Via della Rivoluzione al Caporal in Valle dell'Orco: richiodatura e intervista a Ugo Manera

Enrico Bonino presenta la Via della Rivoluzione al Caporal in Valle dell'Orco. Prendendo spunto dalla sua richiodatura del tiro chiave, la guida alpina piemontese intervista Ugo Manera che nel 1973 ha aperto questa grande via d'arrampicata insieme a Gian Piero Motti.
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Sulla Via della Rivoluzione al Caporal in Valle dell'Orco: terzo tiro, traverso su chiodi e friends per la variante in libera
Enrico Bonino

Conobbi Ugo Manera verso la fine degli anni ’90 alla scuola di alpinismo Gervasutti di Torino. Fu mio istruttore per diversi anni, agli albori della mia carriera alpinistica. Un tipo burbero di primo acchito, ma estremamente gioviale ed interessante una volta conosciuto meglio. Ho sempre trovato affascinanti ed avvincenti i suoi racconti di storie passate; si percepiva in ogni parola che lui la montagna l’aveva vissuta davvero e non erano solo chiacchiere d’intrattenimento. Glielo si leggeva negli occhi.

A volte, mi dico che sarebbe stato bello vivere nella sua epoca, quella dell’alpinismo esplorativo, avremmo fatto una bella cordata noi due, penso. Ad ogni modo, nonostante negli anni non abbiamo avuto molte occasioni per condividere piccole o grandi salite, Ugo rimane uno dei personaggi che più hanno ispirato ed ispirano il mio alpinismo, con l’ entusiasmo e la curiosità contagiosi che l’hanno sempre caratterizzato.

Detto ciò, ho percorso numerose sue vie nell’ultimo ventennio, e confermo l’audacia che hanno avuto lui e Motti negli anni ’70 nell’aprire la Via della Rivoluzione al Caporal. Sono passati circa 18-19 anni dall’ultima volta che ho salito questa via. All’epoca ero un pischello in erba, forse un po’ incosciente, che si lanciava entusiasta su passi da funamboli con una determinazione sbalorditiva; oggi ci ritorno da professionista con un pò più di cognizione di causa e un po’ timoroso, pensando a quant’ero fulminato all’epoca!

Nei preparativi di un recente tentativo di ripetizione della via, vengo a conoscenza della rottura di un chiodo a pressione sul tratto chiave del secondo tiro. Proprio uno di quei chiodi a pressione che Ugo quasi si pentì di aver piazzato all’epoca. Leggo anche che per poter percorrere il suddetto tiro, è ora necessario compiere due passaggi su cliff-hanger. La cosa mi inquieta perché non ne ho mai fatto utilizzo e quel giorno sono in veste lavorativa, ma accetto la sfida e preparo l’artiglieria.

Arrivo al fatidico passo, guardo su, guardo giù, stringo le chiappe e piazzo il cliff. Lo carico guardando altrove per evitare di prendermelo in faccia, e la fortuna del principiante mi assiste. La tacca sulla quale dovrei piazzare il secondo cliff mi sembra inesistente, e quindi cerco di arrangiarmi con un rurp che puntualmente salta via. Salta lui e salto io. Breve scarica di adrenalina e via: non demordo e ci riprovo, la soluzione è vicina. Questa volta però viene via l’intera tacca sulla quale poggiava il cliff, o meglio i resti del vecchio chiodo a pressione. Azz… ora passare diventa impossibile. Peccato, cominciavo a prenderci gusto argh!

Terminata la giornata per altre vie, la sera comincia a frullarmi nella testa l’idea di tornare per risistemare tutta la sezione su chiodi a pressione, per renderla nuovamente percorribile nello stile utilizzato dai primi salitori. Mi dico anche che potrebbe essere una buona occasione per una piccola rimpatriata proprio con l’apritore, il mio amico Ugo Manera.

Con grande piacere scambiamo per telefono le nostre opinioni sul da farsi convenendo che la via della Rivoluzione merita di essere preservata nello stile, ma anche di essere ripristinata con materiale moderno e sicuro. In questo modo, oltre a conservare un pezzo di storia si dà la possibilità alle nuove generazioni di tentare più serenamente una salita in libera della via.

Da qui, il titolo "la Rivoluzione del progressista". Trovo ammirevole quest’apertura mentale da parte di un personaggio che ha vissuto 50 anni di evoluzione dell’alpinismo, sapendo stare al passo coi tempi e sapendo cogliere cosa di buono poteva portare ogni cambiamento. Chissà che non ci torniamo ancora insieme su quelle pareti dell’Orco, che ne dici Ugo?!


La Rivoluzione del progressista - intervista a Ugo Manera
di Enrico Bonino

Ugo, raccontaci brevemente il periodo in cui apristi la Via della Rivoluzione al Caporal
Era il 1972. Le falesie stavano diventando per noi sempre di più terreno di avventura e di ricerca; era nostro obiettivo tracciare vie che andassero oltre il livello raggiunto dalla generazione che ci aveva preceduto. Cominciammo a tracciare nuovi itinerari nei luoghi noti, poi scoprimmo il Bec di Mea in valle di Lanzo ma in tutti quei luoghi non trovammo quello che stavamo cercando. Il futuro ci aspettava sui dirupi di Balma Fiorant in valle dell’Orco. Al Caporal, al Sergent, alla Parete delle Aquile creammo qualcosa che, dalle nostre parti, prima non esisteva.

Tale esperienza per me non si concluse lì ma continuò negli anni a seguire, sempre alla ricerca di qualche realizzazione che portasse in avanti i limiti che avevo raggiunto in precedenza. Il Caporal rappresentò, per Gian Piero Motti e per me, il coronamento naturale di una ricerca iniziata alla fine degli anni ’60. Ma per rendere comprensibile il mio modo di scalare di quel tempo è necessaria ancora una precisazione. Al Caporal avevo fatto un’altra esperienza: l’uso del perforatore. Quando con Motti aprimmo la via della Rivoluzione sullo Scudo del Caporal usammo 5 chiodi a pressione e siccome il tiro chiave toccò a me, fui io a praticare i 5 fori con il punteruolo per infiggere i "pressione". Furono gli unici fori della mia carriera, dopo quella volta scelsi di non portare mai più con me il perforatore nell’apertura di nuove vie.

La mia decisione non derivò da una scelta etica, io non avevo nulla contro chi usava con parsimonia chiodi a pressione, semplicemente preferivo non portarli dietro come ancora di salvezza; le chiodature estreme mi esaltavano, mi consentivano di sfidare l’impossibile ma di riconoscere che l’impossibile esisteva. La consapevolezza di avere con me un mezzo (il punteruolo o il trapano) che mi avrebbero permesso di passare anche dove non ero più capace di infiggere qualcosa nella conformazione naturale della roccia, avrebbe certamente affievolito la mia determinazione e mi avrebbe indotto nella tentazione di "assassinare l’impossibile".

Nonostante i 5 famigerati chiodi a pressione utilizzati per la progressione, la Via della Rivoluzione, così come Tempi Moderni, ha segnato l’inizio di una nuova era per l’alpinismo su roccia del nord ovest… ce ne parli con gli occhi di uno dei protagonisti dell’epoca?
Per me (ma anche per Gian Piero) ciò che mi dava la massima soddisfazione era mettere le mani su un pezzo di roccia mai toccato da nessuno; o su un pendio ghiacciato mai scalfito da nessun rampone. Allora in alta montagna era relativamente facile scoprire terreni atti a soddisfare questa esigenza. Le strutture di bassa quota invece, in gran parte inesplorate, fino allora erano state considerate come palestre dove ci si allenava per l’alta montagna. Grazie soprattutto alle indagini di Motti sulla scalata negli USA in Gran Bretagna ed in Francia, avevamo scoperto che anche lì si poteva vivere la grande avventura.

Gian Piero era senza dubbio consapevole che in Valle dell’Orco stavamo aprendo un capitolo nuovo nell’arrampicata (almeno nel mondo occidentale della scalata su roccia): un "Nuovo Mattino". Lo dimostrano i nomi da lui scelti per le vie: Tempi moderni e Rivoluzione. Io non mi ponevo tanti problemi, pur essendo una mia invenzione il nome di Caporal, ero più portato all’azione, mi bastava affrontare e risolvere problemi che apparivano molto difficili, forse impossibili, non mi interrogavo molto sui risvolti filosofici delle nostre azioni. Gli amici mi prendevano in giro perché per me ogni nuova via era: la "pi dura e la pi bela".

E poi venne il 2002, quando un fortissimo giovane alpinista, Massimo Farina, liberò la tua via… spingendola la libera al limite utilizzando il materiale originale (Nel giugno '02, Massimo Farina ha liberato alcune storiche vie di artificiale del Caporal, nella Valle dell’Orco: La Rivoluzione e Mangas Coloradas , nell’ambito del progetto "Macchina del tempo")
Tutti gli orizzonti esistono per essere superati, considero perciò assolutamente normale che a 30 anni di distanza vengano compiute prestazioni che ai nostri tempi erano inimmaginabili. Succede in tutte le attività fisiche e sportive.

Qual è il tuo punto di vista sulla recente richiodatura della via? Che effetto ti fa sapere che quei chiodi a pressione faticosamente inseriti nella roccia, durante un’apertura importante, non ci sono più?
Quasi mi stupisco che quei chiodi a pressione lunghi 3 cm e dal diametro di 6 mm siano durati tanti anni. Debbo precisare che il loro inserimento non fu molto faticoso. Gian Piero si era fatto confezionare un punteruolo con applicato sulla punta un inserto in metallo duro ed io fui sorpreso dalla rapidità con cui riuscivo a praticare i fori (ero però uno specialista nell’uso del martello). Io ritengo logico, anzi doveroso sostituire i vecchi chiodi a pressione con moderni fix. Ciò serve a mantenere in vita un itinerario storico e molto bello. Non approverei invece la posa di fix dove noi ci siamo protetti con chiodi o ancoraggi mobili.

Si ringraziano gli sponsor tecnici: S.C.A.R.P.A., Climbing Technology, Millet, Baroli Sport


SCHEDA: Via della Rivoluzione, Caporal, Valle dell'Orco





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