Giovanni Cantamessa, un addio da tutto il mondo dell'arrampicata

Il 9 marzo 2010 dopo un lungo calvario si è spento Giovanni Cantamessa. Torinese cresciuto a Bologna, 55enne, dal 2002 è stato Direttore Sportivo delle squadre nazionali della FASI - Federazione Arrampicata Sportiva Italiana di cui era insostituibile anima e promotore.
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Giovanni Cantamessa in un'edizione della Coppa del mondo di arrampicata in Cina.
Laura Cardellini
La vita di Giovanni Cantamessa è stata lungamente appesa ad un filo, ad una speranza che stanotte s'è spenta per sempre. E' la fine di un calvario iniziato nell'ottobre 2008 con quell'assurdo incidente sulla tangenziale di Verona. Ma questo non può bastare per lenire il colpo. Per passare oltre. Non è così che funziona. E' ad altro che penso.

Penso a quel suo modo appassionato, irruento e a volte anche concitato di vivere l'arrampicata. Penso al suo impegno totale per la FASI. A quel suo darsi anima e corpo a questo sport. E ai tanti atleti della nazionale italiana a cui, in tutti questi anni, ha fatto da Direttore Sportivo ma anche da fratello maggiore, da riferimento.

E, poi, penso che quell'incidente è avvenuto subito dopo l'inaugurazione della palestra di arrampicata veronese a cui l'avevo invitato io. Ricordo la sua assoluta disponibilità per quell'evento anche se, alla vigilia dei Campionati Italiani, ciò gli avrebbe comportato un tour de force. Ma era fatto così Giovanni, nulla poteva fermarlo se pensava che un'iniziativa fosse a favore dell'arrampicata. La sua disponibilità e la dedizione per lo sport che amava erano davvero senza limiti.

Ha iniziato dalla gavetta Giovanni Cantamessa. Da arrampicatore, e poi come animatore della Società sportiva di arrampicata del CUS Bologna. Poi l'impegno nella FASI. Le battaglie per un'idea di Federazione “diversa” che condivideva con l'amico fraterno Luigi Colò e Andrea Gennari Daneri. Nel 2002, con la presidenza di Ariano Amici, con cui ha condiviso tutto il percorso in Federazione, è arrivato l'importante incarico come Direttore Sportivo e responsabile delle squadre nazionali, incarico che ha mantenuto fino all'incidente che l'ha fermato. Nel frattempo ha ricoperto anche la carica di Segretario Generale della Federazione.

Di lui si può ben dire che viveva l'impegno nella FASI a tempo pieno, e anche oltre il tempo pieno. Per questo per molti Giovanni rappresentava la FASI. Come non si può scordare che da DS della nazionale, tra gli altri ha portato a casa i titoli mondiali del boulder con Christian Core e Mauro Calibani, il titolo iridato della combinata con Jenny Lavarda e la Coppa del mondo Lead vinta da Flavio Crespi. Né si può scordare quanto tenesse ai suoi "capitani" azzurri, Luisa Iovane e Luca Zardini.

Di Giovanni vanno ricordate la meticolosità, e se volete anche la puntigliosità. Era un organizzatore nato, insostituibile nel preparare la logistica delle trasferte. Ma anche nella conoscenza delle norme sportive e nel “programmare” i ruolini di gara. Chi se lo ricorda a “bordo campo” sa di cosa si parla. Seguiva le prestazioni dei suoi atleti con una partecipazione totale, che a volte poteva anche sembrare eccessiva. Non ho mai visto nessuno calcolare, anche con freddezza, tutte le possibili varianti dei punteggi e allo stesso tempo farsi coinvolgere così totalmente dal gioco.

Con Giovanni a volte c'era anche da discutere. Non sempre le sue scelte convincevano e allora - è capitato anche a me - ci si avventurava in dispute anche appassionate per non dire epiche. Ma al di là delle battaglie, una cosa mi ha sempre colpito: la sua disponibilità a discuterne, a sentire le ragioni che gli si opponevano pur difendendo strenuamente le proprie. Alla fine quello che restava era la sua disponibilità, e la sua capacità di condividere la stessa passione per l'arrampicata. Per quei momenti, i più belli, in cui si esultava per una vittoria, per un top.

Giovanni lascia Pierluigi, il suo bimbo di un anno e mezzo e la fortissima e coraggiosa Laura, sua moglie. A loro va il pensiero di tutto il mondo dell'arrampicata al quale Giovanni ha dato tantissimo di se stesso. Quando ci siamo salutati quella sera del 10 ottobre 2008 a Verona, poco prima dell'incidente, Giovanni mi aveva parlato dei giovani, di quei giovani atleti che sperava di lanciare nelle gare internazionali. Non si può dimenticare.
Note:
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