Arrampicata Trad al BMC International Summer Climbing Meet 2011

Andrea Giorda e l'arrampicata Trad vissuta al meeting organizzato dal BMC International Summer Climbing Meet 2011 che si è svolto dall’8 al 15 maggio 2011 nel Nord del Galles nei pressi del mitico Penn y Pass, a Llanberies, una delle culle dell'arrampicata britannica e del Trad.
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Tremadog  Strawberry E7
Andrea Giorda
Trad... non basta la parola. Sì, non basta dire 'arrampicata trad' per coglierne il senso. Occorre metterci il naso, per non dire qualcos'altro..., per capire che la forma più britannica dell'arrampicata è soprattutto una cultura. Una “trad-izione”, appunto. E, come tutte le cose che vengono da lontano ha bisogno, prima di tutto, di essere avvicinata e capita lì dove è nata e con chi la pratica. Per esempio lì dove si è svolto dall'8 al 15 maggio il BMC International Summer Climbing Meet 2011. Siamo nel Nord del Galles nei pressi del mitico Penn y Pass, vicino a Llanberies. Un territorio d'arrampicata famosissimo in UK, come dire Courmayeur in Italia ma sicuramente molto più selvaggio. Sono i luoghi di Joe Brown e Don Whillans e di tanti altri scalatori famosi. Gli ospiti venivano da tutto il mondo su invito. E quest'anno l'unico italiano presente era Andrea Giorda (in rappresentanza del CAAI) mentre in passato ospiti del meeting sono stati anche Oviglia, Larcher, Svab. Quella che ci racconta Andrea Giorda nel suo report è una scalata molto severa, totalmente Trad e “pressoché sconosciuta da noi in questa forma”... Ci sembra un'esperienza importante soprattutto per capire anche le “differenze”. D'altra parte, si pensi al Meeting in valle dell’Orco organizzato dal CAAI l'anno scorso, l'arrampicata trad sta riscuotendo un grande interesse (di ritorno verrebbe da dire) anche qui da noi...


A TUTTO TRAD! VIAGGIO IN GALLES ALLE RADICI TRAD, STILE UK
di Andrea Giorda

Non ci credo, non è possibile, la foca sotto mi punta, se la ride. Hai voluto il Trad? Eccoti servito. Il vento implacabile, gelido, il mare impetuoso sbatte con boati tremendi contro la scogliera, mi assicurano che oggi non arriverà fino a noi, la scelta è tra morire annegato o muovermi e salire la via che mi indica Steve Findlay. Una parete repulsiva, ancora all’ombra e una linea nerastra che a fatica si distingue tra due muri di muffa, si muffa verde, tanta che si potrebbe salire con i ramponi. Steve che è il mio Host, ossia colui che mi ha preso in carico al Summer meeting del British Mountain Council, è un simpatico “ vecchiaccio” e se la ride un mondo a denti stretti a guardare la mia faccia atterrita.

Ho sognato il Trad per una vita, ma per un attimo mi sembra un incubo, ma non voglio dargliela vinta prendo tutto il coraggio che ho (poco) e inizio la vestizione. Steve premuroso mi passa infinite serie di nut, poi quando faccio per caricarmi i miei friend, ne prende uno ,mi guarda con compassione e mi dice, facendo un gestaccio irripetibile “ Toys for girls”!. Al di là dell'espressione non proprio da educanda, mi spiega che qui alla scogliera di Gogarth, la roccia è marciotta e i friend fanno saltare le lame e gli appigli che servono per salire. Andiamo bene, il gelo, la muffa e pure la roccia marcia.

Butta il mio friend per terra e mi passa dei nut di dimensioni microscopiche, che io avevo lasciato a terra. Li chiamano Brass nut (Brass vuol dire ottone) il più grande è equivalente a quello che per me è un micro nut. Hanno forme diverse e ognuna ha un nome! Gli scalatori di qua, non li abbandonano mai, lascerebbero qualsiasi cosa alla base ma non i Brass nut. In effetti il concetto di proteggibilità di un tiro è molto diverso che da noi, abituati alle belle fessure della valle dell’Orco. Qui, spesso, si sale su muri compatti che a prima vista non hanno fessure evidenti e anche su gradi modesti, occorre avere molto occhio e velocità per non stancarsi, nell’individuare buchi, micro fessure, che possono essere anche tre, quattro metri lontani dalla linea di salita.

Quanto ai gradi, la prima cosa che ti dicono è di dimenticare da dove vieni e abituarti ai loro, all’inizio ti sembra una stupidaggine, poi capisci quanta verità ci sia. Qualsiasi spiegazione razionale sfugge poi alla realtà delle cose, il grado è indicativo in quanto le variabili sono tantissime. In sostanza come è noto vi è il grado di “ingaggio” che non è come si crede solo legato alla pericolosità, e si esprime con valori che vanno da D difficult, S severe, VS, HVS Hard very severe… fino ad arrivare ai mitici E Extreme,E1, E2, E3…. A questi si associa il grado oggettivo in scala inglese (attenzione non francese), quindi un tiro potrà essere E2-5c o E2-6a.

Il tiro va effettuato in libera ovviamente senza fare resting sulle protezioni. Su questo punto si è tassativi, anche posizionarle prima non è concesso, se si sbaglia e si rifà il tiro, occorre sovente toglierle in discesa, con manovre di “disarrampicata” spesso assai laboriose. Tendenzialmente il grado oggettivo è trascurato e si fa riferimento al primo valore, Severe, E1 ecc. Fondamentale invece è la descrizione della via. Non essendoci la minima traccia sulla parete, occorre, per non finire presto nei guai, capire bene le espressioni inglesi, anche quelle volutamente macabre e ironiche, tipo “ e da qui fidatevi delle vostre suole…”. Il concetto di via è molto relativo, è frequente fare traversi lunghissimi alla ricerca di una fessurina, basta vedere i tracciati tortuosi disegnati sulle guide.

Si scala con due mezze corde, tenendole rigorosamente separate, i tiri possono essere lunghissimi, di 50 metri, e lo stress è legato al fatto di mantenere sempre una certa scelta di protezioni, e quindi di non abusarne. Il materiale con il quale si arrampica è molto, perché un solo punto di protezione può richiedere tre nut e tre rinvii. Occorrono dunque almeno 40 nut di varia foggia, Friend e circa venti rinvii, meglio se lunghi, quelli corti con fettuccia che usiamo sugli spit, fanno uscire le protezioni quando si sale. Cordini a volontà per allungare i rinvii e per gli spuntoni.

Così bardati, nonostante la cura con la quale avete ordinato il materiale, vi capiterà, anche se avete esperienza, di cercare con affanno il nut giusto in quel mare di ferraglia che vi tira verso il basso. Quanto alle soste, sulle vie di più tiri, nessuna pietà, dovete capire prima dove sono (non vi è nulla di fisso che lo indichi ) e poi avere ancora le protezioni giuste per farle, non per nulla nel gergo di scalata quando avete attrezzato la sosta dite “Safe” …Salvo!

Sui monotiri vi sono diverse opzioni, vi sono posti estremamente selvaggi, come le scogliere di Gogarth dove non è raro finire il tiro su muri di terra ed erba verticali alla ricerca disperata di uno spuntone. Oppure pareti come quelle di LLandudno, molto addomesticate con tanto di anello di calata. Ma sfatiamo che il Trad sia fatto per super uomini, è una scalata dove la valutazione di cosa si sa fare e di quanto si è disposti a rischiare è fondamentale. Ho visto signori attempati con la pancia scalare in quel di Tremadog, una bella falesia di roccia stupenda, totalmente Trad. Ovviamente ognuno misura e sceglie in base alle sue forze.

Scegliere una via è già un rito, la si legge e si rilegge, poi la si guarda, da vicino, se si può da lontano, la preparazione è accurata e i tempi sono lentissimi, occorre partire con la testa a posto. Nulla a che vedere con il rito bulimico e caciarone delle nostre falesie, dove a fine giornata spesso non ricordiamo neanche tutti i tiri che abbiamo fatto.

Man mano che passano i giorni, questo mondo entra nel sangue, non fai più caso alla pioggia, all’umido e riscopri valori e sensazioni che per me sono lontane nel tempo, quando da ragazzi facevamo i gadani sulle pareti poco conosciute della valle dell’Orco. Il sapore dell’avventura, quella sensazione di amaro in bocca dopo una grande paura. Mi torna in mente il ghigno di Isidoro Isidoro Meneghin ,grande esploratore delle montagne di casa, lui amava l’ingaggio su pareti erbose e se la rideva quando trascinava in apertura qualche atterrito allievo della scuola Gervasutti. La falesia di Gogarth gli sarebbe piaciuta. Certo usava anche i chiodi, qui neanche a parlarne!

Ma quel tempo da noi non ha avuto seguito, è stata una breve parentesi nata con l’inglese Mike Kosterlitz (che mostrò i primi nut a Motti e compagni) e che si è chiusa all’inizio degli anni ottanta con la nascita della scalata sportiva, più popolare e meno impegnativa dal punto di vista psicologico. Ora la discussione sul Trad è aperta anche tra i nostri scalatori, ma siamo ben distanti dallo spirito inglese, per i quali l’avventura è totale; muffa, marcio, bagnato, tiri sbilenchi con traversi di 20 metri, e se piove che problema c’è? Adventure climbing!

Mi sono salvato dal tiro e la foca per questa volta non mi vedrà a mollo, Steve propone un altro tiro che mi rifiuto di fare,mi scansa e si lancia da primo infilandosi in un camino improteggibile, dopo venti metri mette un nut e si inchiavarda… sarò un cagasotto di continentale, ma avevo visto giusto, è costretto alla ritirata appeso ai licheni… abbasso gli occhi per non pensare alle conseguenze di una sua caduta, che vista la sosta ci tirerebbe entrambi a mollo con la foca.

Li chiamano Sea Cliff Climbers, ossia gli scalatori delle scogliere, sono i più matti e Steve nonostante l’età oltre il mezzo secolo, ne coglie in pieno lo spirito. Ma non c’è solo Gogarth, il mio nuovo Host , Brian, sempre accompagnato da due enormi cani scozzesi da caccia al cervo, mi porta a scoprire “Slate” letteralmente una cava di ardesia, liscia appunto e tagliente come una lavagna o le montagne di LLanberis, dove ha lasciato il segno negli anni 50 e 60 il grande Joe Brown, spesso in coppia con Don Whillans. Chi ripete quei tiri come ho avuto la fortuna di fare, non si stupisce dell'avveniristica fessura Brown alla Blaitiere nelle Aiguilles de Chamonix, o della prima del Pilone centrale sul Monte Bianco del vecchio Don.

Il meeting si sta per chiudere, ormai siamo tutti stanchi e a brandelli, acciaccati e infreddoliti, un solo ferito vero precipitato da un A4 che mi stavo accingendo a fare, se non avessi visto la scena in diretta: il giapponese assicurava lasco il suo Host che sgusciando da una fessura arrivava fino a terra, a un metro da me… per fortuna pochi danni,un po’ di tagli e una mano con un dito girato al contrario… il ferito rideva come avesse vinto alla lotteria, rassicurando tutti, il più spaventato ero io.

L’ultima scalata mi riserva una bellissima sorpresa, il mio Host è questa volta il leggendario Pat Littlejohn. Sembra un nome finto, uscito dalla foresta di Sherwood. Un ometto energico non più giovane, che mi dice di aver conosciuto Gian Carlo Grassi e di aver scalato la Mellano-Perego al Becco di Valsoera. Con Pat andiamo sulle bellissime scogliere di calcare di LLandudno, qui la roccia è perfetta, in cima ci sono pure gli anelli per scendere, un lusso.

Steve,che ci ha seguiti insieme ad una giovane ragazza lituana, quando vede nel baule dell’auto del vecchio Pat un sacchetto della magnesite lo fulmina. Steve e Pat sono i fondatori dei Clean Hand Guys (i ragazzi dalle mani pulite), che non hanno nulla a che vedere con il nostro Di Pietro, ma con l’uso della magnesite, severamente proibito. Io la magnesite la prendo, di nascosto, ho una certa età e lo spirito è quello di una macchina che ha centomila chilometri, ma vorrebbe farne almeno altri cinquantamila.

Nonostante il sacchetto magico, il calcare consumato e la stanchezza mi giocano un brutto tiro. Provo l’ebbrezza di un lungo volo su un piccolo nut, doveva arrivare primo o poi, meglio qui che a Gogarth. Pat mi fa i complimenti… per il nut, messo bene. E’ sincero o mi piglia per i fondelli?… misteri dell’humor inglese, non capisco, ma sono tutto intero e questo era il mio obiettivo. Come nei film di Frank Capra, nel finale, appare anche l’arcobaleno sul mare, e del mio volo, con i due vecchiacci Steve e Pat, posso ridere anch’io.

Andrea Giorda - CAAI

BMC International Summer Climbing Meet 2011 from Lukasz Warzecha - LWimages.co.uk on Vimeo.




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