Herbétet parete Nord Est, una prima discesa rimandata

Mattia Salvi racconta il tentativo di prima discesa con gli sci effettuato nei primi giorni di aprile 2014 sulla parete NE dell'L'Herbétet (3.778m) nel massiccio del Gran Paradiso (Valle d'Aosta). Un racconto che è quasi un arrivederci a questa fantastica stagione appena conclusa ma anche la conferma che non tutto è racchiuso nella meta.
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La parete Nord est dell'Herbétet
Alessandro Albicini
È stato a metà della salita, del secondo giorno di salita, che ho visto spuntare la Grivola, spuntava lentamente. La parete rivendica la sua esposizione nord con una neve bianca, invernale, polverosa, non trasformata, abbiamo messo i ramponi e legato gli sci allo zaino al primo accentuarsi della pendenza. La luce rosa dell'alba vira presto verso il bianco forte riflesso dalla neve rivelando il carattere orientale del pendio. La tipica forma triangolare della montagna, contornata da due creste rocciose è facilmente riconoscibile, stiamo salendo l'Herbétet e la parete è senza dubbio NE.

Saliamo più lentamente di quanto preventivato, la parete si è allargata e la pendenza è tornata sui quaranta gradi dopo il ripido canalino che ci ha concesso di passare l’ampia barra rocciosa. Ale e Luca ne hanno e tirano il gruppo lasciando nella neve profondi scalini che noi ricalchiamo ad ogni passo minimizzando lo sforzo, vorrei essere più allenato, vorrei dargli qualche cambio, vorrei velocizzare il gruppo.

La stanchezza del giorno prima la sentiamo un po' tutti su gambe, fiato e spalle. Arrivare al bivacco Leonessa, 1200 metri di dislivello da Valnontey, è stato più complesso e faticoso di quanto avessimo immaginato. La risalita del vallone di Valnontey, prima sulle piste da fondo poi seguendo il corso del torrente è lunga e quasi non regala dislivello, la percorriamo con calma mentre alla nostra destra ripide barre rocciose esposte ad est si godono il sole scaricando parecchia neve dai loro terrazzi. Percorriamo il vallone fino al limite superiore del bosco quando bisogna abbandonarlo e, con pendenze decisamente più serie, salire proprio quella parete.

Il sentiero estivo è contorto e l'innevamento non ne consente una facile individuazione, procediamo per tentativi, cercando di collegare i vari muretti di pietre costruiti per reggere i tornanti del sentiero, sci sullo zaino, terreno ripido e grandi zolle d'erba che si alternano a chiazze di neve. Ad un tornante del sentiero, alla nostra sinistra, parte un canalone, innevato e percorribile con gli sci che sembra andare proprio nella direzione del bivacco. Le scariche viste finora ci suggeriscono però di continuare a penare e faticare sul sentiero estivo che seguiamo superando varie balze e raggiungendo le capanne dell'Herbétet: un gruppetto di case adornate da cartelli con strani divieti.

Dopo questa richiesta inaspettata di tempo e fatica da parte della montagna il percorso è più semplice ed evidente, possiamo rimetterci gli sci e procedere per ampi pendii verso il bivacco ormai visibile in lontananza contro il cielo.

Numerosi sguardi e corna di stambecco spuntano dalle rocce attorno al percorso e dietro un colle comincia anche a spuntare la nostra parete, la NE dell'Herbétet, la riconosciamo tutti. La riconosciamo tutti perché è piuttosto evidente e caratteristica, la riconosciamo tutti perché Michele ce ne parla da un paio d’anni: la vede dal basso da quando è bambino, innevata, ripida. Vorrebbe scenderla da sempre, da qualche tempo pensa che lo potremmo fare. La riconosciamo tutti perché sono diversi mesi che guardiamo foto, studiamo percorsi, ipotizziamo pendenze, calcoliamo dislivelli. Studiamo le foto perché relazioni sci ai piedi non ne abbiam trovate, leggiamo come si raggiunge il bivacco in estate e come si scala la cresta est quand'è pulita dalla neve. Ci piace pensare di organizzare questa salita, di pensarcela noi, di decidere dove passare, di leggere il paesaggio, l'innevamento, l'esposizione.

Raggiungiamo il bivacco esausti, spaliamo la neve per liberare l'accesso e apriamo uno scuro per sfruttare la luce della sera preparando cena, riordino del materiale, divisione di corde, viti, spezzoni. Si cerca di far asciugare qualche indumento e poi presto a riposare nella parte superiore dei tavolacci. Ci addormentiamo parlando ancora un po' della parete, di che grado potrebbe avere, di quanto ci vorrà a salirla. Stabiliamo un'ora oltre la quale, improrogabilmente, girare le punte a valle per poter scendere prima del rialzo termico sfruttando in sicurezza il canalone individuato ma evitato durante l'avvicinamento: le dieci.

Colazione, riassettiamo il rifugio e partiamo presto. Saliamo il breve pendio alle spalle del bivacco in cima al quale si individua chiara la nostra parete e il tratto di saliscendi da percorrere per raggiungerne la base. Procediamo bene, sci ai piedi, un fondo duro e assestato ricoperto da un palmo abbondante di neve invernale e polverosa, lasciamo un estetico e preciso zig zag quando cominciamo a salire la parete. Togliamo gli sci all'attacco del ripido canalino che attraversa la prima barra rocciosa e procediamo tutti seguendo le peste lasciate nella neve dai nostri allenati apripista.

Siamo nel bianco, nella luce, la neve invernale e la Grivola che spunta. Spunta lentamente perché saliamo lentamente, più del previsto. Il limite orario che c'eravamo dati ci raggiunge a 3600 metri circa. Centoconquanta metri più in basso del limite sciabile, quasi duecento sotto la vetta. Ci vorrebbe ancora un’ora abbondante. Ci si guarda un poco, molta voglia di continuare, coscienza che i limiti andrebbero rispettati, almeno quelli che ci diamo da soli.

Preso dall’entusiasmo da vetta passo in testa e provo a tirare il gruppo per un tratto, saliamo comunque troppo lentamente rispetto all’orario delle scariche osservate il giorno prima e l’idea di trascurare il canalone per scendere a piedi lungo il sentiero viene immediatamente scartata dalla stanchezza, dall’acido lattico, dai quadricipiti.

Sono le dieci passate, quindi, quando ci fermiamo, togliamo i ramponi, sleghiamo gli sci dagli zaini per rimetterli nella neve, smettiamo di far finta che avremmo fatto la prima discesa di questa parete, ci raccontiamo che “...in fondo eravamo quasi in cima” “...saremmo dovuti partire prima” “...saremmo dovuti salire più veloce”.

La discesa è di grande soddisfazione, neve ottima, pendenze affascinanti, tracce pulite in ambiente severo, ci godiamo tutta la discesa che ci siam guadagnati. Dal bivacco in giù la neve è più calda, fa lavorare un po’ di più sulle curve ma ha una buona tenuta e si lascia godere, il canalone è in buone condizioni e in poco tempo ci evita il lunghissimo e complicato giro del giorno precedente riportandoci un centinaio di metri scarsi sopra il vallone principale.

Il rientro pianeggiante è tutto giocato sulle doti di scorrevolezza e grandi discussioni sulla tecnica del passo pattinato mentre svogliati fondisti ci passano al doppio della velocità guardando un po’ dubbiosi la strana attrezzatura e l’enorme sacco che portiamo in spalla.

Mattia Salvi



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