Anelli di corda di Flavio Faoro: un libro per ritrovare il piacere delle storie di montagna e di alpinismo

Anelli di corda di Flavio Faoro (ed. vividolomiti). Un libro di storie di montagna e alpinismo dalle Dolomiti alle Ande all'Eiger. La recensione di Paola Lugo.
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Anelli di corda di Flavio Faoro (ed. vividolomiti)
vividolomiti

Poche cose mi piacciono più di andare in montagna, e poche cose ultimamente mi piacciono meno di leggere libri di montagna. Trovo sempre le stesse situazioni, l'amore per il rischio, la ricerca dell'adrenalina, il compiacimento sottile per la sfida con la morte, tutte piccole varianti dell'esaltazione dell'ego del climber,-alpinista-sciatore-esploratore di turno.

Per fortuna in questo piccolo libro di Flavio Faoro non c'è nulla di tutto questo. Quello che invece si trova in abbondanza è l'amore per raccontare delle storie. Mentre leggevo pensavo, evviva sono delle vere storie, finalmente qualcuno che scrive delle storie ambientate in montagna, dove c'è una trama, ci sono dei personaggi, dove viene voglia di sapere come andrà a finire. Dove non si sente solo l'Autore, famoso alpinista che parla di sé, e dice io io io.

D'altra parte, conoscendo Flavio non poteva essere che così. Da anni organizza a Belluno la più bella e interessante rassegna di cultura alpina/alpinistica, Oltre le vette. Proprio ad Oltre le Vette, tanti anni fa, ho seguito un memorabile incontro sul destino della Letteratura di montagna (uno degli argomenti su cui si discute di più a fronte di risultati spesso così modesti...). I relatori erano Mario Rigoni Stern, Mauro Corona, Alberto Peruffo, Cesarino Fava, Linda Cottino... e proprio Mauro Corona uscì con una frase lapidaria che non ho mai scordato. Cito a memoria :”Non ci sono grandi romanzi in montagna, perchè non sappiamo raccontare i perdenti, le sconfitte.”

In Anelli di corda c'è un perdente grandioso, Alan Tagarth, con la sua caparbia, e la sua perdente appunto, corsa verso l'Alpamayo, mentre si culla, come noi tutti, in fondo, lieve e sognante in quella immortalità di cui non dubitiamo mai. Sono racconti autobiografici? In fondo il narratore è quasi sempre in prima persona. Ho imparato dalla prefazione di Franco Michieli che Felipe, protagonista dell'omonimo racconto, esiste, ed è stata una piccola delusione, perchè è così bella questa storia, che pensare sia solo uno dei tanti resoconti di un'avventura vissuta durante una spedizione extraeuropea, mi sembrava perdesse di valore, perdesse quel qualcosa di universale che è proprio della letteratura.

Provo ad essere più chiara: io non sono mai stata sulle Ande, e per fortuna non mi sono mai persa su un ghiacciaio in una tormenta. Ma tante volte, nella vita di tutti i gironi, credo capiti a tutti di sentirsi smarriti e di non capire più dove siamo, e cosa vogliono dire le persone accanto a noi, se ci stanno aiutando o se hanno perso il senso delle cose e della realtà. Se possiamo fidarci di loro oppure no. Ed è questo, credo, il senso del racconto, trasmettere lo smarrimento che tutti possiamo provare prima o poi, perchè la vita è complicata, e non è difficile scalare solo una montagna. (per fortuna Flavio mi ha rassicurato, Felipe esiste, ma il racconto è pura fiction)

Il racconto più bello di tutti? Chi scala si divertirà tanto leggendo Un tiro, chi ama le atmosfere buzzatiane La valle dei piccioni, chi cerca una scrittura lieve e poetica I buchi, un vero atto d'amore per le cose, gli oggetti che usiamo e non sappiamo vedere.

di Paola Lugo




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