Matteo Zanga: fotografare in stile alpino

Intervista di Alice Prete a Matteo Zanga, il fotografo che ha accompagnato Simone Moro e Denis Urubko nel loro tentativo di prima invernale al Nanga Parbat.
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Campo Base, dove Matteo Zanga ha trascorso 45 giorni per fotografare Simone Moro e Denis Urubko nel loro tentativo di prima invernale al Nanga Parbat.
Matteo Zanga
Lo incontro al matrimonio di comuni amici e, come era logico che fosse, è il fotografo ufficiale. Per fortuna alla pausa della seconda portata lo trovo solo in corridoio, con le mani in tasca che guarda le colline di Scanzo. Solo è un eufemismo: Matteo è con la sua macchina fotografica. Ci accomodiamo nel salottino antico della villa, che è diventato per l'occasione la sala delle bomboniere.

Tra i pizzi e merletti delle confezioni e i nostri abiti eleganti è davvero strano parlare di montagna. Faccio mente locale delle domande da fargli: i miei tacchi e le unghie laccate stridono con con il gelo e la fatica del Nanga Parbat. Lui si accomoda nella poltrona imperiale e lascia a me la sedia della servitù; non si scompone per il fatto di non essere galante, ma va bene così: mi mette al suo livello e sarà più facile chiedere cose senza riguardo. Nel total black del suo vestito, saltano agli occhi due cose: il profilo bianco della camicia siglata Armani, e i suoi occhi blu, che non sfuggono mai allo sguardo.

E' senza dubbio un seduttore, e ne ho la conferma appena apre bocca e comincia a raccontare, non aiutandosi con le mani per spiegare quello che pensa. Non è necessario: quello che mi spiega nasce dalle viscere e dal cuore. Matteo è partito il 26 dicembre scorso alla volta di Islamabad con la spedizione di Simone Moro e Denis Urubko alla conquista del Nanga Parbat, la montagna di 8.125 metri in Himalaya, al posto di Cory Richards, fotografo abituale di Moro e Co.“Quando Simone me l'ha chiesto, circa due mesi prima di partire, ho detto subito di sì”.

Nei mesi di permanenza al Nanga Parbat Simone e Denis sono riusciti ad installare tre campi fino a raggiungere 6.600m. Dalla fine di gennaio sono rimasti bloccati al campo base a causa delle intense e ininterrotte nevicate che ne impedivano l'ascesa fino ad obbligarli alla fine alla dolorosa decisione di rinunciare alla prima ascesa in invernale del Nanga Parbat.


Qual'è stata la cosa più difficile a cui abituarsi durante la lunga permanenza al campo base?
L' 'insieme di molti fattori, di cui il freddo è solo uno di questi e forse neanche dei più importanti... c'è l'isolamento, l'impossibilità di lavarti, la noia, il cibo che alla lunga è sempre lo stesso, lo stress, l'avere gli occhi addosso di migliaia di persone, il dormire in tenda a quelle condizioni... alla fine non è il freddo che pesa, ma è il freddo unito ad altre condizioni difficili sommate ai 45 giorni di permanenza

Hai mai pensato almeno una volta : era meglio che non partissi?
Mai!... no mai... anzi... penso adesso che vorrei ancora essere lì...
Matteo sorride e piega il capo mentre risponde, certo la macarena della stanza accanto rende il concetto surreale e divertente. Fa scrocchiare le dita nervoso mentre guarda di nuovo fuori verso le colline. Il verde dei prati è diventato ghiaccio e neve per lui.

Descrivi in poche parole Simone Moro e Denis Urubko
Che domandona... che dire... Simone è un uomo mediatico e di marketing, Denis è un uomo metodico, silenzioso... e dalla pelle dura..

E dal punto di vista alpinistico?
Secondo me si equivalgono davvero: hanno due fisici incredibili e ancora piu' incredibile è il loro spirito di adattamento..due alpinisti di massimo livello che già da soli potrebbero fare grandi cose... messi insieme posso fare solo cose superlative: sono veloci, si conoscono, si fidano l'uno dell'altro, credono nello stile alpino classico puro. Se da soli valgono uno e uno, insieme valgono come quattro.

Com'era la tua vita al campo base?
Non sono mai stato solo. Al campo base eravamo sempre io Simone e Denis e tre persone locali, una guida, un cuoco ed un aiuto cuoco. Quando Denis e Simone salivano ai campi alti per l'acclimatamento restavo con i pakistani, oltre a tre polacchi che facevano parte di un'altra spedizione, con cui siamo diventati veramente amici.

Che difficoltà hai incontrato salendo al campo uno?
Il pericolo piu' grande da cui guardarmi erano le valanghe mentre attraversavo il ghiacciaio, i crepacci e naturalmente la quota.

In cosa ti ha aiutato questa esperienza nel tuo lavoro?
Mi ha aiutato soprattutto per la mia immagine, facendomi conoscere molte persone; ma la cosa che ho capito di piu' è l'importanza di semplificare sempre, sia dal punto di vista puramente teorico, che dal punto di vista pratico. Ho capito che fondamentalmente basta pochissima attrezzatura: non c'è bisogno di portarsi dietro tanta roba, che poi diventa anche un peso da gestire. Alla fine mi sono accorto che di tutte le cose che avevo , tra cui 5 – 6 macchine fotografiche, 9 obiettivi ecc, alla fine ho fatto tutto con una macchina fotografica che non era neanche il top di gamma, con un solo obiettivo e senza neanche lo zoom. Fondamentalmente ho fotografato tutto con un'attrezzatura minima.

Hai incontrato qualche problema nello svolgere il tuo lavoro?
Ho rischiato di perdere tutto il mio lavoro a causa del freddo: all'inizio tenevo una copia degli stessi dati su cinque dischi diversi, ma col passare del tempo, a causa della temperatura, se ne sono bruciati dapprima tre, poi quattro. C'è stato un momento in cui ho rischiato veramente di perdere tutto... arrivando ad avere tutti i dati in un solo unico disco. In quelle condizioni di notte si scendeva a – 20, - 30 ed ovviamente, non essendoci nessuna forma di riscaldamento, tutta l'attrezzatura elettronica subiva sbalzi terribili di temperatura. L'ultimo disco ce l'avevo sempre addosso, 45 giorni e notti attaccato al petto e lo tiravo fuori solo per salvare i dati. Per fortuna, invocando non so quali dei della montagna - ride - sono riuscito a formattare un altro disco e a ricopiare i dati; con calma poi sono riuscito a farne resuscitare un altro, riuscendo alla fine per fortuna a salvare le mie foto.

Il mio computer, pur essendo racchiuso in una valigetta stagna a prova di bomba, subiva comunque il freddo; al mattino era sempre tutto congelato e dovevo metterlo sul fornello per scongelarlo e per farlo ripartire altrimenti restava coperto da uno strato di ghiaccio: lo lo giravo per 20 minuti e quando capivo che era caldo provavo ad accenderlo e così potevo lavorare... mai lesinare sulla sicurezza dei dati!

Il tuo modo di fotografare lo possiamo definire “in stile alpino?”
Assolutamente... il piu' leggero possibile, che è una filosofia di vita che cerco di trasmettere anche nelle mie fotografie: figurati che in quota dovevo testare delle macchine fotografiche di altissima qualità per conto di un'azienda: quando sono salito al 5000 metri al campo 1 mi sono portato dietro questa macchina con l'obiettivo oltre, alla mia; calcola che solo queste due cose sono 5 / 6 kg, che a quelle quote è tantissimo! Mi hanno rallentato molto la salita e alla fine quando sono arrivato faceva così freddo che quando l'ho provata non funzionava neanche, mentre la mia macchina, non professionale, andava come un treno! Ho capito che alla fine non hai bisogno di chissà cosa per realizzare i tuoi progetti... e poi dal punto di vista strettamente fotografico c'è da tener presente che a quelle quote, in quei posti, la qualità dell'immagine, della luce è talmente bella nitida, satura, colorata e l'aria è così tersa e pura da rendere meno difficoltoso il compito del fotografo, così da permettere anche ad una macchina non professionale di avere dei buoni risultati”

Matteo ora è rilassato. Continuerebbe a parlare per ore ma gli sposi Lazzarini non aspettano! Concludiamo le quattro chiacchiere con una foto insieme prima che si allontani veloce verso la torta nuziale.
Fedele al suo stile alpino la macchina fotografica che ha in mano è l'unica che ha con sé.

Alice Prete


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