Chaberton, discesa del canale NE

Mattia Salvi ci descrive la sua esperienza di discesa con gli sci lungo il Canale NE del Monte Chaberton, alta Val di Susa.
Ore otto del mattino, Monginevro, lato ovest dello Chaberton. Lo Chaberton è il monte che abbiamo in mente di salire oggi, Monginevro è un paese e ho scoperto solo da poco che è in Francia, il lato ovest è quello che alle otto del mattino è, per ragioni astronomiche, in ombra.

Il freddo che apre la portiera e mi invita con un gesto a scendere dalla macchina è quello che normalmente mi getta nel panico decisionale, metto solo i pantaloni da sci? tengo la tuta sotto? metto la calzamaglia pesante? Lo stesso panico lo avrei identico anche con temperature miti o tropicali e la scelta, come sempre è quella più pigra: tengo i pantaloni che ho e li rivesto con il salopettone.

L’itinerario di salita è piuttosto evidente: partendo dall’auto si costeggia il Riosecco in un misto di abetaie e piste da sci fino a quando, evidente alla propria destra, un ampio vallone conduce a quello che non può non essere il colle Chaberton. Da lì per ampi pendii si giunge in vetta.

La vetta è riconoscibile già una ventina di minuti dall’auto, è quella violentata dal vento che alza pennacchi di neve su tutta la linea di cresta. Il bollettino infatti diceva "...condizioni di fohen sulle zone di confine dalle A. Lepontine alle A. Cozie Nord che determineranno il rimaneggiamento della neve superficiale formando nuovi accumuli di piccole dimensioni scarsamente legati al manto nevoso preesistente..." la traccia di salita è sicura andiamo quindi a dare un occhiata all’imbocco del canale.

Ripasso mentalmente la relazione della discesa e la distribuzione del materiale alpinistico tra i vari zaini mentre due compagni scherzano tra loro battendo traccia dall’alto dei loro allenamenti infrasettimanali e Afri, alla sua prima uscita di ripido, mi segue ripetendo "...E3: non cadere.....E3:non cadere..." in un piacevole misto di ironia, scaramanzia e calcolato timore.

Raggiungiamo un grosso pianoro da cui parte una seggiovia sulla sinistra e il nostro "ampio vallone" sulla destra. Biscottino, barretta, sorso d’acqua, sguardo ai pennacchi di neve che continuano a regalare qualche metro di quota alla nostra cima e ai turbini che percorrono su e giù il nostro itinerario. Io indosso il guscio in gore, altri si tolgono la felpa, qualcuno mette un buff al posto del berretto.

Nel pieno rispetto delle differenti esigenze termiche il gruppo riprenda la salita, il pendio si alza, qualcuno maneggia gli alzatacchi e la traccia comincia a zigzagare mossa dai precisi dietrofront degli apripista. Con il gruppo snocciolato e diverse soste asincrone per indossare gli antivento raggiungiamo il colle dello Chaberton dove ci concediamo un altra pausa di cibo, acqua e sguardi al canale mentre due puntini in lontananza ricalcano la nostra scia.

Saliamo ancora tra paletti e filo spinato che spuntano dalla neve raggiungendo le prime costruzioni militari invase dal ghiaccio all'altezza delle quali decidiamo di toglierci gli sci per proseguire più rapidamente, le raffiche di vento che tentano di dissuaderci dall’ascensione hanno infatti compattato la poca neve che non sono riuscite a raschiar via dalla vetta ostacolando la progressione con le pelli.

La vetta ci regala una giornata limpidissima come solo quelle di vento sanno fare con vista sulla Barre des Écrinse sul Pelvoux, del forte spuntano solo i giganteschi torrioni tra grossi accumuli e protetti da una grossa cornice.

Riprendiamo la concentrazione, ripasso ancora mentalmente la relazione della discesa "....l'attacco è in prossimità del tornante a quota 3009..." mentre indossiamo caschi, imbraghi e togliamo la picca dallo zaino per avercela a portata di mano, chi preferisce il portamateriali, chi preferisce gli spallacci dello zaino.

L'imbocco del canale non è sormontato da cornici e non ci sono accumuli né gonfie da vento nonostante diversi mulinelli lo percorrano fin dove si riesce a vedere. La neve appare compatta me disposta a lasciarsi incidere dalle lamine, in una relazione si direbbe: condizioni perfette, e allora mentre afri ripete il suo mantra "...E3: non cadere.....E3:non cadere..."

Il nostro sciatore di punta si butta dentro, sa che i canali non si attaccano, non si aggrediscono né si conquistano, si assecondano. Vanno accarezzati, interpretati, assecondati. Bisogna trattarli come vogliono loro: se guardi bene le curve ci sono già. Dopo tre curve saltate si ferma e ci guarda con un sorriso che vale da solo un bollettino valanghe, una considerazione sulla pendenza e una valutazione neve da cinque stellette.

Procediamo sempre con cautela muovendoci uno alla volta e aspettandoci sulle sicure risalite laterali. Il canale inizia con una pendenza poco inferiore ai 45° e disegniamo rotonde serie di esse su una neve solcata solo dalla traccia di una tavola di almeno tre giorni.

La discesa è sicura e appagante su una linea piuttosto complessa che alterna ripide strettoie a pendii più ampi senza mai perdere gradi d’esposizione, la strada da percorrere è evidente nonostante gli arzigogoli: scendi la linea che scenderebbe l'acqua.

Verso i 2500 metri di quota il manto perde compattezza e un po' di neve comincia a scorrere a valle sotto la spinta delle curve, la situazione rimane sicura, è un piccolo strato su un fondo duro e compatto.

L'ambiente meraviglioso e l'ottimo manto ci accompagnano fino ad uno scivolo che stimerei oltre i 45° lungo una ventina di metri a circa 2000 metri di quota dopo il quale la linea piega decisamente verso destra. Di qui in giù sciamo con fatica su numerosissime vecchie valanghe a pallottoni ormai ghiacciati, la sciata si fa difficoltosa e i mille metri già scesi si fanno sentire tutti sui quadricipiti, un paio di grosse valanghe trasversali ci costringono addirittura a superarle risalendo a scaletta. Su questo terreno impegnativo proseguiamo fino ad un'evidente balza rocciosa (1650m di quota) che aggiriamo risalendo la sponda destra del canale e riscendendola poco più avanti.

Anziché uscire dal canale per boschi verso destra come letto nelle relazioni proseguiamo lungo la linea dell'acqua arrivando ad inforrarci tra due alte pareti coperte di ghiaccio in un itinerario di non grossa soddisfazione sciistica ma in ambiente impagabile e inaspettato.

La forra si apre infine, dopo quasi tre ore di discesa, su un grosso fiume dagli argini in muratura coperto di neve che seguiamo per alcune centinaia di metri giungendo sulla strada asfaltata nella parte bassa di Cesana dove ci viene a recuperare in auto una coppia di amici ridiscesi lungo la linea di salita. Mille ringraziamenti a loro.
Ottimo itinerario, ambiente e panorama impagabili son sfumature dolomitiche, dal dislivello non banale ma che ci ha concesso una discesa più lunga della salita. Canale impegnativo ma non eccessivamente duro che richiede comunque una buona preparazione e un’attenta analisi dei rischi oggettivi e soggettivi.


di Mattia Salvi




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