Simone Moro tra Everest, Lhotse ed elisoccorso

Intervista a Simone Moro dal Campo Base dell'Everest dove si sta preparando per salire in successione l'Everest e il Lhotse. Il tutto mentre coordina e partecipa ad alcune operazioni di soccorso in elicottero.
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Il pilota Simone Moro
archivio Simone Moro

Che Simone Moro sia un alpinista, e un uomo, che non si accontenta di fare una cosa per volta, non è una novità. Così, mentre si sta preparando (leggi si sta acclimatando) per il suo progetto di salita “doppia” prima all'Everest e poi al Lhotse senza scendere al Campo Base, non c'è da stupirsi che trovi anche il tempo per partecipare a varie operazioni di soccorso in elicottero. D'altra parte la passione per l'elicottero, ma anche l'impegno nei soccorsi in Himalaya, non sono una novità per lui. Così le cronache di questo ultimo mese dal campo base dell'Everest ci hanno riportato vari interventi di elisoccorso in cui l'alpinista bergamasco è stato coinvolto. Tra gli altri ricordiamo quello effettuato - insieme al bravissimo pilota valtellinese Maurizio Folini ed altri - per recuperare uno sherpa infortunato a 6000m di quota. Ma anche quello che ha permesso di evacuare Cory Richards dal Campo Base dell'Everest, dopo che l'alpinista e fotografo americano (compagno proprio di Simone Moro nella prima invernale al Gasherbrum II) era stato colpito, in alta quota, dal mal di montagna – un problema da cui peraltro si è prontamente ripreso...
Di tutto questo, ma anche di come sta procedendo il suo progetto, abbiamo parlato con Simone Moro in un veloce collegamento via Skype...



Simone, uno si potrebbe chiedere, perché ancora l'Everest?
C’è chi dice che gli 8000 sono come le fragole e una tira l'altra. A me non piace molto il paragone ma usando lo stesso frutto mi vien da dire che una fragola non la si mangia per forza una volta sola nella vita ;-) I miei Everest non saranno stati esaltanti (uso parziale di ossigeno...) ma li ricordo tutti come bellissime pagine personali. L’ho salito da sud, da nord, ho fatto la traversata, l'ho salito e sceso in 48 ore. Tutte cose che sono valse la pena vivere.

Il tuo Everest finora si è diviso tra acclimatamento e soccorsi... come fai a concentrarti sul tuo progetto alpinistico?
A casa sono abituato a fare tante cose... così le pause forzate al campo base ho deciso di impiegarle solo in modo diverso. Anziché fare il pellegrinaggio a tutti gli altri campi base e chiacchierare delle solite cose, ho deciso di pilotare e fare soccorsi in tutti i momenti in cui non sono sulla montagna. Pilotare e dare una mano sono cose che mi piacciono ed entusiasmano e che onestamente mi appaiono pure più utili che non scalare una montagna ;-)

Qual è il clima, la gente, le 'stranezze' che si vivono al CB dell'Everest?
Il solito... tanta gente, la maggior parte guide e clienti. Nulla di male, una risorsa vitale per l'economia nepalese. Non mi sento disturbato da tutta questa gente. Quando voglio solitudine ed esplorazione vado altrove o d'inverno. C’è così tanto da fare per isolarsi nel proprio mondo verticale. Le stranezze che vedo qua non sono nulla in confronto a quelle che leggo del mondo 'civilizzato e non alpinistico'.

Stai facendo molti soccorsi con la tua Compagnia... stanno cambiando le cose e se sì come?
Si FINALMENTE qua sta cambiando tanto ed in meglio. Sono così felice di aver convinto la Fishtailair a credere in me come pilota e soccorritore nonché nei piloti italiani. Prima Maurizio Folini della Valtellina e ora Piergiorgio Rosati di Trento stanno facendo la differenza qua. Professionali, veloci e maledettamente bravi.

Sono un bene o un male questi soccorsi in Himalaya, non è che come dicono alcuni agevolino l'imprudenza di alpinisti non preparati?
Sono decisamente un bene, nessuno sino ad ora ha abusato di chiamate strane da “taxi in quota”. Questo tipo di 'viaggetti' avvengono solo da e per il Campo Base, ma sulla montagna c’è un forte senso di responsabilità. Si sa, e si ricorda sempre, che volare con un elicottero a 6000m e oltre può essere fatale…

Colpiscono i problemi che ha avuto Cory Richard (tuo compagno con Denis nella prima invernale del Gasherbrum II) in quota... è la conferma che non si può mai prevedere come si reagirà all'aria sottile?
Verissimo. Li hanno avuti tutti, famosi e meno famosi, sia al primo che al 10° Ottomila. L’alta quota non è mai una zona umana, vivibile in relax e ordinarietà…

Quanto alpinismo "turistico" (per dirla alla Messsner) c'è ancora all'Everest e quanto alpinismo d'avventura?
95 % turistico clientelare ed il 5% di tipo più avventuroso, esplorativo o di performance.

Al campo base ci pare di aver sentito che sei in buona compagnia...
In questo momento ho Ueli Steck e Conrad Anker qui con me. Vengono quasi tutti i giorni. Poi anche Gerlinde Kaltenbrunner e David Goettler vengono a trovarmi. Siamo amici di lunga data e mi sa che da questi incontri stanno nascendo pure dei progetti…

Ma il tuo progetto... quel link senza scendere di due cime come l'Everest e il Lhotse... quando parti? Come ti figuri la cosa?
Me la figuro difficile, molto difficile. Ma non ho lo stress o l’affanno da prestazione. Parto intorno al 23 o 24 maggio. Proverò a fare tutto quello che sarà possibile, sperando si essere capace e fortunato. L’obiettivo rimane sempre e comunque quello di tornare a casa vivo, vincente o perdente quello è solo un diverso tipo di abito che ti mettono addosso per qualche giorno.


- 30.05.2011 Simone Moro e l'elisoccorso in Nepal





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