Perché non richiodare, oltre che a chiodare nuove vie d'arrampicata? Di Maurizio Oviglia

Arrampicata e sicurezza: Maurizio Oviglia esamina la necessità di richiodare vecchie vie d'arrampicata che mostrano segni di invecchiamento e pericolo.
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Sosta autocostruita con elementi da ferramenta non a norma, da sostituire
Maurizio Oviglia

Negli ultimi anni si è imposta sempre di più la necessità di richiodare le falesie storiche e le vie sportive a più tiri aperte negli anni ottanta e novanta, che hanno cominciato a mostrare evidenti segni di invecchiamento. Non è solo la ruggine a preoccupare ma, come ho denunciato nei miei numerosi articoli sul tema, anche la corrosione interna (SCC e pitting) dell’acciaio inox ha evidenziato a tutti la drammatica consapevolezza che molte falesie e multipiches attrezzate in vicinanza del mare non siano più sicure, anzi siano decisamente pericolose.

Nonostante questi recenti eventi e la campagna mediatica che ne è derivata, molti climbers sono ancora totalmente all’oscuro dei rischi che corrono ad arrampicare su certe vie. In questo senso una maggiore consapevolezza sarebbe auspicabile anche da parte dei chiodatori, ma questi paiono più interessati a chiodare nuove falesie e nuove vie, piuttosto che a richiodare quelle esistenti. In regioni come la mia, la Sardegna, gli spazi vergini sono tutt’altro che esauriti. Molti apritori hanno quindi deciso di destinare le loro vacanze (o addirittura cambiare la loro residenza) per venire qui a chiodare, dato che nelle loro zone di origine non è più possibile farlo. Quasi nessuno di essi, pur invitato, si è dimostrato interessato alla richiodatura di itinerari vecchi. Richiodare non dà infatti la stessa soddisfazione e visibilità mediatica rispetto a creare qualcosa di nuovo. In più, nel caso che questi progetti siano supportati da sponsor, questi difficilmente investono in una richiodatura. Eppure la necessità di riattrezzare le vecchie falesie è un problema con cui dovremo obbligatoriamente confrontarci nei prossimi anni, è decisamente insensato riempire tutti gli spazi vergini a disposizione con nuove vie (spesso non frequentate) lasciando invece andare alla deriva i siti storici, che sono invece conosciuti e sempre stati popolari.

Sebbene sia convinzione diffusa che la richiodatura di una falesia debba essere a carico delle amministrazioni pubbliche (io l’ho chiodata, ora il Comune si deve occupare della manutenzione!), talvolta, pur essendoci i finanziamenti, le lungaggini e gli scogli burocratici si dimostrano insormontabili o i lavori vengono affidati a soggetti non competenti in materia.

Il lavoro del volontariato, che ha creato gran parte del patrimonio di vie di arrampicata sportiva su cui possiamo contare oggi in Italia, è ancora - per fortuna - radicato e alla base della nostra attività. E’ però auspicabile un cambio di mentalità da parte nostra. E’ necessario che noi chiodatori dedichiamo un po’ del nostro tempo e della nostra attività annuale a risistemare ciò che già c’è e versa in cattive condizioni.

Alcuni climbers lo hanno capito già da tempo e dedicano parte del loro tempo a richiodare. Ciò è senz’altro encomiabile ma mi sono reso conto che, soprattutto da parte della nuova generazione, non si ha idea di come dovrebbe essere fatta una riattrezzatura. Paradossalmente è più facile chiodare che richiodare, soprattutto perché per mettere mano ad itinerari aperti da altri, andrebbero rispettate una serie di regole deontologiche non scritte di cui i giovani non hanno mai sentito parlare. A questo proposito mi è capitato che mi fosse chiesto il permesso di richiodare alcune mie vie in falesia ed io naturalmente l’ho accordato. Mi aspettavo di trovarvi qualche punto in più ma non immaginavo che alcune sarebbero state ritracciate, addirittura di una facendone due! "Ma tu ci avevi dato il permesso! Noi riattrezziamo così, come si fa oggi…" - mi è stato risposto… Mi sono dunque reso conto che io avevo dato per ovvie alcune "regole" che scontate non sono, perché spesso non son state tramandate dalla nostra generazione a quella attuale. Sono consapevole che ad alcuni già solo la parola "regole" provoca l’orticaria, ma si tratta di buone consuetudini in uso in tutto il mondo, che hanno sempre funzionato e contribuito alla pacifica convivenza. Provo quindi a scriverne qualcuna, invitando chi vuole venire a chiodare nuove vie in Sardegna a prendere in considerazione almeno la richiodatura di un vecchio itinerario. Sarà poco, ma un gesto importante nei confronti di tutta la comunità nazionale ed internazionale che visita e usufruisce delle vie dell’isola.

- per richiodare serve competenza, non improvvisazione. Se non siete chiodatori competenti dunque non iniziate mettendo mano alle vie storiche o di altre persone, potreste andare incontro a molte critiche, non del tutto ingiustificate!

- La necessità di richiodare una via nasce dalla consapevolezza del ritenere la stessa insicura o addirittura pericolosa per la comunità degli arrampicatori. I punti possono essere arrugginiti, la sosta a rischio. Spesso sono solo alcuni elementi della sosta ad esserlo (grilli, connettori) , ma quelli su cui di fatto grava tutto il peso dell’arrampicatore. Essi necessitano quindi di una sostituzione. Inoltre può essere necessario richiodare vie attrezzate sul mare o in vicinanza di esso con materiale non adatto al contesto (ad esempio acciaio inox AISI 304), anche se questo non dà evidenti segni di corrosione. E’ stato infatti dimostrato come esso possa rompersi con carichi irrisori, perché corroso internamente.

- Prima di richiodare è necessario informarsi presso il Comune su cui è posta la falesia se non siano in atto progetti di richiodatura. Se così fosse fareste un lavoro inutile, perché la ditta o la persona incaricata della richiodatura sarà obbligata a riattrezzare tutto, anche le vie eventualmente appena richiodate. Questo per evidenti questioni di responsabilità nell’utilizzo di soldi pubblici

- Tutto ciò premesso, quale materiale utilizzare? Le vie vanno riattrezzate con materiale non artigianale ma omologato (norma EN 959), di preferenza inox AISI 316. In zone direttamente esposte sul mare e particolarmente negli strapiombi, va utilizzato almeno acciaio HRC (sigla vaga in cui sono inclusi una gran quantità di acciai) o titanio. La scelta se utilizzare ancoraggi meccanici o chimici è a discrezione dell’attrezzatore, ricordando che nel caso si utilizzino resine, queste devono essere epossidiche ed il lavoro va eseguito a regola d’arte. E’ possibile usare ancoraggi zincati (non omologati) in zone lontano dal mare e di preferenza non su calcare giallo o granito rosso (dove rapidamente arrugginiscono).

- Come piantare i nuovi spit? Se decidete di rispettare le distanze che erano state stabilite in precedenza, non fate mai il nuovo buco a pochi cm da quello precedente ma almeno a 10 cm. Anche se non le vedete all’interno della roccia si creano delle microfratture che potrebbero in alcuni casi far fuoriuscire l’intera porzione di roccia dove è infisso lo spit. Questa regola è particolarmente importante per le soste!

- Le soste. Vanno preferite le soste chiuse (preparate) a due anelli rispetto a quelle assemblate artigianalmente con grilli e connettori con modesti carichi di rottura. Attenzione a questo proposito di non prevedere mai calate su maillon rapide non omologati o con la sola dicitura CE (che non è Conforme alle Esigenze ma China Export!)

- Linee etiche. Quando si mette mano ad un itinerario aperto da altri, ancor più se esso è storico, è buona norma contattare l’apritore. Su molte guide (nelle mie sempre!) è segnalato il chiodatore e oggi questo può facilmente essere contattato con i social network. Ad esso va chiesto non solo il permesso a richiodare la sua via ma anche e soprattutto l’autorizzazione a variarne (eventualmente) la posizione degli spit. Ogni variazione della linea, allungamento o accorciamento della stessa, va concordata con lui. Nel caso che l’apritore non sia più in vita, è bene chiedere il consenso alla comunità di scalatori locali. Nel caso invece sia una via tradizionale (anche solo parzialmente) e non sportiva, astenetevi dal chiodarla a spit senza prima un largo consenso, nonchè il permesso dell’apritore. (Ad esempio, estremizzando, se anche Igor Koller fosse d’accordo per la chiodatura a spit della "sua" via del Pesce, non credo che la comunità internazionale sarebbe dello stesso avviso!). Le stesse regole valgono per la schiodatura di vie aperte con gli spit e fattibili senza.

- Rimozione dei punti arrugginiti o insicuri. Richiodare non significa aggiungere ma soprattutto rimuovere i vecchi ancoraggi e questa è spesso la parte più faticosa e problematica. Soprattutto nel caso di zincati, la ruggine può talvolta impedire l’inserimento della chiave. Può essere quindi necessario l’utilizzo di barre in acciaio, scalpelli e flessibili per rimuovere il vecchio materiale.

- E’ bene infine informare tramite i media della richiodatura delle vie. E’ auspicabile infatti che venga datata non solo l’apertura ma anche la richiodatura e che essa sia poi riportata nelle relative guide.

Maurizio Oviglia (CAAI, Scuola Centrale CAI)




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