We Are Alps: un viaggio lungo l'arco alpino alla ricerca dell'agricoltura che resiste

Il tour We Are Alps organizzato dalla Convenzione delle Alpi e raccontato da Simonetta Radice. Parte Prima: dalla Val d'Ossola alla Val Poschiavo.
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Verso Poschiavo sul Bernina Express
Simonetta Radice
"Negli anni 50 Il contadino montanaro è sceso nelle fabbriche e oggi risalire la montagna è dura, è dura". Così mi diceva Reinhold Messner a proposito dello stato di salute dell’agricoltura di montagna del nostro Paese. E proprio all’agricoltura delle terre alte è stato dedicato – nel 2014, anno internazionale del Family Farming –il tour We Are Alps organizzato dalla Convenzione delle Alpi per offrire alla stampa internazionale uno spaccato di come vive e cresce oggi l’attività agricola sull’arco Alpino. Da Domodossola alla Valtellina, dalla Svizzera alla Val Venosta fino al Tirolo, la richiesta che si alza a più voci è la stessa: riconoscere all’agricoltura di montagna un valore che va oltre la mera produzione - la redditività del resto è un tasto dolente dappertutto - e che riguarda la protezione del territorio contro il dissesto idrogeologico, la tutela del paesaggio e la creazione di occupazione a livello locale contro l’abbandono delle terre alte. Se le esigenze sono comuni, ogni territorio, ogni Paese ha specifiche problematiche da affrontare e risponde in maniera diversa alle istanze.

In Val d’Ossola: agricoltura e disabilità
La Val d’Ossola è un angolo di Piemonte che resiste: registra gli addetti più giovani rispetto alla media regionale (51 anni contro 58), una sostanziale presenza femminile e all’ultimo censimento (dato ISTAT 2012) 81 aziende che producono formaggio caprino. Non solo: Domodossola ospita un esempio funzionante di cooperativa sociale, che coniuga l’attività agricola con il recupero delle persone disabili o in condizioni di svantaggio economico. "La Prateria" – questo il nome della cooperativa – è attiva sul territorio da oltre 20 anni e nasce da su iniziativa del Lions club di Omegna e altri club della zona, con il contributo del distretto Lions 108 Ia1 e in collaborazione con un gruppo di volontari. Oggi la struttura conta tredici dipendenti di cui dieci disabili e si avvale della collaborazione imprescindibile di oltre cinquanta associazioni di volontariato attive sul territorio, nonché di borse di volontariato internazionale. "Da una parte diamo il nostro contributo a tener viva l’economia agricola montana in un territorio a rischio di abbandono" dice il presidente de La Prateria Ivan Guarducci "Dall’altra adempiamo allo stesso tempo una funzione sociale importante, anch’essa di grande importanza in un territorio come il nostro, collaborando a stretto contatto con molte realtà del volontariato e non solo". Coltivazione di ortaggi e piccoli frutti (La Prateria è il maggior produttore di patate bio in Ossola), ippoterapia, ortoterapia: come sempre la parola d’ordine per le aziende agricole è multifunzionalità e La Prateria non fa eccezione: oggi la cooperativa ha infatti aperto anche un piccolo agriturismo dove è possibile gustare i prodotti coltivati o trasformati.

V di Valtellina
Dici Valtellina e subito pensi al vino, alla breasola e al Bitto. Qui, forse più che altrove, le aziende agricole sono a dimensione familiare, se si pensa che nella provincia di Sondrio la produzione del latte si basa su un totale di tredicimila capi e ogni azienda ne possiede circa venti. Albaredo per San Marco, comune di 350 abitanti nel parco delle Orobie Valtellinesi, è l’esempio di un paese di montagna che non si arrende, che investe sulle sue tradizioni e scommette sul futuro. Oltre il 95% del territorio comunale è ancora coltivato e nel 2006 è stato aperto il caseificio Alpibitto, a cui conferiscono tutti gli allevatori del paese per una produzione totale di circa 2500 kg l’anno di formaggio a latte crudo, tra Bitto e Matusc. Nello stesso edificio, è stato aperto un call center che dà lavoro a 25 donne e offre servizi di telemarketing, help desk, teleselling e altro ad aziende pubbliche e private. Il centro del Paese celebra gli antichi mestieri e le antiche tradizioni: il passaggio dei lavatoi, ancora utilizzato dalle donne del posto, racconta con dipinti e sculture le leggende e le attività che da sempre popolano la valle. "Albaredo è un esperimento di successo oggi" dice l’ex sindaco Patrizio del Nero. "Siamo oggetto di studio da parte di università italiane e internazionale e sarebbe molto importante condividere esempi di buone pratiche per dare voce alla montagna che vive, che non rinuncia alle sue tradizioni e al tempo stesso è capace di guardare avanti. Credo che il valore specifico dell’agricoltura di montagna, dell’agricoltura eroica debba essere riconosciuto con sistemi specifici, perché ha effetti positivi su tutta la comunità".

Questione di DNA
A Morbegno la Convenzione delle Alpi ha da poco aperto un nuovo Info Point; qui incontriamo il padre di un giovane allevatore, che ha deciso di portare avanti la tradizione di famiglia "Per fare agricoltura in montagna bisogna averlo nel DNA" dice "non ci si improvvisa e non bisogna aver paura di far fatica". "Il nostro è un territorio molto difficile" aggiunge il sindaco Andrea Ruggeri "ma anche capace di dare grandi soddisfazioni; agricoltura di montagna significa tante cose, dalla salvaguardia del territorio alle nuove prospettive di occupazione per più o meno giovani."

Viticultura eroica in Valtellina
Ma la Valtellina è nota soprattutto per il vino. Nella provincia di Sondrio, la fondazione Fojanini assiste oltre tremila piccoli produttori dediti alla cosiddetta "viticoltura eroica", che sfrutta il poco terreno che le montagne mettono a disposizione attraverso la lunga e paziente opera dei terrazzamenti. Siamo naturalmente sul versante retico della valle – l’area terrazzata più vasta d’Italia - e parliamo di un’estensione totale di circa 1500 ettari. Di queste tremila piccole aziende, la metà producono per autoconsumo e costituiscono un secondo lavoro per chi le possiede e solo una ventina si automantegono. C’è da dire che fino agli anni Ottanta tutto il vino valtellinese veniva venduto quasi solo in Svizzera. Oggi la qualità è decisamente migliorata e vengono commercializzate circa 3 milioni di bottiglie l’anno, tutte a denominazione di origine controllata. Il vitigno è naturalmente il Nebbiolo, particolarmente adatto alla montagna perché permette una vendemmia tardiva – essenziale per chi d’estate era o è impegnato nella monticazione del bestiame - e invecchia lentamente. In Valtellina, l’abbandono delle terre coltivate è forse meno sentito che altrove "è un terreno faticoso da coltivare, e chi ha qualcosa se lo tiene stretto" fa notare il ancora Andrea Ruggeri "ma quando un vigneto viene abbandonato" aggiunge Graziano Murada, presidente della fondazione Fojanini "insegniamo a piantare olivi, che sono piante rustiche, hanno bisogno di poco lavoro e permettono di evitare che il terreno si degradi fino a quando un nuovo viticoltore non decida di riprendere l’attività." E il biologico, di cui tanto si parla? "E’ un concetto destinato a cambiare" continua Graziano Murada "In futuro sarà necessario che tutta la filiera sia effettivamente bio, con un occhio di riguardo per il risparmio energetico."

Valposchiavo: parola d’ordine "Bio"
Proprio sul concetto di Bio punta tutto la Val Poschiavo, che si presenterà insieme alla Valtellina per Expo 2015. Valtellina e Valposchiavo: separate politicamente dal XV secolo, hanno mantenuto nel tempo rapporti commerciali molto stretti e sono collegate dal Bernina Express, parte del Patrimonio Unesco dell’Umanità. L’obiettivo della piccola Val Poschiavo (237 km quadrati per 3500 abitanti) è raggiungere quota 100% bio per tutta la produzione agricola locale. Obiettivo possibile, se si pensa che oggi la percentuale di terreno coltivato bio è il 91% ( in tutta la Svizzera, le aziende bio sono circa il 12%, meno che in Austria come vedremo.) "Questo risultato è il frutto di un cammino iniziato quasi 30 annni fa" dice Gianluca Giuliani, responsabile del progetto. "Si tratta di una filosofia che la valle ha voluto e vuole abbracciare per valorizzare la produzione locale, dalla materia prima al prodotto finito: nella stessa ottica è nata l’etichetta 100% Val Poschiavo, che identifica tutti i prodotti a filiera locale." La valle conta una cinquantina di aziende agricole full time e altrettante part time: si tratta per lo più di aziende piccole – le più grandi non dispongono di oltre 50 ettari di terreno – con in media una ventina di capi per un tipo di agricoltura rigorosamente estensiva, premiata con sovvenzioni specifiche da parte della Confederazione. "Resta ancora qualche passo da fare" continua Giuliani "stiamo cercando di fare rete con hotel e ristoranti perché inseriscano nei loro menu anche piatti 100% Val Poschiavo e perché ci aiutino a veicolare l’immagine di una valle attenta a rafforzare la propria identità". Chi vuole diversificare la propria attività agricola punta infine sulle erbe officinali. E’ il caso dell’azienda bio Raselli, 1 5 ettari e 30 varietà di piante coltivate per una produzione di 40 tonnellate di erbe secche all’anno circa. Attiva da oltre 30 anni, l’azienda è fornitore dagli anni 80 di Ricola, "che paga prezzi equi, che permettono di vivere" dice il titolare Reto Raselli. Ma è il mercato delle tisane a rappresentare la parte più consistente del suo business, commercializzate anche da Coop svizzera a marchio Coop. "Abbiamo comunque una linea di prodotto tutta nostra" continua Raselli "è importante, perché permette di far conoscere al cliente finale anche il nome del produttore". La Valtellina – ma possiamo dire l’Italia - è dietro l’angolo ma sembra di essere atterrati su un altro pianeta. Qui nessuno rinuncia alla certificazione bio perché si scoraggia di fronte alla burocrazia e la specificità dell’agricoltura di montagna viene riconosciuta e premiata: le aziende possono così non rincorrere il modello simil-industriale per poter essere redditive, ma concentrarsi sulla qualità dei prodotti.

Siamo a metà del nostro itinerario ma una cosa è ormai chiara: l’agricoltura di montagna non può vincere in una logica di concorrenza con la pianura e con la produzione industriale: per le terre alte non possono valere le sole leggi del mercato, soprattutto quando quest’ultimo gioca al ribasso a favore del profitto immediato. Ma profitto non significa automaticamente valore, e viceversa: prati sfalciati, muri a secco, territori abitati e curati sono un patrimonio che arricchisce la comunità, che aiuta il turismo, che aumenta il benessere sociale. E’ davvero possibile quantificare tutto questo?

di Simonetta Radice

Note:
www
www.alpconv.org



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