Fumo negli occhi sul Cimon della Pala in Dolomiti

Il racconto di Alessandro Beber dell'apertura della via d'arrampicata Fumo negli occhi (800m, VIII, A2) sulla parete sud-ovest del Cimon della Pala (Pale di San Martino), salita 'inseguendo lo stile alpino in Dolomiti' nell'agosto 2015 insieme ad Alessandro Baù e Matteo Faletti.
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Durante la prima salita di 'Fumo negli occhi' (800m, VIII, A2 08/2015) Cimon della Pala (Pale di San Martino, Dolomiti)
archivio Alessandro Baù, Alessandro Beber, Matteo Faletti

Mentre guido sui tornanti che salgono a Passo Rolle, rifletto sul fatto che quest'anno (2015) ricorre il 150°anniversario della prima ascensione del Cervino... non sarebbe affatto male celebrare con una prima salita al Cimon dela Pala, che è soprannominato per l'appunto "il Cervino delle Dolomiti"!

L'appuntamento è all'alba presso malga Fosse, con il compagno di sempre: Alessandro Baù. L'idea è quella di tentare una salita one-push, cioè in unica soluzione, senza ricognizioni, tentativi o rientri programmati. Nelle ultime stagioni, questo è lo stile che ci attrae e stimola maggiormente... Qualche mazzetta di chiodi, sacco a pelo nello zaino e via. Dopo l'apertura di Colonne d'Ercole, ci eravamo interrogati dove ancora si poteva migliorare, quali sbavature si potevano ritoccare...

Eravamo riusciti a portare a termine una via praticamente perfetta, sulla parete più bella, eppure quello spezzettare l'apertura in diverse puntate, diluite nel tempo, ci aveva leggermente inquinato l'esperienza. Ma l'esperienza era tutto quello che cercavamo! Così abbiamo maturato la convinzione che il passo successivo sarebbe stato quello di giocarci le nostre carte in unico round.

Provate a pensarci: il dibattito attuale per quanto concerne l'alpinismo dolomitico è fermo alla noiosa diatriba "spit-no spit", ma praticamente nessuno prende in considerazioni i tanti altri aspetti che rendono importante una salita. Forare o meno la roccia è una scelta di stile rilevante, ma di certo non l'unica...

Cosa dire ad esempio delle vie aperte in artificiale e liberate in un secondo momento, che vengono spacciate semplicemente come vie in libera di alta difficoltà? Frammentare una salita in tante riprese è un po' la stessa cosa, in quanto incide fortemente sulla psicologia dell'alpinista: ogni volta che si torna a casa, si metabolizza la salita e la parete, si impara a conoscerla, si ha il tempo di vincere le proprie paure e di recuperare le energie, fisiche e mentali. Se lanciandosi su terreno incognito ci si può ritrovare oppressi dalle incertezze e dall'inquietudine, ogni volta che si torna a casa è possibile lavorare sulle proprie debolezze, per tornare più decisi, impavidi ed allenati che mai.

Per non parlare della logistica: non è facile calcolare quanto tempo richiederà la salita di un nuovo itinerario, se uno, due, tre o più giorni, dovendo regolare cibo e materiale di conseguenza. Portare materiale in eccesso significa essere più lenti, ma la mancanza del più stupido dettaglio può determinare l'insuccesso dell'ascensione. Credo quindi che questo stile, che se esportato in giro per le pareti più remote del globo si chiama Stile Alpino, ma che sulle Alpi in realtà quasi nessuno si fila, apra nuove prospettive anche per il futuro dell'arrampicata sulle pareti vicino a casa.

Le Dolomiti ad esempio sono tappezzate da migliaia di vie, ma forse poche sono quelle realizzate in questo stile... Certo non sempre si hanno tempo ed energie a disposizione per giocare con regole tanto severe, ma almeno ogni tanto credo valga la pena provarci!

Giusto per chiarire, sono il primo ad avere diversi cantieri aperti qua e là per le Dolomiti, ma reputo il momento più alto e gratificante del mio alpinismo fino ad ora la salita di Argento Vivo alla Piccola Civetta, dove sento di aver vissuto un'avventura con la A maiuscola proprio per il diverso approccio messo in campo, dove non erano contemplate seconde possibilità.

Il passo successivo mi sembrerebbe quello di provare a ripetersi sulla roccia pura, e non più su terreno misto, dove paradossalmente le cose si complicano ancora di più!

Mentre mi perdo in queste elucubrazioni mentali, con Alessandro siamo già all'attacco e apriamo le danze sul Cimon dela Pala, con le prime belle lunghezze che scorrono via abbastanza veloci.
Ben presto però veniamo avvolti da una fitta nebbia, e iniziamo a vagare per le placche un po' a naso (o a caso, se preferite!). Fortunosamente riusciamo a sbucare in cima al pilastro come da programmi, ed attrezziamo il nostro bivacco in un anfratto umido che somiglia molto al bagno turco di un centro benessere, non fosse per la temperatura vagamente più gelida.

Al mattino seguente in breve tempo ci ritroviamo ancora immersi nelle nebbie, e con una visibilità di pochi metri avanziamo verso l'alto nella speranza di una schiarita, che però non arriverà mai. Dopo un paio di tentativi infruttuosi, decidiamo quindi di rientrare sulle vie preesistenti e raggiungiamo la cresta sommitale, scendendo poi lungo la via normale giusto in tempo prima che si scateni uno dei nubifragi più intensi mai visti, che per poco non travolge anche la stazione a monte della cabinovia Colverde.

Peccato, stavolta è andata buca, ma il boccone ci rimane di traverso perché la via nei primi due terzi sembrava davvero bella e meritevole, quindi decidiamo di fare un altro tentativo un paio di settimane più tardi. Questa volta si aggrega anche il resiliente Matteo Faletti, reduce da un brutto incidente e ancora in fase riabilitativa, ma supportato da un morale incrollabile.

Il primo giorno ci riportiamo al punto di bivacco a circa due terzi della parete, e decidiamo di provare a forzare più direttamente i repulsivi strapiombi gialli del pilastro soprastante... un piccolo assaggio serale ci lascia intendere che avremo una bella gatta da pelare, ma andiamo a dormire spensierati e fiduciosi.

L'indomani torniamo all'attacco, imbattendoci però in roccia friabile e di difficile chiodatura, che ci fa avanzare svelti come bradipi: rimaniamo positivi in quanto una volta ripuliti i tiri si rivelano comunque scalabili, ma le nostre speranze si infrangono sugli ultimi 40m... Spendiamo circa cinque ore per venire a capo di una singola lunghezza, dovendo ricorrere anche a dell'artificiale piuttosto delicato, più un'altra buona ora per allestire una sosta minimamente affidabile. Da qui le difficoltà terminano, e in poco tempo riguadagnamo la cresta e la vetta del Cimon.

E' stata una bella avventura e ci siamo divertiti, anche se ci rimane un po' di amaro in bocca per il finale. Magari provando poco più a destra si poteva passare puliti, chissà, ma per noi ormai non ha più senso tornare. I pensieri già volano alla prossima parete, dove ci attende un'altra partita da giocare!

di Alessandro Beber

Alessandro Beber ringrazia Millet e Scarpa
Matteo Faletti ringrazia Millet e La Sportiva
Alessandro Baù ringrazia Montura, Camp/Cassin, Scarpa, Atkrace, Stile Libero





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