Pizzo d'Eghen, prima invernale della via Siddharta

Il 29 e 30 dicembre 2012, Saro Costa ha realizzato la prima salita invernale e insieme la prima solitaria invernale della via Siddharta al Pizzo d'Eghen (Grigne).
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Prima salita invernale e insieme prima solitaria invernale della via Siddharta al Pizzo d'Eghen (Grigne).
Saro Costa

Pizzo d'Eghen, forse molti ricorderanno la prima solitaria invernale della via Cassin da parte di Rossano Libera nel 2011, oppure, nel 2007, la prima solitaria di Ivo Ferrari della via Siddharta. Proprio su quest'ultima via, aperta da Pietro Buzzoni, Lorenzo Festorazzi e Francesco Galperti, tra il 29 e il 30 dicembre scorso Saro Costa ha realizzato la prima salita invernale che è anche la prima solitaria invernale della via. 23enne, milanese, aspirante Guida alpina, Saro Costa aveva già tentato questa prima invernale anche nel 2011 in compagnia di Fabio Gigone. Poi, proprio allo scadere del 2012, arriva questa solitaria in cui, dopo aver salito lo zoccolo slegato, ha proseguito autoassicurandosi per tutto il resto della via. "E' stata una scelta per l'avventura" ci ha spiegato Costa "Ho fatto altre solitarie ma mai d'inverno, mai su una via così. Siddharta è bella, ha protezioni tradizionali da integrare, bisogna cercarla e corre su una parete davvero selvaggia. Poi c'è quella grotta per il bivacco che è stupenda. Sì, sono soddisfatto. E' stato impegnativo e avventuroso".


Siddharta Pizzo d'Eghen - Solitaria invernale di Saro Costa

L'anno scorso ero sotto a questa parete con Fabiez nel periodo più gelido dell'inverno, questa volta sono da solo e non fa così freddo. Era tanto che non arrampicavo senza compagno, d'estate avevo provato qualcosa ma con poca convinzione. Come spesso accade decido di partire all'ultimo momento, il bello delle solitarie è che tutto dipende da te, le decisioni le prendi te, per te, la fatica è tutta tua e la gioia anche. Con la prima luce risalgo i boschi sopra Primaluna poi quando entro nella valle sotto alla parete, l'ambiente si fa lugubre, carcasse di animali, alberi morti e canaloni spazzati dalle scariche. Cerco di passare via veloce e iniziare a scalare il prima possibile in modo da concentrarmi sulle varie manovre e scacciare i brutti pensieri.

Anche quest'anno lo zoccolo è in cattive condizioni, poca neve non portante ricopre zolle d'erba e placche, salgo non assicurato e ogni sessanta metri recupero il saccone. Pensavo di dormire sulla grande cengia ma poi decido di continuare sperando di trovare un buon posto da bivacco... Salgo ancora cento metri in scarponi tirandomi dietro il sacco poi sotto al sistema di fessure cambio assetto e calzo le scarpette, ora la parete é pulita e verticale, non c'è neve ma il vetrato nelle fessure e la roccia gelida mi danno filo da torcere. Già al primo tiro rimango appeso ad un chiodo per una ventina di minuti a cercare la via, nel complesso è evidente, si seguono le fessure fino in cima ma è nel particolare, nei singoli passi che spesso dubito. Capisco che devo aggirare lo spigolino e salire per le fessure di sinistra, dimentico il secondo capo della corda legato in sosta così spezzo in due il tiro... devo rispolverare tutto il sistema di autosicura! Raggiungo una cengietta dove si può stare seduti poi guardando meglio scovo una grottina dove riesco a sdraiarmi! Perfetto, non potevo sperare in niente di meglio, unica pecca non c'è neanche un po' di neve da sciogliere, solo sottilissimi strati di ghiaccio sulla roccia... provo a recuperare un po' d'acqua da tutto questo vetrato ma il risultato è davvero scarso! Pace, ceno con cioccolata e biscotti e mi trovo costretto a centellinare l'acqua. Mi aspettano circa tredici ore di buio, davvero tante, troppe.

Appena fa chiaro parto ma ad ogni protezione devo appendermi per scaldare le mani. Per fortuna trovo due stalattiti e mi preparo un tè caldo! Ora sono sotto al tiro chiave, qualche metro in fessura poi bisogna buttarsi in placca, trovo un chiodo e poco dopo sono nuovamente appeso a scrutare la roccia, quindici metri più su intravedo un altro chiodo ma come arrivarci? A sinistra le placche ondulate vanno a perdersi in mezzo alla parete, sopra di me solo una verticale e compatta placca, provo a chiodarla ma niente, a destra c'è il labbro della fessura che non sembra male però... Sono sempre fermo, mi calo in sosta, devo chiarirmi le idee e salire con un approccio diverso. Torno su e analizzo di nuovo le tre possibilità fino a che sul bordo destro della fessura vedo dei piccoli segni sulla roccia, potrebbero essere dei sassi che cadono, pochi minuti dopo scopro che quei segni sono del materiale che gratta, bisogna letteralmente strisciare nell'anfratto!

L'ultima lunghezza è un camino verticale di cinquanta metri, forte della tecnica appresa pochi metri sotto parto carico e senza quasi accorgermene raggiungo il sole in vetta! Ancora una volta mi calo in sosta, smonto tutto e risalgo le corde recuperando il sacco. Voglio arrivare a mettere i piedi per terra prima del buio così inizio subito la discesa. Alla terza doppia, perdo la retta via e finisco nell'impressionante imbuto del camino Cassin, senza pensarci due volte sfrutto due spuntoni e mi tiro fuori il più velocemente possibile dalle scariche!

L'arrivo sulla cengia mediana non è accogliente, zolle d'erba ghiacciate e dannatamente ripide mi separano dalle doppie dello zoccolo, con una mano impugno la picca e con l'altra afferro zolle d'erba il più grandi possibile sperando che tengano. Accendo la frontale quando inizio le calate dallo zoccolo, potrei aspettare ancora mezz'ora ma sono stanco e il fascio di luce mi aiuta a rimanere concentrato sulle cose da fare, non posso permettermi di sbagliare, non ora. La discesa è una prova di resistenza fisica ma sopratutto mentale, sono stanco, è buio, le corde potrebbero incastrarsi in ogni momento e ogni volta recuperarle è una faticaccia. Non devo fare altro che ripetere il solito schema, far passare le corde, autobloccante, discensore, controllo generale, sganciare la longe, calarsi, recuperare. Ogni tanto a tirare le corde mi fanno male le braccia e vorrei farmi dare il cambio ma sono solo qui e non posso fare altro che continuare. Sono qui per fare tutto da solo.

L'oscurità è calata da un pezzo ma ora non importa più, devo solo camminare nel bosco, posso finalmente mollare un po', ormai è fatta! Sulla strada mi fermo in un pub, la birra sarebbe d'obbligo ma la gola prevale e bevo un litro di coca cola. Al bancone, di fianco a me, alcuni locals chiacchierano del più e del meno, vorrei che mi chiedessero da dove arrivo così potrei dire di aver passato due giorni spaziali sulla montagna sopra le loro case. Forse vorrei semplicemente condividere la solitudine che ho provato in parete.

"Davanti ad una certa monotonia della vita quotidiana, unita all’imperante mito della sicurezza, un numero crescente di giovani cerca l’avventura per sfuggire all’angosciante banalità. Il quotidiano sempre ripetuto, senza possibilità di evadere nel sogno, uccide la personalità." Pierre Beghin

di Saro Costa
http://sarocosta.blogspot.it




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