La Sicurezza in arrampicata sportiva: questione di materiali o cultura? Un incontro al Rock Master di Arco

Venerdì 29 agosto scorso nell'ambito del Rock Master Festival 2014 si è tenuto al Casinò di Arco (Garda Trentino) un incontro tra esperti, aziende e associazioni del mondo dell'arrampicata sportiva per dibattere e approfondire le tematiche riguardanti la sicurezza di questa attività sportiva. Il report di Giorgio Balducci.
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Il mitico Climbing Stadium ad Arco
Giulio Malfer
Che Arco sia un “laboratorio" agonistico/culturale trattando di arrampicata sportiva è cosa non soltanto risaputa, ma potremmo dire codificata. Ancor prima infatti dei suoi primi incontri col verticale agonistico della metà degli anni Ottanta e la nascita di Rock Master, la città del Basso Sarca trentino aveva raccolto un corposo gruppo di climber (si iniziava in quegli anni a impiegare comunemente il termine inglese al posto di scalatore) che non solo aprivano vie più o meno lunghe su difficoltà per i tempi altissime, ma che anche riflettevano sulle prospettive di questo che finalmente iniziava a essere considerato un vero sport, svincolandolo dalle pastoie un po’ misticheggianti della scalata vista come sport unito a un qualcosa d’altro non mai ben definito.

Dicevamo di Arco e in primo luogo di Rock Master laboratorio anche culturale se si parla di arrampicata sportiva. Un Rock Master che è stato anche motore e pungolo di molti interventi dell’ente pubblico per rendere “sicure" e facilmente praticabili molte falesie della zona. Un Rock Master privo di falsi pudori che non ha paura di esporsi e che nove anni fa decide di conferire riconoscimenti di grande prestigio, assegnati da un giuria internazionale, a chi in ambito agonistico e in quello su roccia (monotiro e boulder) ha saputo dare il meglio nel corso dell’anno precedente: Quando mai, solo pochi decenni prima, si sarebbe ammesso che esistono protagonisti unici di un’attività verticale meritevoli di un premio di eccellenza?

Dopo questa lunga e forse scontata premessa veniamo a quello che ha rappresentato nell’edizione 2014 del Rock Master Festival un momento di eccellenza culturale: per la prima volta si è aperto un dibattito - il primo di una lunga serie ne siamo certi - sulla sicurezza nell’arrampicata sportiva.

Per dovere di cronaca dobbiamo ricostruire come si è arrivati a questo focus.

Nel corso dell’ultima edizione del Salone di Friedrichshafen Outdoor Betta e Gioachino Gobbi (non mi trattengo nel dire che sono sempre stati due “visionari" proiettati nel futuro delle idee oltre che dei materiali) avevano sollecitato Vinicio Stefanello a promuovere all’interno di Rock Master un incontro sul tema della sicurezza nel climbing sportivo. Per il mondo alpinistico il tema non è certo nuovo per l’arrampicata sportiva in qualche misura sì. Vinicio e Angelo Seneci hanno capito subito quanto stimolante fosse un primo incontro su queste problematiche coinvolgendo aziende, gestori di strutture indoor di arrampicata, un docente universitario di Diritto Privato, a sua volta arrampicatore, per iniziare a scandagliare con strumenti culturali appropriati questo tema.

Ripercorrendo l’andamento del focus l’apertura è stata opportunamente affidata ad Angelo Seneci, i cui ruoli e competenze sono talmente vasti che è difficile riassumerli. Angelo, si sa, da anni progetta e costruisce con la Sintroc strutture di arrampicata un po’ ovunque in Europa. Ma non è solo questo che gli conferisce autorevolezza: la sua è infatti una conoscenza delle tematiche legate all’arrampicata sportiva, a tutto campo.

Le sue parole hanno chiarito quanto c’è di complesso attorno al termine “sicurezza" e quanto i materiali, per evoluti che siano, non possano sostituire la capacità di chi li utilizza. In particolare ha sottolineato come sia mutato lo scenario negli ultimi quindici anni con la diffusione delle sale di arrampicata, l'arrivo di centinaia di migliaia di praticanti spesso con limitate capacità di analisi del rischio connesso con il muoversi nella dimensione verticale, come questo apra nuove problematiche per i gestori delle sale, gli enti che attrezzano falesie, le aziende e le associazioni.

Guardando alle statistiche degli incidenti nelle sale indoor è evidente come l'arrampicata sportiva presenti un livello di rischio decisamente limitato ma come la maggior degli incidenti potrebbe essere facilmente evitata. I vari “aggeggi" di assicurazione, dai più semplici ai più progrediti, sono gestiti da una persona e non fanno tutto in modo automatico. In altre parole anche l’attrezzo assicuratore più elaborato e raffinato (non esistono assicuratori automatici, ma i più utilizzati in arrampicata sportiva sono tutti semi-automatici) sarà sempre controllato da mani più o meno esperte. E qui il grande problema! Quanta incompetenza si vede nell’assicurare un compagno? Direi tanta e direi che un elemento decisivo e riguarda l’informazione e la formazione di chi assicura. Indispensabili sono le istruzioni scritte che accompagnano gli attrezzi, ma è l’uso guidato da esperti che porta all’utilizzo corretto dell’attrezzo.

Quali azioni possono intraprendere i vari attori per ridurre ad un margine più accettabile il rischio di incidente nell'arrampicata sportiva? su questa domanda si è aperto il dibattito.

Venendo alle strutture indoor Nicola Tondini – guida alpina, ingegnere e gestore del Centro di Arrampicata King Rock - ha anch’egli sottolineato l’importanza di un corretto comportamento: "quante volte abbiamo dovuto richiamare i frequentatori della nostra struttura a un corretto uso degli attrezzi e quanti errori vengono commessi!" ha più volte sostenuto. Dopo diversi anni di attività del Centro gli incidenti seri sono stati per fortuna soltanto cinque e le telecamere posizionate per controllare tutta la struttura hanno sempre dimostrato che la causa dell’infortunio dipendeva da un errore umano.

A questo punto però, in un periodo di grande litigiosità di carattere giuridico, l’intervento del prof. Carlo Bona - docente di diritto privato all'Università di Trento - è stato di grande interesse e importanza. A livello giurisprudenziale esiste quasi il nulla su questa materia che per lo più riguarda l’ambito civile (in altre parole i risarcimenti). Carlo Bona ha parlato della tendenza da parte dei Giudici nel distribuire su più soggetti le responsabilità economiche che in genere individuate. Bova ha caldamente consigliato chiunque operi in questo settore (gestori, guide alpine, ecc) di accendere assicurazioni corpose per fare fronte a una imposizione di risarcimento che il giudice commina.

Costretti a tenerci a freno nel dilungarci su questi temi, veniamo ora alle aziende. E iniziamo subito da Grivel e quindi da Gioachino Gobbi che ha portato con sé un vecchio casco, celebre in imprese epiche.

Lo vediamo coi nostri occhi quanto il casco venga poco utilizzato in falesia e quanto ancor meno, anzi proprio per niente, nelle strutture. Gobbi ha dimostrato con molta chiarezza l’importanza del casco in ogni occasione verticale. Si può battere violentemente il capo per più motivi anche nelle strutture (ribaltamento, caduta del compagno che scala sopra chi assicura se non è decentrato rispetto alla linea di una possibile caduta di chi arrampica, colpi violenti contro la struttura stessa). Il mondo della bicicletta, dello sci e del freeride su neve hanno tanto da insegnare al praticante dell’arrampicata sportiva. Oggi sulla neve e in bicicletta, per esempio, indossare un casco che abbia un buon appeal è molto trendy e così dovrebbe essere anche nell’arrampicata sportiva.

Chi non ha mai usato il GriGri? Beh, crediamo nessuno. Questo attrezzo Petzl è stato e continua ad essere un elemento cult che ogni arrampicatore usa, seguito a ruota da altri assicuratori destinati a corde sottili, il Cinch di Trango, e tra breve in commercio il tanto atteso Matik di Camp che è studiato per avere un’importante funzione anti panico da parte dell’assicuratore. Tutto bene, se chi usa questi attrezzi è ben “attrezzato" nel farlo, diversamente questi utilissimi assicuratori potrebbero rivelarsi dei boomerang di grande pericolosità.

Parlando di chiodatura, punti sosta e così via, abbiamo nel nostro Paese un’azienda di eccellenza, la Raumer e nell’intervento del suo proprietario abbiamo capito quanto delicato sia costruire e poi mettere in opera spit, resinati, catene con più punti di ancoraggio. A chi affidare questo compito? Le guide sostengono, con buone ragioni, che dovrebbero essere loro, ma purtroppo in Italia non c’è nessuno corso di formazione su questo. E qui non possiamo almeno non esprimere il concetto di auto responsabilità: chiunque si alzi anche soltanto due metri da terra e chiunque lo assicuri devono assolutamente essere responsabili e coscienti di quanto fanno e non affrontare le cose con incompetenza e leggerezza..." tanto l’arrampicata sportiva non presenta rischi!".

Veniamo infine alle associazioni presenti al focus. La FASI-Federazione Arrampicata Sportiva Italiana con il suo presidente Ariano Amici, al Cai con la presenza di Antonio Radice – presidente della Commissione Nazionale Scuole Sci Alpinismo, Alpinismo e Arrampicata Libera e alla Lega UISP Montagna con l’intervento di suo presidente Santino Cannavò. Tutti e tre hanno ribadito il ruolo della formazione come elemento con l’aiutio anche di istruttori certificati e guide alpine.

Una sintesi di quanto ci siamo detti ad Arco, una sintesi che però vuole essere il primo passo per un percorso di incontri e approfondimenti che anche la stampa e il web dovrebbero diffondere con costanza e che potrebbe portarci molto avanti parlando di sicurezza e consapevolezza. L’arrampicata sportiva è generalmente sicura, ma c'è sempre un però...!

di Giorgio Balducci



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