Grandes Jorasses Direttissima, la prima ripetizione ed invernale di Charles Dubouloz, Clovis Paulin e Symon Welfringer

Intervista all’alpinista francese Symon Welfringer dopo la prima ripetizione, prima libera e prima invernale della Direttissima alla Punta Walker sulla parete nord delle Grandes Jorasses, effettuato insieme e Charles Dubouloz e Clovis Paulin dal 9 al 13 febbraio 2023. La via era stata aperta nell’estate del 1986 da Patrick Gabarrou ed Hervé Bouvard.
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Charles Dubouloz, Clovis Paulin & Symon Welfringer durante la prima ripetizione, prima invernale e prima libera della Direttissima alla Punta Walker della Grande Jorasses (09-13/02/2023). La via era stata aperta nell’estate del 1986 da Patrick Gabarrou ed Hervé Bouvard.
Mathis Dumas - Millet

Una via rimasta irripetuta per 37 anni, sulla nord delle Grandes Jorasses, 3 alpinisti francesi e la voglia di mettersi alla prova con la storia dell’alpinismo. I protagonisti di questo racconto sono Symon Welfringer, Charles Dubouloz e Clovis Paulin che lo scorso 13 febbraio hanno realizzato la prima ripetizione, prima salita in libera e anche prima invernale della Direttissima alla Punta Walker sulla nord delle Grandes Jorasses. Una via rimasta appunto mai più salita dopo l’apertura, tra il 27 giugno e il primo luglio 1986, da parte di Patrick Gabarrou ed Hervé Bouvard. La linea si sviluppa per circa 1200 metri tra Rolling Stones (Thomas Prochaska, Jroslav Rutil, Ludek Schlechta e Jiri Svejda 07/1979) e lo Sperone Walker (Riccardo Cassin, Luigi Esposito, Ugo Tizzoni, 08/1938) e per la salita quest’inverno i tre hanno impiegato 5 giorni, compiendo 4 bivacchi in parete e affrontando temperature che hanno raggiunto i -20 gradi. Ora la via è stata gradita complessivamente ABO, e in quest’intervista il 29enne Welfringer fornisce tutti i dettagli.



Symon com’è nata l’idea di provare una linea come questa, una via rimasta irripetuta per oltre trent’anni…

Sono stati Charles e Clovis a parlarmi di questa linea, prima non la conoscevo. L’idea di salirla è nata durante la spedizione al Manaslu, lo scorso autunno, immaginando i progetti futuri.
 
Secondo te quante persone la conoscevano?
Penso poche, è un bell’itinerario ma richiede un livello abbastanza alto, sia nel dry tooling che nell’arrampicata su roccia. Diciamo che non molti potrebbero pensare di farlo. A questa considerazione oggettiva si aggiunge il fatto che con le condizioni attuali, con queste estati calde, se pensi di ripete una via del genere devi farlo o in inverno o all’inizio della primavera.
 
Quali sono state per voi le maggiori difficoltà?
Trovare il percorso giusto e anche il migliore per effettuare la salita. Le topo erano davvero imprecise e la via non ben descritta. Diciamo che abbiamo effettuato una ripetizione, ma è come se avessimo aperto una via. È stata la prima volta in cui ho provato una sensazione del genere sulle Alpi.
 
Avete però avuto la fortuna di essere accompagnati sotto la parete da Patrick Gabarrou. Com’è stato?
Sì, Patrick si è unito a noi durante l’avvicinamento. Abbiamo controllato la linea insieme, è stato un bel momento. Quando poi siamo tornati a Chamonix abbiamo incontrato anche il suo compagno di cordata Hervé Bouvard. Ci siamo sentiti grati per poter condividere con loro la nostra salita, a quasi 40 anni dall’apertura.
 
Che condizioni avete trovato in parete?
Condizioni fantastiche! Nella maggior parte dei canaloni abbiamo trovato neve appiccicosa e compatta mentre le parti rocciose erano davvero asciutte. Siamo riusciti ad arrampicate come su una vera big wall: con le mani e le scarpette.
 
La meteo invece?
I primi due giorni sono stati veramente freddi. Non volevamo perdere la finestra di bel tempo e sapevamo di aver bisogno di molti giorni di bel tempo. Nei giorni successivi il freddo è calato. In generale i momenti più duri arrivavano al calare del sole. Le notti erano umide ed era difficile combattere il freddo e cercare di dormire.
 
Torniamo per un attimo a Patrick Gabarrou. Questa era la prima volta in cui vi incontravate?
Sì, non lo conoscevo prima. Patrick è il mentore di Clovis, è stato lui a insegnargli tutto sull’alpinismo. Per me è stato un onore incontrare una personalità come la sua, un pilastro dell’alpinismo moderno. Quelli trascorsi insieme sono stati momenti molto piacevoli, e lo stesso vale anche per Hervé. Una persona fantastica con cui condivido la stessa passione per l’arrampicata. Siamo tutti animati dalla stessa passione e dalla stessa energia. Discutendo insieme ci siamo facilmente riconosciuti nelle parole che usavamo per descrivere le montagne e le salite.
 
A proposito, ci racconti la linea?
Questa via per me raccoglie tutto quanto di bello ha l’alpinismo. Dai difficili tiri di misto, alle grandi pareti rocciose, senza dimenticare l’arrampicata trad. Per il 90% dell’itinerario la roccia è veramente bella e solida, ci si può proteggere bene e i tiri non sono così esposti. Però, a renderla veramente speciale, è il fatto di essere ripida per tutti i suoi 1200 metri di sviluppo. Una vera e propria big wall, su una delle più grandi pareti nord delle Alpi.
 
Qual è stato il momento più bello?
Direi alla fine della parte difficile: uno strapiombo di 200 metri al centro della parete con fessure sottili e discontinue. Quando ci siamo ritrovati in quel punto abbiamo iniziato ad avere dei dubbi, non sapevamo dove potesse portare la via. Ero io in testa e ricordo che a un certo punto ero disperato perché non riuscivo a salire, poi ho trovato un modo. Un po’ a destra, un po’ a sinistra e sono riuscito a salire questi tiri incredibili, fino al 7a, con una temperatura di -15 gradi. Era il terzo giorno.
 
Gli ultimi due giorni invece?
Sono stati più facili, anche se il freddo era difficile da gestire. Se la via fosse stata esposta a sud, sarebbe stata un’esperienza completamente diversa. In inverno la parete nord delle Grandes Jorasses non vede mai il sole diretto e per 5 giorni abbiamo avuto la sensazione che fosse scomparso dalla Terra.
 
Come avete fatto a resistere nonostante il freddo persistente?
Trovando il giusto equilibrio per conservare le energie e la motivazione. Freddo significa che ogni cosa che fai costa un po’ di energia: bere, mangiare, tenere l’acqua al caldo. Ma anche mettere i guanti e le scarpette da arrampicata. Tutto costa energia, ed è questo che lo rende così complicato da gestire.
 
Com’è stato rivedere il sole?
Dopo 5 giorni a -20 ritrovarsi in cima a +10 con il sole splendente ci ha regalato un grande senso di sollievo. Felicità pura, resa ancora più grande dal fatto di essere con due buoni amici.

Symon Welfringer è atleta Team Millet, La Sportiva, Petzl




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