Everest 1996

Cronaca di un salvataggio impossibile
Narrativa
La tragica vicenda raccontata in "Aria sottile" da Jon Krakauer ripercorsa da uno dei maggiori protagonisti e testimoni. Un'ulteriore occasione per riflettere.
Planetmountain
Anno
1998
Editore
Centro documentazione Alpina
Recensitore
Vinicio Stefanello
Prezzo
32.000
Pagine
239
Lingua
Italiano
ISBN
88-85504-51-5


Everest 1996 (titolo originale The Climb), di Anatolij Burkreev e Gary Weston De Walt, come giustamente dice nella prefazione all'edizione italiana Mirella Tenderini, è un libro di cui è difficile parlare senza far riferimento ad Aria sottile di Jon Krakauer (titolo originale Intho Thin Air), il bestseller, edito in Italia da Corbaccio, che tanto interesse ha suscitato in tutta la stampa, specializzata e non. Questo non solo perché entrambi ripercorrono la stessa vicenda ma soprattutto perché Everest 1996 è stato presentato e scritto proprio in risposta e a puntualizzazione di quanto riportato da Aria sottile.

Per questo, anche se i fatti sono noti ai più, vale la pena rammentarli: sull'Everest, tra il dieci e l'undici maggio 1996, persero la vita nove alpinisti, cinque facevano parte di due diverse spedizioni commerciali organizzate dalle agenzie "Mountain Madness" e "Adventure Consultant", entrambe specializzate nel proporre a pagamento ascensioni guidate alle cime più alte della terra. Tutto avvenne nel corso di una bufera scatenatasi mentre clienti e guide erano impegnati nella discesa, dagli 8848 metri della cima ai 7900 metri del Colle Sud dove era stato installato il campo 4. Nell'occasione l'autore di Aria sottile, l'alpinista e scrittore Jon Krakauer, faceva parte, come cliente e, allo stesso tempo, inviato della rivista americana Outside, della spedizione di Adventure Consultant. Anatolij Burkreev, invece, uno degli autori di Everest 1996, fortissimo e stimato alpinista nato in Russia (scomparso nel dicembre 1997 sull'Annapurna), con alle spalle numerosi "ottomila" e una buona esperienza maturata in altre spedizioni commerciali (nel 1995 sempre all'Everest aveva guidato con successo un'altra spedizione di questo tipo), partecipava come guida alla spedizione di Mountain Madness.

Nel suo libro, Krakauer mette in dubbio l'opportunità di alcune scelte fatte da Burkreev: durante la salita alla cima non fece uso dell'ossigeno ed inoltre era vestito non adeguatamente per quelle altezze. Secondo l'inviato di Outside ciò compromise la possibilità per la guida di permanere più a lungo di quello che fece in quota e, conseguentemente, potrebbe essere stata una delle motivazioni che lo spinse, invece di restare con i propri clienti impegnati nella discesa dalla vetta, a raggiungere autonomamente e con largo anticipo su gli altri alpinisti, il campo 4. D'altra parte sempre in Aria sottile viene riportato anche il successivo comportamento eroico ed al limite dell'incredibile di Burkreev: i suoi tentativi - purtroppo frustrati dalla tempesta - effettuati dal campo 4 per soccorrere i propri clienti in difficoltà; lo straordinario e solitario salvataggio notturno di tre alpinisti dispersi sul Colle Sud spazzato dalla tormenta; la risalita a 8350m, sotto la Balconata dell'Everest, nell'estremo tentativo di portare soccorso al suo capo spedizione Scott Fischer trovato, però, ormai senza vita.

Burkreev per niente d?accordo con le critiche che traspaiono nella ricostruzione di Aria sottile, e ritenendo non accettabile che la lettera da lui inviata in proposito ad Outside fosse pubblicata in forma ridotta e condensata dalla stessa rivista, decise, spinto anche dallo scrittore e regista americano specializzato in inchieste Gary Weston De Walt, di fornire la propria versione dei fatti appunto in Everest 1996. Nel libro, l'alpinista russo, ripercorre minuziosamente il ruolo avuto nella spedizione di Adventure Consultant, dall'offerta a parteciparvi come guida fattagli da Scott Fischers al suo triste epilogo. Weston De Walt, dal canto suo, ha curato invece la parte della ricostruzione testimoniale, basandosi sulle dichiarazioni raccolte dalle persone coinvolte e sulla trascrizione di brani delle testimonianze incise su nastro, subito dopo la tragedia, dagli stessi sopravvissuti e da altri alpinisti presenti sulla montagna.

In Everest 1996 Burkreev, rispondendo alle critiche di Krakauer, sostiene che il suo solitario e veloce ritorno dalla cima al campo 4 era stato concordato con il capo spedizione Scott Fischer ed aveva lo scopo di consentire un suo intervento, con ossigeno di riserva, a sostegno di quei clienti che si fossero eventualmente trovati in difficoltà nel corso della discesa. Precisa anche di non avere usato l'ossigeno perché perfettamente acclimatato ed allenato (una bombola, d'emergenza, che aveva con sé la diede ad un'altra guida della spedizione) e, a riguardo dell'abbigliamento, afferma di essere stato sufficientemente vestito, come dimostra una fotografia che lo ritrae sulla cima della montagna.

Burkreev inoltre mette in evidenza la sua idea sul ruolo della guida: per lui è inconcepibile che i clienti siano da considerarsi sempre come dei "guida-dipendenti". E' sua ferma convinzione difatti, secondo i dettami della "scuola russa", che chi si avventura in montagna, alpinisti o clienti che siano, debbano essere in grado per la loro stessa sicurezza di affrontare, quanto prima e senza dipendere necessariamente da qualcun altro, qualsiasi imprevisto, tanto più in alta quota. E' per questo forse che nel capitolo conclusivo, a mio avviso uno dei più propositivi ed importanti del libro, Burkreev parla della successiva spedizione Indonesiana all'Everest alla quale accettò di far parte, nella primavera del 1997, non come guida come gli era stato proposto, ma come alllenatore e consulente degli alpinisti che vi partecipavano, dando così la sua personale risposta a tutte le contestazioni che la tragedia del 1996 ed il libro di Krakauer avevano sollevato sulle spedizioni commerciali e sul ruolo della guida.

Fin qui ed in sintesi quella che potrebbe essere definita la parte "polemica", la "querelle" che ha interessato la stampa (chi vollesse appronfondire ulteriormente l'argomento può leggere le controdeduzioni di Krakauer nelle pagine dei siti Amazon.com e outside.starwave.com). Sarebbe riduttivo però limitare solo a questo il discorso. L'opera dei due autori deve essere considerata soprattutto per quei sentimenti di dolore e sconforto per la tragedia di cui sono stati protagonisti e testimoni, che senza dubbio caratterizzano e hanno motivato entrambi i loro libri. Pur essendo difatti riconosciuto da tutti che la presenza della morte e del dramma sono, se così si può dire, di casa nell'alpinismo, molto spesso chi lo pratica rimuove questa verità incontestabile semplicemente facendo finta che non esista. Salvo poi, quando le cose vanno storte, e questi fatti accadono veramente, ritrovarsi a maledire tutto e tutti alla ricerca di colpe e colpevoli, magari riversando, alla fine, la responsabilità in un ipotetico quanto improbabile intervento "assassino" della montagna.

Ricordare che l'alpinismo è per se stesso un'attività rischiosa, raccontare i fatti e descrivere i comportamenti che le situazioni di pericolo possono provocare, come fanno questi libri, aiuta, se non a capirlo, almeno ad intravederne i confini, a viverlo in maniera cosciente, che non vuol certo dire negarne la pratica e la bellezza ma riconoscerne i rischi e le contraddizioni. E' chiaro poi che ciò è tanto più importante ed evidente, quanto più sono elevate le difficoltà che si affrontano, come nel caso, appunto, della salita ad un ottomila (non per niente per quelle altitudini si parla di "zona della morte").

A proposito poi delle discussioni sulle spedizioni cosiddette commerciali e, più in particolare, se e come sia lecito proporre un rischio così alto a dei "clienti", sollevate sia da Aria sottile sia da Everest 1996, a mio parere, è necessaria da parte delle "Guide" e delle organizzazioni commerciali un'etica professionale che non può prescindere dal discorso generale sulle motivazioni e sulla natura dell'alpinismo e, soprattutto, da un rapporto chiaro e sincero con il cliente: in montagna, specialmente in determinate situazioni, nessuno potrà mai garantire la sicurezza totale a chicchessia.

Molto è stato scritto su questi temi e probabilmente la risposta alla fine dovrà essere sempre personale. A me sembra, in ogni caso, che occorra essere sinceri prima di tutto con se stessi e che valga la pena, senza pregiudizi, dare voce a tutte le esperienze, provengano queste da alpinisti così detti di punta o da altri. In questo difficile, ma a mio avviso necessario, percorso di ricerca e discussione può essere d'aiuto, anche per comprendere meglio sia il libro di Bourkreev sia quello di Krakauer, aver presente quello che ha scritto Joe Simpson, in Questo gioco di fantasmi (Ed. Vivalda), riferendosi alla sua ricerca sul perché dell'alpinismo e della morte di tanti suoi compagni in montagna: "Ognuno aveva la sua frase fatta, la sua piccola salda teoria che graffiava appena la superficie, ma non entrava in profondità. Stanco di quanti abilmente scansavano la verità, nascondendosi dietro l'una o l'altra ben costruita teoria a giustificazione del massacro, pensai che scrivere ciò che avevo vissuto forse mi avrebbe aiutato a giungere a una conclusione onesta".


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Anno
1998
Editore
Centro documentazione Alpina
Recensitore
Vinicio Stefanello
Prezzo
32.000
Pagine
239
Lingua
Italiano
ISBN
88-85504-51-5