San Vito Climbing Festival – Bolting Edition

Maurizio Oviglia fa una relazione del recente convegno organizzato a San Vito lo Capo che ha discusso i problemi dell’attrezzatura delle falesie, la sicurezza dei fix in arrampicata sportiva in ambiente marino ma non solo e le responsabilità dei chiodatori e degli enti che eventualmente finanziano le chiodature.
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Maurizio Oviglia al convegno San Vito Climbing Festival – Bolting Edition
Luigi Ficarra
Con questo titolo a sorpresa, che ha spiazzato un po’ tutti, il popolare evento di arrampicata sportiva si è preso una pausa per discutere dei problemi dell’attrezzatura delle falesie, nonché della sicurezza in arrampicata sportiva e delle responsabilità (se ne esistono) dei chiodatori e degli enti che eventualmente finanziano le chiodature. Un tema spinoso e controverso, in cui nel nostro paese c’è ancora molta confusione, alimentata dalla mancanza di leggi in materia, nonché di associazioni (come la francese COSIROC) che tutelino falesie e chiodatori. A tutto questo si è aggiunto il problema degli ancoraggi inox in ambiente marino, un “caso” scoppiato di recente e riportato su planetmountain che ha fatto molto discutere e comprensibilmente scaldato (o preoccupato, dipende dai casi) gli animi. Alla ASD, Associazione Rocce di Sicilia, organizzatrice del Convegno, il merito di aver portato a San Vito per discutere di tutto questo numerosi esperti di livello nazionale della materia, ma soprattutto di aver fatto pacificamente sedere accanto tutte le anime dell’Italia verticale, dalle guide alpine al CAI, dalla FASI alla UISP. Ma non solo, erano soprattutto presenti anche dei tecnici esperti di metalli ed aziende leader nella produzione di ancoraggi inox.

Il convegno si è aperto sulla questione delle recenti rotture di ancoraggi inox, avvenute per ora (limitandosi all’Europa) in Sardegna, Sicilia e Kalymnos. Il moderatore Peppe Gallo ha dato la parola a Maurizio Oviglia (CAAI e CAI) che, con una dettagliata relazione corredata da foto e video, ha esposto il problema e parlato della necessità di definire un criterio univoco per realizzare le soste in arrampicata sportiva. Oviglia ha lasciato la parola, per chiarire meglio tutti gli aspetti tecnici del problema e individuarne possibili soluzioni, a Matteo Dalvit (Università di Ingegneria di Trento) che sta affrontando direttamente il caso in collaborazione con l’UIAA. Dalvit ha fatto il punto sulle sue ricerche, chiarito meglio le dinamiche della corrosione interna dei vari tipi di acciaio, definito le differenze tra i vari tipi di corrosione e di acciai usati per la produzione di ancoraggi di arrampicata sportiva. Rispondendo alle numerose domande del pubblico, Dalvit si è dichiarato scettico riguardo al fatto che l’impiego di acciaio inox 316L possa risolvere o migliorare decisamente la resistenza alla corrosione in particolari circostanze di umidità, salsedine e tipo di roccia. Attualmente solo il titanio, infatti, dà queste garanzie ma i costi sono per ora proibitivi. Di diverso avviso su questo punto Cesare Raumer, leader in Italia nella produzione di ancoraggi inox, che ha preso atto del problema e si è in questi mesi adoperato giorno e notte per trovare una soluzione. Secondo Raumer la sua nuova linea di ancoraggi marini in 316L possiede delle caratteristiche che limitano al massimo questo tipo di corrosione, anche se certamente non escludono del tutto la possibilità che si verifichi. A questo proposito, ha sottolineato Raumer, gli attrezzatori devono fare la loro parte controllando bene la posa dei tasselli e valutare attentamente il tipo di roccia e il luogo dove intendono attrezzare.

Successivamente il discorso si è spostato su una possibile etica e regolamentazione dell’arrampicata sportiva ed il gravoso compito è toccato a Bruno Vitale (CAI INAL) che ha ricordato come fin dal ‘99 si era affrontato questo discorso in uno storico convegno tenutosi a Subiaco (Roma) da cui era scaturito il primo documento che stabilisse delle linee guida per gli attrezzatori. Vitale ha cercato di muoversi con disinvoltura tra etica e regole, in un’attività che è sempre stata fondamentalmente anarchica, ribadendo tuttavia la necessità che si arrivi a dei criteri univoci per l’attrezzatura, se è vero che l’arrampicata sportiva dovrebbe per definizione ritenersi “sicura”. La parola è quindi passata al Collegio delle Guide Alpine, rappresentato dal biellese Stefano Perrone (titolare insieme a Roberto Vigiani) del primo corso per chiodatori tenutosi in Italia e dal trentino Massimo Faletti. Si è quindi parlato della necessità di uniformare la chiodatura in zone ad alta concentrazione turistica come San Vito, dove incidenti dovuti ad errori di chiodatura potrebbero far ricadere la responsabilità sugli enti locali o sull’organizzazione di eventi. E’ giusto poter mettere mano a itinerari chiodati “male” per uniformarli a determinati criteri definiti “sportivi” o in uso in una particolare zona? Le guide hanno sottolineato l’importanza della formazione e della soglia di attenzione nella pratica della nostra attività, cosa che è purtroppo sovente scarsa nelle nuove generazioni che si avvicinano alla roccia attraverso le palestre indoor.

La parola a Graziano Montel (FASI) che ci ha raccontato dei problemi sorti in Puglia e di come hanno affrontato sulle loro rocce i diversi modi di chiodare, cercando di uniformarli, e poi a Ignazio Mannarano (UISP) che ha posto l’accento sulle aree protette dai piani paesaggistici o da vincoli idro-geologici che pongono via via sempre maggiori limitazioni rendendo quasi impossibile l’attrezzatura di nuove falesie o la frequentazione di quelle già esistenti. Mannarano ha ricordato come si sia adoperato per sbloccare dai vincoli molte falesie storiche dell’area di Palermo ma ha ribadito come sia necessario un dialogo a monte con gli enti locali che si occupano della definizione di tali aree.

Sandro Angelini (Responsabile della commissione Falesie della FASI) ha parlato della sua esperienza nelle Gole del Furlo (Marche) e messo sul piatto alcune spinose questioni. Di chi sono le falesie e chi ha diritto a riattrezzarle? Parlando della sua esperienza nella zona del Muzzerone, ha in parte risposto a questi quesiti Davide Battistella, che ha ricordato come associandosi si possa avere più forza e mettersi al riparo da eventuali rischi giuridici che, secondo Battistella, sono del tutto concreti.

Dopo più di tre ore di convegno ha chiuso i lavori Maurizio Oviglia con un arrivederci, magari organizzando un tavolo itinerante su questi problemi, in modo che si arrivi prima o poi alla definizione di criteri condivisi se non da tutti i chiodatori almeno dalle associazioni e dai professionisti di settore. Le luci si sono spente con la netta sensazione che per gli attrezzatori di falesie si sia chiusa un’epoca. Se da un lato ci si augura che una certa dose di libertà e di anarchismo sia mantenuta come parte integrante dell’arrampicata, occorrerà sempre più fare i conti con vincoli, proprietà private e possibili responsabilità che necessiteranno anche in questo campo di adeguata formazione, in modo che vengano rispettati i più elementari criteri di sicurezza. Dunque, voi direte, falesie certificate e patentino per i chiodatori? Di questo non si è parlato espressamente, ma siamo certi che saranno gli argomenti sul piatto per i prossimi anni con cui occorrerà certamente confrontarsi.

Nel frattempo le guide alpine Faletti e Perrone non hanno perso tempo ed hanno organizzato, tra un convegno e l’altro, due stage di chiodatura in una nuova falesia dimostrando come in Italia qualche volta passi ben poco tempo tra pensiero e azione. Intanto le falesie di Salinella, gremite da una folla di arrampicatori stranieri e italiani, in una San Vito dal clima decisamente estivo, dimostravano ancora una volta il gradimento in decisa ascesa di questa località. Anche grazie ai numerosi eventi organizzati, alla qualità degli esercizi ed alla musica, che anche quest’anno ha allietato il festival con una serie di interminabili cover dagli U2 a Bob Dylan.

di Maurizio Oviglia

Resoconto convegno aree protette- Scarica il comunicato del Convegno aree protette organizzato dal Comune di San Vito lo Capo.

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