In difesa delle Alpi: l'orazione civile - spettacolo di Marco Albino Ferrari con cinque domande all’autore

Si intitola 'Assalto alle Alpi', così come l’ultimo suo libro appena pubblicato da Einaudi, il nuovo monologo dello scrittore giornalista Marco Albino Ferrari la cui prima si è tenuta al Trento Film Festival 2023. L'intervista di Melania Lunazzi.
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Marco Albino Ferrari durante suo spettacolo 'Assalto alle Alpi' al Trento Film Festival 2023
Trento Film Festival

È dalle rovine del villaggio di St. Gréé, stazione sciistica nata negli anni Settanta che Marco Albino Ferrari fa partire l’intenso monologo intitolato Assalto alle Alpi. La prima di questa coinvolgente orazione civile si è tenuta al Teatro Sociale di Trento lunedì 1 maggio alla presenza di un pubblico attento e partecipe. Il giornalista e scrittore, creatore di Meridiani Montagne e autore di libri di successo, oggi responsabile del settore cultura del Club alpino italiano, l’ha presentata contestualmente all’uscita in libreria del suo nuovo lavoro che porta lo stesso titolo, Assalto alle Alpi, pubblicato da Einaudi nella collana Vele. Lo spettacolo, un one man show di un’ora e dieci, tutto a braccio, accompagnato da effetti sonori e proiezioni di immagini, comincia tra vetri rotti, cavi estrusi, arredi depredati, rimasugli di attrezzature sciistiche e rumori di passi, quelli di Ferrari, che echeggiano negli spazi abbandonati del villaggio turistico invernale - dove originariamente erano solo prati e una cappella intitolata a San Grato - innestato nel cuore delle Alpi Liguri e poi abbandonato per mancanza di neve.

Una delle tante, ricorda Ferrari con dati alla mano, stazioni sciistiche nate dal nulla in quegli anni a emulazione del Plan Neige applicato tra le Alpi francesi dal governo d’Oltralpe nel tentativo di ridurre lo spopolamento della montagna. Un luogo del divertimento sulla neve con edifici torreggianti, appartamenti dalle dimensioni ridotte, vere e proprie cage aux poules (lett. gabbie di polli), scatole tutte uguali attorno alle quali trovare concentrato tutto quello che il cittadino in trasferta avrebbe potuto desiderare nella sua città, dal supermercato al parrucchiere dalla rosticceria alla discoteca, dall’intrattenimento ai personaggi della televisione e una Porta della Neve dalla quale entrare in un mondo tutto bianco. Un’illusione di breve durata, con un seguito (e una fine) di speculazioni in odor di mafia. E poi a mille metri nevica sempre meno.

Ferrari conduce per mano, con ritmo, immagini, documenti e l’esperienza trentennale di chi ha conosciuto e raccontato tantissime valli e località dell’arco alpino, nel cuore delle contraddizioni del nostro tempo in cui le montagne fanno da capro espiatorio di una crisi climatica, ambientale e di modelli che si continua a voler ignorare, soprattutto a livello politico e dove si crede nella cementificazione e nel consumo di suolo come unica risorsa vincente per la vita in montagna. "Si è fatto sempre così" ed ecco che si progettano nuovi impianti, si rinnovano quelli obsoleti, anche se non nevica, con contributi pubblici, si scavano bacini per ottenere neve artificiale nei pochi giorni di freddo in cui spararla, ecco che si continua ad alimentare una visione che non rispetta l’essenza e la realtà delle Alpi stesse. Una cultura che ha radici nelle sue capacità di adattamento al vivere in pendenza fin dal Basso Medioevo, con i primi coloni che la abitarono.

La montagna ha già in sé stessa i propri valori, ricorda Ferrari, e non ha bisogno di essere "valorizzata" con superfetazioni e modelli di trasformazione ispirati alla vita di città. E il ragionamento non vale soltanto per l’inverno, ma si estende anche alla stagione estiva, dove a prevalere è sempre un’idea di soggiorno, da parte del turista urbanizzato, in cui trovare in alto tutte le comodità e le forme di intrattenimento di cui si dispone in città e dove l’immagine del montanaro e del suo stile di vita deve rispecchiare, nelle località più turistiche, un modello alla "Heidi" che non è reale. Lo stesso montanaro non è un residente di serie "B" e necessita anche lui dei servizi di base di cui si dispone in pianura quali scuole, uffici postali, ospedali e invece da questo punto di vista viene depauperato, con una differenza di trattamento che ne indebolisce sempre più le motivazioni a restare. La differenza di trattamento di cui avrebbe bisogno sarebbe invece sul piano fiscale, ed economico perché di fatto la vita in alto, dove il territorio è in pendenza, non è assimilabile a quella dell’orizzontalità.

Quali sono le motivazioni profonde che ti hanno spinto a scrivere il libro e lo spettacolo?
C’è poca consapevolezza delle montagne in Italia. Si pensa che le montagne siano quelle legate a famose località del turismo, come Madonna di Campiglio, Courmayeur, Cortina etc., quindi è importante e giusto che chi si occupa di montagna lanci un grido di allarme. Le Alpi, ancora più degli Appennini in un certo senso, sono una porzione di territorio tra le più fragili e stanno subendo un attacco da parte del turismo di massa a causa di modelli di consumo non più attuabili. Bisogna dare voce a questo problema per sensibilizzare l’opinione pubblica affinché questi temi non rimangano solo tra gli addetti ai lavori.

Quali sono secondo te gli strumenti su cui far leva per cambiare l’approccio politico alla montagna? Le Alpi - 16 milioni i residenti comprendendo però anche quello degli altri stati confinanti - hanno una percentuale esigua di abitanti rispetto all’intero territorio italiano, un numero poco incisivo…
Le Alpi sono poco rappresentate in politica perché esprimono pochi elettori. Nella scorsa legislatura c’era però in cantiere una legge sulla montagna che agiva su diversi fronti favorendo ad esempio la ricomposizione fondiaria per facilitare l’accorpamento dei terreni o di particelle catastali irrisorie, una legge che favoriva imprese che nascevano in montagna e una serie di facilitazioni per favorire il ritorno a vivere in montagna con l’insediamento di nuove giovani famiglie dopo gli anni dello spopolamento. La legislatura è finita prima della sua approvazione e quindi bisogna ripartire da capo, però ci sono le menti e le forze in grado di esprimere una legislazione adeguata come pareva si stesse profilando.

Quali sono queste menti e forze?
Sono quelle sedute ai tavoli tecnici. Le leggi non le fanno i politici che se impossessano e ne hanno il primato, come è giusto che sia. E si media tra le forze in campo, anche tra opposte visioni. Questa legislazione è fortemente necessaria, c’è un’urgenza e queste norme non hanno colore o schieramento di destra e di sinistra. Tant’é vero che il disegno di legge del 2022 era di Mariastella Gelmini, ma non avrebbe trovato ostacoli a sinistra.

Per quella che è la tua esperienza e la tua percezione si sta facendo strada nei giovani una visione della montagna più equilibrata e consapevole?
Moltissimo. I giovani stanno insegnando ai padri e questo è una sorta di ulteriore segnale del ribaltamento postmoderno in cui viviamo. I Fridays for f future richiamano i genitori ad ascoltare i professori e ad assumersi responsabilità: esattamente l’opposto dei giovami del ’68 che brandivano la bandiera della ribellione e del sei politico: questi sono giovani che richiamano i padri all’ordine.

I montanari spesso credono in quei modelli di sviluppo della montagna che ne compromettono l’essenza e la indeboliscono, accusando di ambientalismo spinto e egoista coloro che si oppongono a quegli stessi modelli, perché non sanno cosa significa vivere in montagna. Come si può risolvere questo radicalismo da una parte e dall’altra?
Con un approccio tecnico e consapevole. Da una parte i cittadini pensano che dove finisca l’asfalto inizi la natura selvaggia con una prospettiva cittadina tutta in bianco e nero: oltre il parcheggio si estende la cresta dell’Alaska in Canada dove gli orsi sono a casa loro, come ho sentito dire. Invece esiste anche una zona grigia di coabitazione tra natura e uomo e questa percezione deve essere acquisita dal cittadino con consapevolezza. Il paesaggio è un paesaggio modellato dall’uomo.

Chi vive in montagna è invece inconsapevole di dove sta vivendo proprio perché ci è nato e ha sempre visto le montagne come un fondale. I montanari vi sono radicati e non riescono a dare il giusto valore alla loro montagna, perché non riescono a paragonarla ad altro, non hanno la distanza prospettica, sono schiacciati nel loro mondo e applicano strategie di adattamento per riuscire a superare le difficoltà oggettive senza considerare il valore ambientale del luogo in cui vivono, non se ne rendono del tutto conto.

Quali saranno le prossime tappe dello spettacolo?
Il calendario è fitto di appuntamenti per entrambi, libro e spettacolo, li segnalerò di volta in volta sulla mia pagina.

Intervista di Melania Lunazzi

Info: www.trentofestival.it




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