Nessun posto al mondo: intervista alla regista Vanina Lappa

Nel contesto del Trento Film Festival 2024 Luca Zumerle ha incontrato la regista e montatrice italo-francese Vanina Lappa per parlare del suo film 'Nessun Posto al Mondo', presentato nella sezione Terre Alte, dedicata a documentari d’autore su gente di montagna, tradizioni e paesaggi in trasformazione.
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Nessun posto al mondo di Vanina Lappa
Vanina Lappa

"Nessun posto al mondo" narra la storia di Antonio, un pastore dallo spirito libero che, attraverso il legame con gli animali, sembra trovare un posto che tra gli uomini e le loro leggi non riesce ad avere. Nonostante le critiche dei suoi concittadini, Antonio si rifiuta di costringere i suoi fedeli cani con collari, preferendo la libertà della natura. Questo atteggiamento lo porterà ad affrontare conseguenze negative ma non cederà nella sua lotta per trovare un equilibrio tra la sua visione della vita e le aspettative della società.

Il rapporto tra l'uomo e la natura è un tema centrale del film, esplorato attraverso le scelte e le azioni di Antonio, e offre uno spunto di riflessione sulla nostra relazione con il mondo che ci circonda. Abbiamo avuto l'opportunità di discuterne con Vanina, approfondendo il modo in cui ha affrontato e rappresentato questa complessa relazione.

Nessun posto al mondo ci porta a scoprire un uomo che vive il suo legame profondo con la natura lontano dalle regole della società contemporanea. Perché hai deciso di raccontare il rapporto dell’uomo con la natura a partire dalla storia di Antonio?
Antonio, come ogni pastore, ha un rapporto privilegiato con la natura. Ma ciò che lo rende speciale è il suo rapporto particolare con gli animali: sembrano essere gli unici con cui riesce a comunicare. Questo rapporto così stretto con la natura lo porta a vivere al di fuori delle regole della società, perché nella società non c’è posto per questo tipo di rapporto con la natura. La società vuole normare e dominare la natura, che invece è qualcosa di indomabile.

Avevo necessità di parlare della relazione con la natura e l’animale, perché rivela molto di come ci relazioniamo tra di noi come esseri umani e di come concepiamo le differenze. Gli animali sono gli schermi su cui proiettiamo le nostre emozioni, i nostri mondi interiori, il nostro rapporto con il mondo: abbiamo un forte attaccamento a loro, ma anche alcuni comportamenti oscuri.

Il rapporto con l’animale è sintomatico del rapporto che abbiamo con l’altro. Credo che gli esseri umani siano gli unici animali che fingono di non esserlo, e questo ha portato a delle conseguenze evidenti.

Nel film c’è un anelito alla libertà nella scelta di Antonio di non abbandonare i suoi valori e nella lotta per la ricerca di un "posto al mondo" che lo porta a vivere il rapporto profondo tra l’uomo e la natura. C’è qualche riferimento autobiografico in questa scelta?
Sicuramente c’è qualcosa di Antonio che mi abita profondamente. Da piccola ho passato molto tempo in Corsica, terra natale di mia nonna, una terra molto selvaggia. Passavo il tempo nuotando tra i pesci e in campagna con le tartarughe, i ricci, le formiche, i gatti, le rane e tanti altri animali che mi facevano scoprire il mondo. Quello che abbiamo in comune, oltre ad un rapporto profondo con la natura, è l’esigenza di trovare la propria libertà all’interno di un sistema in cui spesso non ci riconosciamo e in cui fatichiamo a sentire il nostro posto. È ciò che abita entrambi e che lega il nostro percorso, lui un pastore dell’entroterra del Cilento, io una regista milanese.

Nel corso della chiusura dell'intervista, è emersa una riflessione sul tema dell'abbattimento degli animali selvatici, offrendoci uno spunto di analisi sulla nostra relazione con il mondo animale.

Nel film si parla di transumanza e del legame tra la montagna e gli animali che la abitano. C’è un messaggio di sensibilizzazione a partire dalle normative regionali sull’abbattimento degli animali selvatici presenti allo stato brado?
C’è una sequenza nel film che parla di un abbattimento di animali sulla montagna, non perché fossero selvatici ma perché erano dei capi infetti di brucellosi e tubercolosi. Ciò che mi interessa è parlare di come per risolvere questo problema si sia proceduto ad un abbattimento selvaggio. La soluzione trovata è sintomatica del rapporto che abbiamo con gli animali. Noi come esseri umani se siamo malati ci curiamo, non facciamo abbattere i nostri simili. Siamo sempre stati affascinati dagli animali, ma abbiamo anche cercato di dominarli tanto da decidere della loro vita e morte. Non abbiamo esitato a utilizzare tutte le loro risorse: la loro forza motrice, i loro materiali - carne, grasso, pelle, peli, piume, ossa, avorio. Il nostro modo di vedere gli animali deve continuare a evolversi: li dobbiamo vedere sempre più per quello che sono, non solo per quello che ci portano. 

Intervista di Luca Zumerle




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