Quo Vadis, nuova via per Tondini e Irsara sul Sass dla Crusc

Ancora una nuova via sul Sass dla Crusc (Dolomiti) per Nicola Tondini e Ingo Irsara che hanno aperto Quo Vadis sulla grande parete simbolo della Val Badia.
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Nicola Tondini su Quo Vadis, Sass dla Crusc, Dolomiti
Paola Finali

Dopo Menhir, per Nicola Tondini ed Ingo Irsara è arrivata anche Quo Vadis. Due vie nuove, entrambe nel 2010, sulla magnifica Ovest del Sass dla Crusc... Se questa non è una piccola ossessione amorosa, bé gli assomiglia parecchio. Tanto più che Tondini, sulla parete simbolo della Val Badia, nel 2008 aveva firmato (con Zandegiacomo e Sartori) anche La Perla preziosa. E, prima ancora, nel 2005, insieme ad Adam Holzknecht aveva realizzato la prima ripetizione e prima invernale di “Loss lei, heb schun”, la via aperta con protezioni naturali da Helmut Gargitter e Renato Botte nel 2003.
Quo Vadis, l'ultima nata, dopo aver percorso la grande parete gialla inferiore, sfiora la parte sinistra dell'immenso tetto che caratterizza il pilastro di destra, per poi infilarsi nei muri compattissimi tra la "Mutschlechner-Grossrubatscher Memorial Route" (la via aperta tra il 1991 e il 1994 da Cristoph Hainz con Andrea Oberbacher) e la Judendliebe (la via firmata nel '92 da Othmar Zingerle e Michi Andres). Rispetto a queste ultime grandi e durissime vie, Quo Vadis mantiene quella che Tondini definisce una "sufficiente distanza" che ne garantisce la piena autonomia. Mentre i suoi 470 metri di sviluppo hanno richiesto alle due guide alpine 8 giorni complessivi di arrampicata con uno stile che ha cercato di avvicinarsi il più possibile al trad limitando al massimo l'uso degli spit. "Delle 14 sezioni obbligatorie impegnative (tra il 7a e il 7b+ obbl.)", spiega infatti Tondini, "11 sono protette da chiodi e 3 da fix. 2 dei 3 passaggi chiave (7b/7b+ obbl.) non sono protetti da fix". Come precisano i due apritori, in attesa della rotpunkt che è stata rimandata alla prossima stagione, le difficoltà sono ancora da definire. Intanto però, come leggerete dai loro report ma anche come ben si vede dalle foto e dal video, Quo Vadis ha già rappresentato una bella sfida...

QUO VADIS di Ingo Irsara
Che dire di queste due vie appena aperte: Menhir e Quo Vadis sono due mondi differenti. Già Menhir non è banale, anche se ha solo 5 tiri, ma confrontandola con Quo Vadis sembra una passeggiata. Menhir, un piccolo capolavoro aperto in due giornate, presenta un’arrampicata tecnica e sostenuta e potrebbe diventare una classica della parete. Quo Vadis, se da una parte è una delle linee più evidenti del Sass dla Crusc, dall’altra ha tutte le caratteristiche per diventare anche quella più dura. L´apertura è stata una vera e propria avventura. Spesso mi chiedevo cosa ci facessi in mezzo a questa parete quasi sempre strapiombante ed aerea (un vantaggio questo, perché se ti cade qualcosa mentre arrampichi, come per esempio “la scarpetta di Nicola” – persa prima di partire per il terz’ultimo tiro -, arriva dritto all’attacco della via senza mai toccare la parete). Quo Vadis, in definitiva, possiamo dire che ci ha messi alla dura prova sia fisicamente che psicologicamente. Ho ripetuto quasi tutte le vie della parete (oltre alle classiche, anche le più recenti: Jungenliebe [Zingerle/Andres del 1992: VIII], Auf die Felsen, ihr Affen in prima invernale [Hainz/Astner del 1994: VIII], Silberschrei in prima ripetizione [Auer/Schrieber del 2005: IX], La Perla Preziosa [Tondini, Zandegiacomo, Sartori del 2008: IX]), ma questa sono certo diventerà sicuramente la linea più difficile. Non vedo l´ora di provare la rotpunkt il prossimo anno: sarà sicuramente un altra bella avventura, tutta da vivere.
Ingo Irsara


from Andrea Tosi

ANCORA SASS DLA CRUSC! di Nicola Tondini
Quo Vadis? Dove vai? Mi hanno spesso chiesto quest’estate. Sul Sass dla Crusc, ho quasi sempre risposto. Pare che sia stato sempre là, in questa stagione Dolomitica … ma non ci si sbaglia di molto. In effetti con Ingo abbiamo passato ben 11 lunghe giornate, tra Luglio e Ottobre, su e giù da questa parete. 4 giorni dopo aver finito Menhir al Pilastro di Mezzo (200m, 7b+), infatti, io ed Ingo siamo di nuovo sulla grande muraglia di calcare che sovrasta la Val Badia. Vogliamo tentare di aprire una via nuova su una delle linee più evidenti della parete, quella che arriva sotto il margine sinistro dell’enorme tetto della gialla parete basale. Quando si va all’attacco di tutte le vie classiche del Sass dla Crusc, l’occhio è come attratto dal 7 disegnato da quell’enorme tetto, perdendosi poi sugli strapiombi e i muri compattissimi che lo seguono.
Tra il 1991 e il 1994, Cristoph Hainz in compagnia con Andrea Oberbacher, aprì una delle vie più difficile della sua carriera (non solo per l’alta difficoltà, IX-/IX, ma anche per l’impegno psicologico che gli richiese; non a caso è stata ripetuta per la prima volta solo nel 2009 da Simon Gietl dopo 5 giorni di tentativi) proprio su quella porzione di parete. Salita senza fare uso di spit, la via sale il margine destro del grande tetto, per poi seguire, dopo un durissimo muretto compatto, esili fessure che portano fino alla grande cengia. Da qui sempre per fessure e diedri le due guide raggiungono in alto una rigola di calcare nero molto compatto. Sarà il tratto chiave della via: duro e sicuramente molto psicologico, che costò al forte alpinista altoatesino un lunghissimo volo e la rottura di un braccio.
La nostra via, dopo un primo tiro in aperta parete, per evitare una friabilissima rampa, segue per due tiri i diedri e le fessure che portano sotto il margine sinistro dell’immenso tetto. Passato questo con un lungo traverso aereo verso sinistra, guadagna la cengia mediana lungo compatte placche grigie e diedrini appena accennati. Dove andare? Questo ci domandiamo ripetutamente io e Ingo durante i tentativi nella porzione alta della parete, al di sopra della grande cengia. Se nella prima parte la linea era abbastanza evidente, ora nella parte alta inventarne una ci sembra un vero e proprio rebus. Saliamo tra la via di Cristoph Hainz e la Judendliebe, ma sufficientemente distanti da entrambe. Lì in mezzo di fessure verticali neanche l’ombra. Troviamo solo muri compatti, interrotti ogni tanto da lunghe fessure orizzontali. Pian piano capiamo che la linea ci sarà data solo ed unicamente dalla sequenza di appigli tenibili che la roccia di offrirà in quella porzione di parete.
In totale impieghiamo 8 giornate per portare a termine questa salita. Riusciamo a salire i primi 9 tiri utilizzando i fix solo su 3 soste (fatta eccezione per un fix messo al termine dell’8° tiro nel tentativo di fare una linea più diretta, ma rivelatasi senza appigli). Proprio all’altezza della rigola nera della Via di Cristoph Hainz, ci troviamo costretti all’uso dei fix. Nel 10° tiro, infatti, riesco a fare i primi 30 metri proteggendomi con i chiodi e un paio di freends, poi però sono troppi i metri senza alcuna possibilità di protezione (almeno 12, con certezza di andare a piombare sulla parete sottostante più appoggiata nell’ipotesi di un volo di 20-30 metri) e mettiamo 3 fix ben distanziati, prima di raggiungere una nuova fessura orizzontale. Sul tiro successivo riesco a passare il tratto chiave protetto da due chiodi. Dopo questa sequenza particolarmente dura, riesco a raggiungere una reglette discretta. Mi guardo intono: sono con i piedi a 5-6 metri dalle ultime protezioni e intorno a me e tutto liscio. Gli avambracci mi avvertono che si stanno ghisando. Mi fermo su un clif posizionato sulla reglette che sto tenendo. Provo a chiodare in qualche piccolo buchetto, ma li trovo tutti ciechi: i chiodi non entrano per più di 2 millemetri. Nel frattempo gli avambracci si sono ripresi. Volendo potrei ripartire e non mettere niente, ma non è il mio stile: non sarebbe leale per i ripetitori. Metto quindi un fix e poi proseguo su difficoltà minori.
Anche sull’ultimo tiro, si presenterà la medesima situazione: tutti i passaggi chiave riusciamo a farli in libera (dopo una serie di voli) su protezioni tradizionali, ma mettiamo 2 fix su un tratto più facile dove però altrimenti non ci si sarebbe potuto assolutamente proteggere. In totale alla fine sono 7 i fix di via e 8 distribuiti su 4 soste. Le difficoltà non riusciamo ancora a valutarle, ma sicuramente raggiungono almeno il 7b/7b+ obbligatorio e l’8a/8a+ come difficoltà massima, in più di un tiro. Solitamente ero abituato a fare tanti voli in apertura solo sulle vie più sportive aperte in val d’adige. Ma qui le difficoltà mi hanno costretto a ripetuti voli su protezioni tradizionali. Il risultato sono 14 sezioni obbligatorie impegnative (tra il 7a e il 7b+ obbl.), che caratterizzano questo itinerario e che spesso mi hanno costretto al volo. 11 di queste sezioni sono protette da chiodi e 3 da fix: pur se non completamente “trad”, la via ne mantiene tutte le caratteristiche. 2 dei 3 passaggi chiave (7b/7b+ obbl.) non sono, protetti da fix.
Questi i numeri della via, ma le emozioni che c’ha regalato sono molte e molte di più. Giornate sempre piene (quasi sempre dalle 6,30-7 di mattina alle 21,00-22,00 di sera) passate su questo balcone panoramico, uno dei più belli delle Dolomiti. Freddo e vento hanno accompagnato la maggior parte dei tentativi, ma anche splendidi tramonti, che ti rimangono nella mente in modo indelebile e ti lasciano sbigottito di fronte alle bellezze del creato. Gli stessi sentieri percorsi nel mutare delle stagioni, con i caldi colori dell’autunno che hanno accompagnato le ultime giornate. E un ultimo giorno, forse il più bello di tutta la salita, dove una fittissima coltre di nuvole stagnava fino a quota 2600m e ci dava la sensazione di arrampicare in cielo al di là delle nuvole: una volta in cima al termine della via, non abbiamo potuto fare a meno di goderci per almeno un’ora quella meraviglia. Un coronamento magnifico al termine di questo viaggio, dove la domanda “Dove Andare?” ha scandito le nostre giornate, come spesso scandisce le giornate della nostra vita. Dove andare? Dove trovare la pace e la gioia di cui ha tanto bisogno il nostro essere? Sicuramente, quando ci capita di fermarci e di riuscire a contemplare quello che ci circonda, permettiamo alla nostra anima di elevarsi e trovare un po’ di quella pace che tanto cerca.
Nicola Tondini

Sass dla Crusc, parete Ovest
Via nuova: “Quo Vadis?”
Nicola Tondini, Ingo Irsara
30 Luglio; 4-7-21 Agosto; 11-23 Settembre; 7-8 Ottobre 2010
Sviluppo: 470m, 13 tiri
Materiale: 61 protezioni di via: 54 chiodi di cui 9 raddoppiati e 7 fix
17 chiodi e 8 fix di sosta
Nuts, Tricam, Freends Camelot/BD (0.3-0.4-3x0.5-2x0.75-2x1.0-2.0-3.0-4.0), Alien.
Per la relazione e i gradi aspettiamo di riuscire nella salita rotpunkt dell’intera via, ormai rimandata alla prossima stagione.

Per Nicola un importante ringraziamento a: MARMOT, WILD CLIMB, FERRINO e il negozio TURNOVERSPORT per l’ottimo materiale fornito.
Per Ingo un importante ringraziamento a: il negozio VERTICAL SPORT.


Note: Serate
Le immagini fotografiche e i filmati realizzati durante questa salita sul Sass dla Crusc andranno a comporre, insieme ad altre documentazioni visive, una serie di serate, elaborate insieme ad Andrea Tosi e Paola Finali, in cui Nicola Tondini presenterà l'ampio spettro della propria attività. 
Nello specifico tali serate andranno a rappresentare  l’attività di Nicola Tondini nell’apertura di vie in stile “trad” in Dolomiti, di vie a spit di alta difficoltà (sempre dal basso), nella ripetizione di alcune vie classiche significative (come la Messner al Pilastro di Mezzo del Sass dla Crusc e il famoso passaggio della
placca Messner”) e la sua attività invernale.

Links Planetmountain
La Perla preziosa - Sass dla Crusc
Menhir - Sass dla Crusc
News Nicola Tondini
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www.xmountain.it
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