Stile Alpino 003

E’ uscito Stile Alpino 003 la rivista dei Ragni di Lecco che ha come focus l’Alpinismo scritto da chi pratica.
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E' in edicola il nuovo numero della rivista dei Ragni di Lecco
arch. StileAlpino
Su questo numero i protagonisti (uomini & montagne) sono: Steve House e il Nanga Parbat, Ueli Steck e la sua ansia di azione, Elio Orlandi con le sue riflessioni a 360 gradi. E ancora: Alex Huber e il “tecnicismo”, la freschezza inconsapevole di Roverato e Bau sulle vie grandi e dimenticate delle Dolomiti, la determinazione e l’“alpinismo profondo” di Iannilli e Pozzi. L’ironia di Silvano Arrigoni, il cammino di Marco Vago…

Inoltre, prende avvio una (grande) monografia del Monte Bianco. E non mancano le immagini di pareti, salite, azioni dal Perù alla Patagonia, dalle Alpi all’Himalaya…

Pillole di Stile alpino 0003:

dall’editoriale di Paolo Spreafico
(…) Quando penso allo STILE ALPINO mi immagino una cordata immersa in un mare di roccia e ghiaccio, ad alta quota, in ambiente isolato con la sola possibilità di contare sulle proprie forze, valutando razionalmente il succedersi degli eventi, senza tralasciare quella giusta dose di spregiudicatezza e rischio che eleva una normale ascensione al rango di una grande avventura..
Ma STILE ALPINO è un concetto relativo, e come tale può aprirsi a diverse interpretazioni.
STILE ALPINO significa percorrere strade sconosciute, con elasticità fisica ma soprattutto mentale….
….non importa se la protezione è maldisposta, se il chiodo è vecchio, se la roccia è troppo bella oppure se è troppo marcia, se in montagna ci sono via di falesia, e se in falesia le vie sono alpinistiche…
….significa fare il punto delle proprie capacità, esplorare a fondo la propria determinazione….e se il risultato sarà soddisfacente…..mettersi in gioco….provare….
….STILE ALPINO vuol dire staccare alle sei, guidare sino a tarda sera, alzarsi presto la mattina successiva e scalare veloci sino al tramonto….sperando che quelle nuvole laggiù se ne stiano buone ancora per un po’ di tempo….tornare ad ora tarda nella propria tenda e urlare dentro di sé perché quel giorno, o forse mai più, nessuno potrà capire questa tua immensa gioia….(…)

da L’apparente inutilità dell’alpinismo, di Elio Orlandi
(…) Purtroppo anche nell’alpinismo gira troppa gente che sa approfittare del silenzio degli altri e, dopo anni di riservato rispetto, il solo accorgermi di questa evidenza mi ha aiutato a meditare che forse non ne valeva proprio la pena lasciarsi manipolare la passione, le realizzazioni ed i propri meriti. Di contro però, devo ammettere che comunque vivo bene e in pace con me stesso anche senza vedermi troppo pubblicato, citato, cliccato o patinato, come intendo che il tacere e scegliere di non divulgare le proprie realizzazioni a volte non sortisce l’effetto sperato della normale considerazione perché, oltre alla cerchia delle tue amicizie, obiettivamente nessuno può sapere cosa hai veramente compiuto.
Personalmente trovo sia più giusto sapersi raccontare piuttosto che farsi scrivere addosso, anche perché se si è vissuto in prima persona certe particolari esperienze si è poi in grado di descriverle con competenza di dettagli, cercando di trasmettere i sentimenti e le sensazioni piuttosto che i gradi e le difficoltà.
La normalità, il silenzio e la riservatezza raramente si sono rivelati buoni alleati della storia. Le persone semplici, anche se geniali e degni di nota, difficilmente vengono ricordati e considerati per i loro veri meriti. (…)

da A suon di tegolette… andon fora per fora, di Alessandro Baù
(…) Ora sono qui, sta per arrivare il nostro momento: ogni tanto butto l’occhio oltre le pieghe del powertex e scruto l’orizzonte con l’incubo delle nuvole, il vento punge ma la voglia di mettersi in movimento è tanta; conto i secondi che passano. Una pacca sulla spalla con i simpatici compagni di bivacco e partiamo lungo la rampa Hasse, la porta d’accesso alla parete.
Al buio sembra che tutto si muova, il diesel è freddo e il pelo sullo stomaco deve ancora crescere; ma…basta poco, in scarpe da ginnastica stiamo correndo lungo la rampa. Dalla grotta finestrata le difficoltà cambiano: proteggiamo poco perché la roccia non lo permette. Arriviamo con due ore di anticipo rispetto al programma alla base del gran diedro, tratto chiave della salita. Lo sguardo si infrange sul tetto che sporge di dieci metri alla fine del diedro; tutto è tondo, sminuzzato, inconsistente. Prendendo una foto della parete e ruotandola di novanta gradi si ottiene un deposito di ghiaia!
All’orizzonte il profilo del Pelmo fa capolino tra la foschia mentre Adriano e Pino ci salutano e si incamminano verso l’assolato rifugio Casera Ditta in Val Mesaz. (…)



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