Wadi Rum. Arrampicata e incastri nel deserto di Lawrence d’Arabia

Il racconto del viaggio di Gianluca Cavalli, Marcello Sanguineti e Marco Scagnetto nel Wadi Rum (Giordania) la “Mecca” dell’arrampicata trad in Medio Oriente.
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Arrampicata e incastri a wadi Rum, nel deserto di Lawrence d’Arabia
archivio Cavalli - Sanguineti - Scagnetto
Da quando arrampicai per la prima volta in Utah, capii che, per me, l’arenaria ha un fascino particolare. Forse perché il nome anglosassone, “sandstone”, unisce due parole che racchiudono l’essenza del mio modo di andare in montagna. Il mio alpinismo è fatto proprio di “stone” e di “sand”: amo accarezzare e stringere la pietra per innalzarmi sulle pareti partendo dal mare, dove le onde si frangono sugli scogli e accarezzano la sabbia. Per un Ligure DOC, che inizia le salite dal Mediterraneo e le conclude ritornando nel Golfo Tigullio, sandstone è dunque una parola magica. Se a questo si aggiunge una perversa passione per l’arrampicata a incastro, il gioco è fatto e si fa presto ad essere contagiati dal “male d’arenaria”… Visto che le più belle sandstone walls della Terra si trovano nei deserti o vicino ad essi, a questa malattia si affianca il “male del deserto”.

Ho iniziato così ad arrampicare sulle mitiche strutture di arenaria degli USA: da Indian Creek alle Desert Towers (Bridger Jack, Six Shooters, Fisher Towers, Washer Woman, le torri della Castle Valley…), passando per le Red Rocks del Nevada e i loro canyons. Quando, poi, “scoprii” che relativamente vicino a casa, in Provenza - quella terra d’Occitania così vicina geograficamente e culturalmente alla mia Liguria - si trova Annot, un piccolo gioiello d’arenaria in Europa, mi fu chiaro il modo per rinnovare periodicamente il gioco della scalata nelle sandstone cracks del Vecchio Continente. Per completare il puzzle mancava all’appello Wadi Rum…!

L’occasione si presenta quando mi arriva un'email di Gil, un israeliano che era stato guest al Trad Climbing Meeting 2012, organizzato dal Club Alpino Accademico (CAAI) in Valle dell’Orco: in qualità di host, gli avevo fatto scoprire alcune delle fessure più estetiche della valle. È arrivato il turno di scambiare i ruoli: Gil mi invita come guest alla seconda edizione dell’ILCC Wadi Rum Climbing Camp 2013, dal 27 marzo al 1o aprile. Il meeting offre ai beginners, affiancati da istruttori, l’opportunità di avvicinarsi con sicurezza al trad climbing, mentre gli scalatori “già svezzati” possono arrampicare per conto proprio o insieme ai local su vie di tutte le difficoltà. Non ci penso due volte e accetto l’invito! Sono della partita anche Gianluca Cavalli (CAAI) e Marco Scagnetto. Ecco un trio deciso a portare una ventata d’italianità tra le sabbie della Giordania: non a caso, Gianluca e Marco arrivano con una bella scorta di Parmigiano Reggiano…

La strada per Wadi Rum corre dapprima attraverso un piatto deserto, poi fanno capolino le strutture rocciose. All’entrata della valle troneggia la montagna chiamata Seven Pillars of Wisdom. C’è chi crede che il titolo del libro di Lawrence d’Arabia (Thomas Edward Lawrence, ufficiale delle forze britanniche stanziate nella regione di Wadi Rum durante la rivolta araba del 1917-18) sia ispirato a questa montagna, ma è vero l’opposto. In effetti, per attirare i turisti, a molti luoghi sono stati attribuiti nomi che ricordano Lawrence, spesso con nessuna reale connessione. Tra l’altro, sui Seven Pillars of Wisdom ci sono solo sei pilastri!

Finalmente si arriva al villaggio di Rum, nel pianoro desertico racchiuso fra Jebel Rum a est (la cima più elevata, 1754m) e, a ovest, Nassirani e Jebel Um Ejil. Wadi Rum è una valle che fu scavata dallo scorrere di un fiume nel suolo sabbioso. La parola “uadi” indica il letto di un torrente e “rum” significa probabilmente “alto” o “elevato”. Wadi Rum è il più vasto “uadi” della Giordania. Tutto intorno al nostro accampamento è una distesa di pareti, con avvicinamenti che partono direttamente dal villaggio. Alle spalle delle tende bianche dei Beduini e oltre i musi dei cammelli troneggia la roccia rossastra della parete principale di Jabel Rum, che all’alba e al tramonto sembra prendere fuoco. Imboccando con un 4x4 la pista nel deserto che porta verso Aquaba e spostandosi nei canyons, si trova un’infinità di jebel (in lingua araba, “jebel” significa “rilievo montuoso”): Hubeira, Leyyah, Rumman, verso ovest, Makhras, Um Ishrin, Kharazeh, Um Ejil, Annafishiyyah, Um Zernouk, Al Hasani, Um Anfus, Arashrasha, Barrah, Al Riddah al Beidah, Barrah e Abu Judaidah a est. A sud-est e sud si incontrano Um Kharg, Er Raqa, Um Harag, Khazali, Kush Kashah, Qabr Amra, Ikhnaisser, Abu Kashaba, Abu Khsheibah e Burdah. A sud-ovest, infine, s’innalzano Al Qattar e Al Maghrar. Tante sono le vie su ciascuna di queste montagne, ma ancora di più le possibilità di aprirne di nuove – cercando con cura la roccia sana, che a da queste parti non sempre è presente!

Wadi Rum offre di tutto: dalle “beduin classics” – percorsi di escursionismo avanzato con semplici passi di arrampicata, che si snodano fra gole, canyons e altopiani - ai monotiri e ai multipich, fino alle big walls. Marco e Gianluca, arrivati un giorno prima di me, inaugurano le danze sulle torri della parete est di Jebel Rum, percorrendo la via Inferno. Su quelle stesse torri, un paio di giorni dopo io salgo con Gil, il local che ho conosciuto in Valle dell’Orco, Flight of Fancy, lungo uno stupendo diedro che aveva calamitato il mio sguardo sin dal momento dell’arrivo. Passiamo poi a una delle grandi classiche, sempre su Jebel Rum, questa volta sulla parete est dei NE Domes: la Renee Van Hasselt. È un tipico esempio di via multipich a Wadi Rum: ambiente grandioso, niente materiale in posto, a parte qualcosa in sosta, tiri che alternano roccia ottima a tratti in cui occorre stare molto all’occhio. La scalata è atletica e i colori mozzafiato. Arrampichiamo tutto il giorno al suono delle musiche che salgono dal fondovalle, dove i Beduini festeggiano un matrimonio, in due accampamenti separati, a un centinaio di metri l’uno dall’altro. Un paio di giorni dopo, Alì - il simpatico Beduino che, con il suo 4X4, ci porterà nei canyons - ci spiegherà che, secondo la tradizione, le donne e i bambini festeggiano in un accampamento rigidamente separato da quello che ospita i bagordi degli uomini. Ce lo dirà poco dopo averci preannunciato che sta per diventare nuovamente padre: sarà il primo figlio con la nuova moglie, una ventenne (lui ha 45 anni) con la quale ha affiancato senza problemi la prima, ormai quarantenne. "Potenza dell’Islam!" - pensiamo, sospirando, Gianluca, Marco ed io… Quando scopriamo che si tratta del suo ottavo figlio e che nel villaggio di Rum c’è chi supera le due decine di pargoli, non sospiriamo più.

Il giorno successivo è la volta di The Beauty, sulla parete ovest di Jebel Um Ejil (1431m). La sequenza di diedri e fessure che incide la parete rende questa via degna del nome! In sosta osservo l’infinità orizzontale del deserto e immagino le truppe di Lawrence d’Arabia quando, con l’aiuto dell’Emiro Faisal e dei capi-tribù a lui fedeli, preparò l’attacco alle forze ottomane da Aqaba a Damasco… Concludiamo la nostra “campagna di Wadi Rum” con The Star of Abu Judaidah, una via di qualità top sul Gendarme N di Abu Judaidah (1286 m). La parete si trova nel selvaggio Barrah Canyon, dove arriviamo con un divertente viaggio in 4x4. Alla guida c’è l’ineffabile Alì che, mentre si destreggia disinvoltamente fra le rocce accendendo una sigaretta dopo l’altra, ci confida che trascorrerà la notte dalla seconda moglie. La prima, ci spiega, oltre ad avere sulle spalle due decadi in più ("non solo sulle spalle…" - pensiamo noi), ultimamente è un po’ nervosa. È la strategia del nostro amico: pernottare in casa della compagna che di volta in volta gli offre le prospettive migliori, scegliendo quotidianamente. Tra l’altro Alì prevede che, in un prossimo futuro, la scelta sarà fra tre possibilità: sta pensando di concedersi una terza “donna ufficiale”. Gianluca, Marco ed io ci guardiamo con un misto d’incredulità e sana invidia.

Arriva il 1° aprile e facciamo un bilancio. La settimana è trascorsa fra incastri, spostamenti in 4x4 per raggiungere la base delle pareti più lontane dal villaggio, serate attorno al fuoco del campo, albe che infuocano l’immensa parete di Jebel Rum, tramonti scanditi da pisolini sulle amache, cene beduine a base di riso speziato, hummus (pasta di ceci), crema al formaggio di capra e pane di pita (pane piatto a base di grano). Cosa desiderare di più? Soltanto due cose: scoprire le forme nascoste sotto gli strati di stoffa dell’unica donna araba “a piede libero”, incontrata nel villaggio di Rum durante i giorni di permanenza in valle, e scassinare un frigo pieno di birre ghiacciate. Da queste parti, infatti, l’alcool è ufficialmente bandito. Solo poco prima di partire scopriamo che in uno dei due bar del villaggio girano alcune bottiglie di birra “di contrabbando”: l’anno prossimo ci faremo più furbi!

Marcello Sanguineti (CAAI)

Thanks to: Karpos/Sportful (www.sportful.it) , Geoborders Italy (www.geobordersitaly.com)



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