Desert Sandstone Climbing Trip #1 - Colorado National Monument

Il tour di arrampicata in Utah - Colorado - Nevada - Arizona di Gian Luca Cavalli (CAAI – Gruppo Occidentale), Manrico Dell'Agnola (CAAI – Gruppo Orientale) e Marcello Sanguineti (CAAI – Gruppo Occidentale).
Reduci da un’estate alpina con un meteo a dir poco sconcertante, il 12 settembre ci imbarchiamo a Milano alla volta di New York. Poi saliamo su un volo New York-Salt Lake City, a caccia di emozioni sulle torri di arenaria degli States. Manrico ed io siamo già stati più volte da queste parti e non vediamo l’ora di replicare un format consolidato: avvicinamenti attraverso plateau desertici multiformi, giornate trascorse alla ricerca di incastri, rientri al tramonto, cene con bistecche taglia maxi, magari precedute da aperitivi a base di guacamole, nachos e salsa rossa. Per Gian Luca la desert sandstone degli USA è una novità, ma non impiegherà molto ad adattarsi sia all’arrampicata, sia al “cerimoniale post-scalata”.

La climbing trip che abbiamo progettato inizia in Colorado. Da Salt Lake City ci dirigiamo verso nord-est e, oltrepassato il confine, entriamo nel Colorado National Monument Park. Nel 1907 John Otto, visitando questo territorio, scrisse: “I came here last year and found these canyons, and they felt like the heart of the world to me. I’m going to stay… and promote this place, because it should be a national park”. Molti pensavano che John fosse pazzo: viveva da solo in quei luoghi desertici, costruendo chilometri di sentieri, in modo che altri potessero apprezzarli. Finalmente, il suo sogno divenne realtà: nel 1911 fu creato il parco del Colorado National Monument. Otto ne fu nominato responsabile e lo curò fino al 1927, ricevendo il compenso di ben 1$ al mese...

Nonostante quest’area abbia una ricca storia alpinistica e offra alcuni gioielli dell’arrampicata su sandstone, i trad climber tendono a trascurarla, attirati dalle più note torri della regione di Moab, verso sud. E dire che da nessuna parte del Colorado Plateau, ad eccezione della Castle Valley e della Navajoland, si trova una tale concentrazione di torri di arenaria! Fra le più estetiche, vi sono Cleopatra’s Couch, Clueless Tower, Independence Monument, Sentinel Spire, Kissing Couple e Pipe Organ. Furono Harvey T. Carter e Layton Kor, veri e propri “cacciatori di prime” sulle desert tower di Utah e Colorado, ad aprire da queste parti un gran numero di vie. La prima torre del Colorado National Monument, però, fu scalata da John Otto, il 14 giugno 1911: l’Independence Monument. Per salirla, John non si fece molti problemi: scavò prese e piantò fittoni, perforò la roccia e vi conficcò grandi tubi. Ora i tubi non ci sono più, ma i buchi che sono rimasti facilitano la scalata...

Arriviamo nel parco a metà pomeriggio e ci concediamo alcune ore da veri turisti: percorriamo la strada che si snoda sul bordo di Wedding Canyon, Monument Canyon, Ute Canyon e Red Canyon e osserviamo dall’alto le torri di cui sono disseminati, scegliendo gli obiettivi per il giorno successivo. Dopo esserci consumati gli occhi di fronte a tanta abbondanza, rientriamo a Fruita, il paese vicino all’ingresso del parco. Da queste parti i motel sono proibitivi per il nostro budget. Anche le piazzole del campeggio non sono a buon prezzo. In compenso, il cielo stellato e la temperatura invitano a un bel bivacco. Scoviamo un angolino abbastanza fuori portata dallo sguardo dei ranger e ci addormentiamo, godendoci il “sonno dei giusti”.

L’indomani, visto che non possiamo farci mancare la vetta dell’Independence Monument – un simbolo per gli Americani – e che vogliamo prender confidenza con la roccia – una “Wingate Sandstone” che non è certo il nostro pane quotidiano - ripetiamo proprio la via di John Otto: semplice, ma estetica. A inaugurare le danze è Gian Luca, al quale prudevano le mani già all’aeroporto di Milano, non avendole mai messe prima sull’arenaria oltreoceano.

Poi, è la volta di uno dei must di questa zona: la Bell Tower, meglio nota come Kissing Couple. Un’apertura sotto la vetta – la cosiddetta “torre campanaria” – consente di guardare da una parte all’altra e fa sì che, da lontano, la struttura dia l’impressione di una coppia che si bacia. Scegliamo la via Long Dong Wall, che, con un 5.11b su “arenaria aderenza zero”, ci dà la sveglia. Manrico si aggiudica la prima parte: non ama i camini e ne ha intravisti un paio nella parte alta. Si diverte su una fessura che parte di dita e si allarga a mano, poi un bel tratto di face climb (dove, incredibilmente, si trova un bolt - vera rarità in questi posti!) lo porta ai piedi… indovinate un po’… di una fessura off-width. Ebbene sì, ecco di nuovo queste fuori-misura, tanto odiate e tanto amate… E cosa potrebbe esserci dopo l’off-width, se non un bello squeeze-chimney, uno di quei camini dove ci si deve letteralmente “spremere”? È il mio turno. Mi butto avidamente sull’off-width, poi mi lascio andare in una sorta di amplesso con il camino, che sembra ingoiarmi. Riemergo con una buona dose di abrasioni a spalle e schiena, ma sono decisamente soddisfatto. Non finisce qui: la via offre un’altra off-width, poi ancora un camino – questa volta non squeezy, ma decisamente atletico e, dulcis in fundo (anzi, in cima!) un tiro all’interno di un’alcova-caverna, che ci fa sbucare in vetta attraverso una specie di foro nella roccia. Insomma, tutti i generi di scalata si concentrano in questo capolavoro firmato Layton Kor, Harvey Carter e John Auld.

Dopo la consueta “fiera delle vanità”, con foto e riprese di vetta, è la volta delle doppie. Il rientro, con una frontale in tre, richiede un po’ di tempo, ma non possiamo lamentarci della giornata. Dovendo scegliere se investire i dollari in una notte in motel o in una cena a base di bistecche e patatine, non abbiamo dubbi: vai con un piatto alla Kit Carson! Tami e Russ, gestori di un simpatico locale a Fruita, ce lo preparano nonostante l’orario di chiusura sia passato da un pezzo: un po’ per simpatia e un po’ perché facciamo pena - stanchi, sporchi e affamati come siamo. Per la notte ci aspetta il solito posto da bivacco fuori da sguardi indiscreti, ma questa volta il meteo non è dalla nostra. Poco dopo le cinque di mattina, in lontananza s’intuisce la pioggia. Nel dormiveglia, Gian Luca ed io borbottiamo un paio d’imprecazioni. "Si scaricherà sui monti, come fa spesso in Dolomiti" - ci rassicura Manrico, che riprende a dormire. Alla faccia delle Dolomiti: dopo dieci minuti l’acqua che scende abbondante dal cielo ci costringe a una precipitosa ritirata in auto...

Marcello Sanguineti, CAAI

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>> Climbing trip to the USA - 2012



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