedi del canyon, e stavolta si entra! Le rocce ci sovrastano, ci schiacciano. L'ambiente è spettacolare, la neve pure. Togliamo la split dai piedi, decidiamo di salire a piedi perché il canale diventa più ripido e anche per tenerlo più “pulito” per la discesa. Il motto è sempre ''Keep it clean''!

Saliamo veloci alternandoci in traccia. Se si urla c'è l’eco. Saliamo e saliamo. Arriviamo al “lenzuolo”, tratto in cui il canyon si collega alla linea superiore. Qui il pendio prende già il sole e preferiamo muoverci rapidamente, temendo colate dalle rocce sovrastanti. Comunque fa freddo e siamo piuttosto sereni, con l'aspettativa che sale. Entriamo in un canalino a destra. E' stretto ed incassato, la neve è eccezionale e tracciare, nonostante la fatica, è quasi piacevole.

Passa davanti Fra, guadagna metri perché ne approfitto per filmarlo e si stacca da me. Riparto, lo recupero in traccia. Ha la testa bassa a tracciare come un trattore e non si accorge. Niente, non si accorge. E' troppo impegnato a tracciare. Guardo se si accorge ridendo da solo… Sopra le nostra teste il canale entra in un grosso masso di colore diverso. Dentro il masso però, c'è ancora un colore in più e per quanto io sia daltonico lo riconosco, è il colore del cielo, si passa! “Fraaaaaaaa! Guarda! Si passa!!!” Non vede bene perché il canale è sinuoso e probabilmente non è più in asse con la caverna. Lo raggiungo, gli do il cambio alla traccia e di nuovo, ancor più nitido, si palesa il passaggio. Semplicemente mitico.

Ci fermiamo e scoppiamo a ridere increduli. E' un grande arco bellissimo. Presi dall'entusiasmo ci convinciamo, completamente a caso, che sia pure sciabile. Continuiamo a tracciare a mille ed entriamo. Ok, non è proprio sciabile. Ci addentriamo meglio. OK, salire è un bel delirio. OK, abbiamo una picca a testa, niente corda, niente chiodi, nulla. Iniziamo a grattare in maniera ridicola sulle placche lisce e ripide della grotta. Poi proviamo nella fessura. Non c'è praticamente ghiaccio. Che facciamo? “Prova senza zaino né tavola!” Nulla… Manca un passo e poi forse si riesce ad acchiappare una sporgenza più in alto...Ma lì per il piede è troppo liscio e si rischia di farsi davvero male.

Ci vorrebbe del ghiaccio per far presa col rampone, non la roccia liscia. Silenzio…. Penso a quando in autunno o primavera la neve umida si appiccica sulle pareti di roccia più ripide, intonacandole. Un pensiero malsano mi pervade.”Quanta acqua hai Fra?” “Pochissima…"- “Io ne ho ancora un po”… Detto fatto. Prendiamo blocchi di neve, la bagniamo e come i migliori muratori della Bergamasca scazzuoliamo i blocchi umidi sulla roccia. Sembra funzionare…

Uno zoccolo ghiacciato prende forma e si appiccica alla roccia sopra ad una minima sporgenza. Fra ritenta. Stavolta il rampone morde e Fra si alza con tutto il suo metro e 90 e fischia e come un gatto aggrappa la sporgenza lassù. Si tira su ed è fuori. E ora inizia il cinema. Gli passo le 2 tavole, allungandomi al massimo col braccio, poi gli zaini, le picche. E' il mio turno. Penso a come diavolo faremo a scendere ma che in casi disperati possiamo lasciarci scivolare giù… l'atterraggio è lontano ma polveroso.

Ficco il rampone nello zoccolino ghiacciato e mi isso su meglio di quanto temessi. Da lì un fessurone ghiacciato porta man mano fuori dalla grotta, più esposto ma anche più facile. Del ghiaccio ci si può fidare almeno. Usciamo dall'arco, che da sopra è ancora più splendido. Si vede persino il Monte Bianco. Che posto!

Si riprende a tracciare, a questo punto ci sentiamo determinati. Un bel canalino curvato prosegue il suo cammino verso l’ignoto. E' il famoso imbuto, lo ripercorro ripensando alle foto e alle sbinocolate. Mi sembra già incredibile essere quassù. Chissà cosa scorre e cosa crolla qua d'estate. Dev'essere un bell'inferno Dantesco. Tracciamo nella bella polvere quando a un tratto… Alt! Risalto ghiacciato. Merda non ci voleva ora. A sinistra forse si passa e si evita il risalto ma c'è un traversino con velo di neve di rocce lisce, molto esposto. Un po' stanchi dalla lotta con la grotta e illusi che le difficoltà fossero finite siamo quasi tentati di desistere.

Forse ha senso mollare e tornare attrezzati. Il risalto è breve, un paio di metri, ma strapiombante, parte in ghiaccio, parte di nuovo in roccia infida. Stavolta provo io. Mi faccio prestare la seconda picca da Fra. Con un po' di numeri esco. Fra resta sotto, non lo vedo nemmeno più perché il ghiaccio è aggettante. Mi sento improvvisamente solo perché non vedo più Fra e ormai son salito, sono oltre il punto “di non ritorno”.

Quasi non ci sentiamo a vicenda nonostante i pochi metri. Mi sale un po' d'ansia per la discesa, ma di nuovo mi convinco che a mali estremi si può saltare, o ci si può simil-calare su 2 bastoncini giuntati ancorati a una picca. Pensieri improbabili ma ormai l'avventura è totale e si deve ballare sino in fondo. E soprattutto sopra si apre un altro miraggio: la pala, al sole, brilla di polvere e la cima non sembra lontana. Non mi abbandonare ora Fra!

Non ne è minimamente intenzionato. Gli passo le 2 picche, calandogliele coi 2 bastoncini giuntati e sporgendogliele sin che posso. Non vedo se riesce a salire ma sento il rumore delle spiccozzate e delle grattate, sempre più nitide e finalmente eccolo. Fantastico. Siamo un po' tesi ma ci incoraggiamo a vicenda. Il sole è ancora piuttosto alto. Traccio più forte che posso tutta la pala.

Ogni tanto mi giro, la linea è bellissima, il canyon della parte bassa torna visibile, in asse con la cima. Un po' provati ed increduli ci rilassiamo qualche minuto, non abbiamo più da bere da ore ma fa sempre un bel fresco e stiamo bene. Vorrei essere alla fontana di Oyace al tepore del tramonto e vederci da laggiù, col cane che abbaia.

Parte Fra, lo filmo col drone. Pennella delle belle curve, forse un po' più trattenuto del solito, il pensiero delle due interruzioni comunque c'è. Lo raggiungo. La pala è splendida e la neve illuminata a ovest pieno è da urlo. Mi sento già più sciolto che in cima, siamo di nuovo concentrati e assorbiti.

Con qualche acrobazia ci caliamo dal primo risalto. Il primo si aiuta col doppio bastoncino ancorato a monte, il secondo issa la seconda picca del compagno, recupera la “picca-ancoraggio" e bastoncini e scende facendosi aiutare a mettere i piedi a strapiombo dal primo, che meglio vede da sotto. Ci mettiamo del tempo ma non rischiamo mai troppo.

Penso che nonostante la giga cagata di non avere attrezzatura la stiamo gestendo bene e in un angolo perverso del mio cervello mi sto anche divertendo. Canalino-imbuto e poi Repeat, disarrampicata un po' da brivido con lo stesso schema, ma di nuovo con assoluta calma e senza mai rischiare troppo. Con gran sollievo siamo fuori e sotto, il canale, è illuminato di rosso. “Ma che ore sono?” Le 17 e 30!

Il resto della storia è una discesa surreale, un canale lunghissimo ad un orario improbabile. Scendiamo veloci perché il buio incalza ma riusciamo a goderci anche la parte sciabile di bosco. Ormai è buoi pesto, calziamo i ramponi per traversare le valanghette ghiacciatissime e il sentiero ormai rigelato, non sciabile tra pietre e erba.

Inutile dire che siamo senza frontale, il disagio regna fino alla fine. Un cellulare su 2 ancora carico e giù di torcia. Un po' per inerzia arriviamo all'orrido, la Torre di Oyace ci guarda, è tutto stellato. Non ci resta che risalire al paese. Ed ecco la fontana di Oyace… I programmi non erano esattamente di tornare a quell'ora, ma chissenefrega, è stata un'avventura totale. Un vero e proprio mito della caverna, con andata e ritorno, un viaggio che non dimenticheremo.

Incrociando qualche scarna info la cima dovrebbe essere la Becca Etresenda. Su Gulliver si legge: Primi salitori e forse anche ultimi, Ettore Canzio, Felice Mondini e Nicola Vigna il 1°m luglio 1895., da Col de L'aquelou' per la cresta Nord, che battezzarono questa punta col nome dell'Alpe situata ai suoi piedi, nella Comba di Montagnaya.

di Flavio Migliavacca

Dislivello 1700 m. Difficoltà stimata 5.2 E3. Dipende molto da innevamento e conseguente facilità di passaggio sulle 2 interruzioni (caverna + risalto di ghiaccio, quest'ultimo evitabile con buon innevamento)

Link: FB EffettoAlbedo90




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