Tatjana, il granito e l'arrampicata

Tatjana Göx parla del suo amore per l'arrampicata e, in particolare, della scalata sul granito in Sardegna.
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Tatjana Göx in arrampicata sul granito di Solanas in Sardegna
Andrea Loria

E’ diventato così difficile parlare di arrampicata senza tirare in ballo prestazioni e numeri: a parlare di “amore” siamo rimasti in pochi, tanto che si rischia di apparire ridicoli, quasi un po’ snob. Ho incrociato Tatiana per caso: procedeva contromano, alla ricerca di qualcosa che forse nemmeno lei stessa riusciva bene a definire. In Sardegna, l’isola del calcare, siamo in pochi ad amare il granito, le forme, i colori, il suo stile così esigente eppure affascinante, dove graffiare la “carrozzeria” non è una remota eventualità ma la cosa più probabile. Da queste parti non capita spesso che una ragazza si innamori del granito, vale la pena indagare sulle motivazioni… Perché arrampichiamo? Ognuno ha la sua risposta, ogni arrampicatore ha le sue motivazioni. Ma è così difficile riuscire a scriverne. Le ho chiesto di provarci… (Maurizio Oviglia)

Tutto scorre – Panta Rei – con una certa velocità: forme, colori, sensazioni e persone si alternano e passano come l’acqua di un fiume che non è mai la stessa. Spesso non ci si sente parte della realtà, dentro a un sogno piuttosto, qualcosa di impalpabile che semplicemente scivola via.

La prima volta che andai a scalare era primavera e il cielo blu cobalto faceva rimbalzare il blu oltremare della caletta dietro di me sulle ombre della falesia di calcare. Nell’acqua, sotto le pareti colore del pane, c’erano chiazze verde smeraldo che viravano nel colore della giada, fino alla piccola spiaggia di ciottoli tondi. Le dita su piccoli appigli, la roccia fresca, grida di gabbiani, rumore armonico delle onde, i battiti del cuore accelerati come in una fase di innamoramento. Dopo soli quindici metri arrivai in sosta, dove già brillava il sole, mi girai e il mio sguardo dominò tutta quella caletta, come se potessi abbracciarla, il vento portò via i pensieri con una sola folata e rimasi solo io: mi sentii parte del mondo, quasi fossi nata in quel momento.

Il calcare e quella caletta furono solo l’inizio. Scoprii il granito, antico di milioni di anni, le fondamenta delle nostre montagne, della nostra esistenza. Chi scala sul granito, ancestrale e solenne, tocca il tempo stesso, che si dilata e si allunga come gomma. Si ha la sensazione di grattare via altre ore di vita, un tempo extra che si espande acquistando profondità e peso. Ed è questo stesso tempo ad aver conferito delle forme grandiose a questa roccia: orsi, facce umane, burro squagliato al sole, meringhe, puzzle e dadi di antichi giganti, croste di pane, pandori, castelletti di sabbia, fessure e camini altissimi dentro ai quali si entra in altre dimensioni. L’arrampicata su granito è introspettiva, alcuni passaggi su placca, dove non ci sono appigli per le dita ma solo appoggi in aderenza, si possono fare a occhi chiusi ascoltando l’equilibrio del proprio corpo e della propria mente. Mentre si scala poi si percepiscono quelle corrispondenze baudelairiane che corrono e si intrecciano attraverso i cinque sensi: i cristalli del granito sotto i polpastrelli, il suo calore al sole, l’aderenza perfetta sotto la punta delle scarpette; il suo colore è alla vista molto piacevole, va dal bianco zucchero al rosa pesco, dall’arancio nespola al rosso granchio. I profumi sono quelli della macchia mediterranea, l’elicriso, la lavanda e la ginestra rilasciano i loro aromi tutt’intorno al granito multiforme di Capo Testa in Gallura, il rosmarino e i pini avvolgono con la loro essenza il granito rosso di Villacidro nel Campidano; l’odore del sottobosco e del muschio sotto le pareti granitiche dei monti dei Sette Fratelli nel Sarrabus si mescola con il verso del falco pellegrino e l’astore sardo, mentre la pelle sa di sale sul granito di Villasimius, dove la tinta blu del mare tenta da milioni di anni di colorare quelle falesie quasi bianche dove cristalli, simili a piccolissime zollette di zucchero, luccicano al sole.

Secondo la concezione occidentale del tempo, il passato, il presente e il futuro si pongono in maniera lineare. Tutto ciò che riguarda ieri sono pagine già sfogliate, frammenti di vita vissuta, immagini sfuocate di persone e luoghi, qualcosa da lasciarsi alle spalle. Il presente lo bruciamo come fuoco vivo e dura sempre solo un attimo. Il futuro è tutto il tempo che ci rimane davanti. Io penso invece che il tempo sia una massa fluida e informe in cui ci muoviamo, senza segmenti fatti di secondi o minuti e credo che possiamo modellarlo come argilla. È questo che amo della scalata: la sensazione di avere tutto il tempo dell’eternità e sentirsi parte di questa ermetica esistenza, dentro questo fluido che chiamano tempo.

Tatjana Göx




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