Kanghiatse 1998 - cinque anni per un 8000

La spedizione al Kanghiatse, la montagna di 6400m nell'Himalaya Indiano, ha preso il via il 20 agosto 1998. Il report di Nicolò Berzi.
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Kanghiatse 1998
Nicolò Berzi

Una velocità eccezionale. Obiettivi bruciati in tempi record, salite lampo e concatenamenti da record. Per fare un exploit, per proporre qualcosa di interessante oggi pare che sia necessario rispettare un solo imperativo: velocità. Attilio, amico e cliente, di ritorno dalla cresta di Rochefort con una famosa guida francese mi parla del panorama "mosso" che ha intravisto durante la salita fatta di corsa. I corsi di arrampicata, ansiosi di rispettare il programma, lasciano indietro chi è più lento ad apprendere, sacrificato per raggiungere il risultato finale e annegato nella statistica compiacente della percentuale di successo, esattamente come a scuola e all’università. Tutto accelerato, sembra quasi che la vita diventi più corta in barba al valore medio che ci dicono invece aumentare, frutto dolce e maturo del benessere della nostra società. Davanti ad una bella e semivuota bottiglia di Valpolicella DOC, però una sera di qualche anno fa Chiara, un po’ annebbiata alla mia vista dal velo sincero dell’alcol, scuote il mio bisogno di tranquillità e i miei sicuri sogni di concatenamenti di cime fantastiche in nanosecondi fuggenti.

Quando uno è giovane comunque la velocità ce l’ha nel sangue, e se ha un pizzico di fantasia può fare sicuramente cose interessanti. Poi però si rallenta, il sangue più denso, appesantito dai globuli rossi partoriti dal ricordo di innumerevoli ascensioni in quota comincia a scorrere meno impetuoso. E magari si cominciano a capire altre dimensioni, altre porte da aprire che passando di corsa erano parse pareti vuote. E’ così, un po’ per caso e un po’ per gioco che ha preso vita il progetto "5 anni per un 8000".

L’idea è semplice, se oggi la salita di 8000, magari con la traccia già battuta e un po’ preparato, i grandi campioni la fanno in poche ore bruciando record inimmaginabili uno dopo l’altro, perchè invece non cercare di fare la salita in 5 anni? Perchè non seguire il tempo della lentezza, della preparazione lenta e accurata, dell’esperienza sulle alte montagne del mondo, delle salite in Grigna durante un intero inverno. Perchè non fare un piccolo gradino alla volta, ascoltando come reagisce il proprio corpo man mano che le molecoline di ossigeno si fanno sempre più distanti tra loro? Certo quando abbiamo cominciato a parlare di questa idea qualcuno ha detto che il Cho Oyu è un 8000 "facile", che può essere comunque la prima salita in altissima quota, che se uno perde tempo su cime troppo basse non farà mai molti 8000, e via dicendo...

Ok, ok, ma se prendessimo un gruppo di persone "normali"? Tranquilli alpinisti domenicali senza tante velleità che arrivino con noi a salire una delle montagne più alte della Terra? Se facessimo insieme le esperienze necessarie a conoscere il proprio corpo? Se riscoprissimo insieme finalmente il percorso della conoscenza e il tempo della lentezza?

Classificabile sotto l’ambiguo termine di Spedizioni Commerciali ecco nascere e prendere corpo il nostro sogno. Due guide, più una terza in arrivo tra breve, e un gruppo simpatico ed eterogeneo di alpinisti dilettanti. Lezioni teoriche sui nodi, esercitazioni pratiche e salite di allenamento, riunioni serali e proiezioni di diapositive. Fax, telefonate in uno stentato inglese, lettere e caparre, insomma l’organizzazione di una serie di spedizioni.

La prima nel 1998 nell’Himalaya Indiano ad un 6400, il Kanghiatse. E’ fin troppo facile scrivere che è andato tutto bene, che i partecipanti si sono divertiti, che la spedizione ha portato in vetta il 50% dei partecipanti, troppi o troppo pochi? Però è tutto vero, la dea Fortuna è sicuramente stata dalla nostra parte, dimostrando forse che ha soltanto bisogno di un po’ di tempo per essere corteggiata a dovere. Ma aspettiamo a dirlo, il progetto è ancora lungo e avremo ancora bisogno di Lei per tanto tempo. Le prossime montagne saranno l’Huascaran, poi il Diran e il Muztagh Ata per concludere con il Cho Oyu nel 2002. Un lento cammino in salita, 6400, 6700, 7200, 7600 per approdare infine nella magica terra del numero perfetto e rotondo: 8000!

La spedizione Kanghiatse ‘98, patrocinata dalla SEM Milano e organizzata dalle Guide Alpine Milano, ha preso il via il 20 agosto 1998 con il volo di trasferimento Milano - Delhi in coincidenza, si fa per dire visto che 8 ore sulle poltrone dell’Indira Gandhi International Airport insidiati dall’aria condizionata non passano in fretta, con il volo interno Delhi - Srinagar. Dopo una notte a Srinagar, bellissima cittadina di barconi galleggianti sul Dal Lake, ci siamo trasferiti nuovamente in aereo a Leh, lasciandoci alle spalle la paura di una città in guerra. Leh, piccola città nel mezzo di un deserto di montagne aride e brulle, è la capitale del Ladakh, estremo lembo nord orientale dello stato indiano di Jammu & Kashmir, eternamente conteso a suon di cannonate da India e Pakistan. La cittadina sorge a 3500m, per cui ci siamo fermati tre giorni per acclimatarci e per recuperare dal viaggio.

Qualche bel monastero ancora potente, come Likir o Thikse, alternato a scivolosi massaggi Ayurvedici si sono alternati nelle nostre giornate di riposo.

Il 25 agosto, con un piccolo bus affittato, ci siamo spostati a Stok, villaggio rurale a sud della Valle dell’Indo, dove abbiamo trovato i cavalli con relativi horsemen, il cuoco e l’aiuto cuoco che ci avrebbero accompagnati per 15 giorni. Da Stok siamo partiti per i 7 giorni di trekking che attraverso due passi a 4900m ci hanno portati al campo base a 4800m sotto il Kanghiatse, la nostra montagna. I lunghi giorni del trekking densi di avventure, fatica, sudore e vesciche sono scolpiti in modo incancellabile nei ricordi di ciascuno e aspetteranno le lunghe giornate di festa dell’inverno cittadino per essere rievocati aspettando la neve che non cadrà più.

Il campo base sorgeva presso un’ansa di un affluente del Markha River in posizione assolata e tranquilla, su un pallido praticello, ed eravamo, aspetto insolito e delizioso, l’unico gruppo presente nell’ intera vallata. Dopo una mezza giornata di riposo, il giorno seguente abbiamo cominciato il trasporto dei carichi fino alla fine dello sperone roccioso dove cominciava la neve e il ghiaccio. La salita era abbastanza faticosa, lungo una pietraia ripida e disagevole. Abbiamo lasciato i carichi a 5400m in un anfratto della roccia e dopo alcune ore di sosta per acclimatarci e per aspettare Franz che è salito sbuffando come un treno a vapore, siamo ridiscesi tutti al base. L’indomani il gruppetto di sei alpinisti sopravvissuto a dissenteria, mal di montagna ed insolazioni varie è partito portando con se due tende da tre posti smontate al campo base. E’ passato nuovamente al deposito dove è stato raccolto il materiale lasciato il giorno precedente, ed è salito ancora a montare il campo 1 a 5800m sopra l’enorme seracco che rappresenta l’unico tratto pianeggiante dello sperone Nord-Est del Kanghiatse.
Soliti problemi per preparare la cena, tende in discesa e freddo pungente come in ogni spedizione che si rispetti e notte al campo 1. Partenza il giorno dopo per la vetta, aspettando che il sole scaldasse almeno un poco le nostre tende gelate. Le difficoltà della parete terminale si sono rivelate superiori al previsto con molto ghiaccio affiorante ed inclinazioni sui 40-45° con un tiro tra i seracchi a 50°. Abbiamo impiegato 6 ore per superare i 600 metri di dislivello dal campo 1 alla vetta, un po’ lenti? E siamo sbucati sui 6402m della vetta alle due del pomeriggio. L’impegnativa discesa fatta con calate ed arrampicata in discesa oltre ad una corda doppia di 50m ci ha riportato al campo 1 dove abbiamo trascorso la seconda notte. Quindi la mattina presto, inondati da una magica luce autunnale, è stato smontato tutto e siamo ridiscesi al base.

Nei giorni successivi un altro gruppo ha tentato la salita in giornata dell’anticima del Kanghiatse, posta proprio sopra il campo base, ma ha rinunciato per problemi fisici a circa 5200m.
Il ritorno a Leh si è svolto poi in tre giorni tra cui la sosta di un giorno ad Hemis, villaggio famoso per l’omonimo monastero buddista, uno dei più antichi del Ladakh. Alla fine del viaggio erano previsti due giorni a Delhi, capitale dell’India, per visitare i templi induisti, le tombe delle dinastie che regnarono sull’India e gli altri monumenti che fanno di Delhi una città affascinante e ricca di storia. Un primo passo, piccolo, lento ma deciso, verso un sogno che forse raggiungeremo o forse no, ma che comunque ci spinge ad avere pazienza. Un piccola soddisfazione anche , e le prime sensazioni legate al mondo dell’alta quota.

"Ma se stavo benissimo, non potremmo andare l’anno prossimo al Cho Oyu?"




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