Un punto di vista: la montagna in fase 3 Covid-19

Guido Luccisano e Matteo Michelini, appassionati alpinisti, condividono il loro punto di vista circa le attività di montagna nella futura cosiddetta fase 3 del COVID-19.
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Gli alpinisti Guido Luccisano e Matteo Michelini
Guido Luccisano, Matteo Michelini

Premessa
Noi che scriviamo queste righe sulla montagna in questo periodo di grande prova per il nostro Paese, non siamo né epidemiologi, né esperti di economia e neppure ricopriamo ruoli professionali in montagna.

Tuttavia, compatibilmente a lavoro e professione, abbiamo dedicato e dedichiamo la nostra vita all’arrampicata e all’alpinismo, con entusiasmo, impegno, passione e sempre crescente desiderio di avventura.

Vorremo anche evidenziare che ciò che sappiamo fare, tutto quanto di bello abbiamo vissuto in montagna e che ancora vivremo, lo dobbiamo a chi, negli anni della nostra giovinezza, ci ha seguito, insegnato e corretto con grande competenza e professionalità.

Questa, quindi, lungi dall’essere un’analisi di fonte autorevole o specializzata, propone soltanto uno spunto di riflessione, un semplice punto di vista.

Punto di vista circa l’alpinismo, l’escursionismo, e, in generale, le altre attività che si svolgono in ambiente, subito dopo che l’Emergenza COVID-19, in Italia, sarà rientrata.

Scenari di maggiore responsabilità.

"La montagna sa aspettare" si è scritto di recente, e noi crediamo sia vero. Vista la passione, la nostalgia e il desiderio che la Montagna lascia nelle vite dei suoi amanti, però, crediamo che la sua attesa non durerà più di tanto... e ciò, a nostro modo di vedere, sarà davvero un bene. Ma speriamo e vogliamo credere che si imporrà, forse e finalmente, un diverso modo di farLe visita.

Vi è da sempre la necessità che cambi il modo delle persone di frequentare la montagna, soprattutto a motivo della spesso scarsa preparazione e delle insufficienti capacità di valutazione.

Crediamo che oggi, a ridosso dell’epidemia, tale esigenza di cambiamento si imponga ancora di più e con maggiore cogenza, non soltanto nella prospettiva della sicurezza individuale, ma anche dinnanzi a parametri di responsabilità più ampi, diremmo sociali.
Maggiore preparazione è ed è sempre stata garanzia per sé e per il personale del soccorso alpino, certo, ma oggi può significare anche un atteggiamento responsabile di protezione sociale e prevenzione del rischio contagi.

Oltre a ciò, una migliore preparazione dovrebbe facilitare anche a livello psicologico il ritorno alla montagna, grazie "al recupero" di quel grande deficit di fiducia che, pure in termini di percezione soggettiva, l’esperienza del COVID-19 ci pare stia lasciando dietro di se.

Un ruolo centrale sotto tutti questi profili, sempre a nostro parere, spetterà alle Guide Alpine e ai Rifugisti. Ma proviamo a spiegarci meglio.

Modelli di organizzazione per il ritorno alla normalità: libertà di spostamento e attività ricettive.
Superato il primo picco epidemico, l’esigenza centrale sarà contenere il virus per il periodo di tempo necessario allo sviluppo di un vaccino o, comunque, a pervenire ad una sufficiente immunità nella popolazione. Le esigenze di salute pubblica, però, sono poste in bilanciamento con l’altro, fondamentale, interesse del paese: la tenuta economica e sociale del sistema.

La tendenza attuale parrebbe per la programmazione della riapertura, anche se progressiva e scaglionata, di tutti i settori dell’economia.

In Italia l’impatto complessivo sul PIL delle sole attività ricettive, tenuto anche conto degli effetti “indiretti” e “indotti”, secondo le stime del WTTC, incide in misura superiore al 13%. Ciò senza avere riguardo al settore ristorazione, sport, servizi e prodotti commerciali aggregati.

Senza alcuna velleità di preveggenza, ma visti i fatturati e l’incidenza complessiva del comparto sull’occupazione e sul PIL, non crediamo che turismo e attività ricettive vengano relegati in coda alle attività in riapertura. Piuttosto auspichiamo che si trovino soluzioni tecniche e logistiche per consentire una rapida, ancorché graduale, ripresa del settore.

Ora, "l’antecedente logico" rispetto alla ripresa delle attività ricettive dovrebbe essere la rimozione progressiva dei limiti agli spostamenti. La libertà di movimento, tuttavia, rimarrà vincolata alla conservazione di alcune misure restrittive soggettive, in particolare quelle di distanziamento sociale, di utilizzo dei dispositivi di protezione individuale, di limite e fors’anche divieto dell’uso di spazi condivisi che ostino al distanziamento, e di sanificazione sistematica dei luoghi di ricettività.

Ansia da contagio e percezione di insicurezza diffusa: il luoghi di assembramento.
Il ritorno alla “normalità” sarà però accompagnato da paure sociali più o meno razionali, eredità della esperienza COVID-19.
Sotto il profilo delle percezioni tali “paure” paiono in buona parte dovute alla “mediatizzazione” dell’epidemia e, in particolare, all’evidenza che si è data giornalmente alle conseguenze nefaste del contagio “in uno” con la prospettazione di un sistema sanitario in fortissimo stress.

Vari studi confermano che l’impatto mediatico di queste evidenze sta producendo nella collettività un senso di ansia diffusa, di paura e diffidenza nei confronti dell’altro.

Si prevede, quindi, che il ritorno alla normalità (intesa come “fase tre” e ripristino graduale dello status quo ante rispetto l’epidemia) nella frequentazione di strutture aggregative ed altri luoghi di assembramento sarà assai lenta e sofferta.

La tendenza di breve (ma crediamo anche di medio) periodo potrebbe essere quella ad evitare il più possibile i luoghi e le località che per definizione implicano occasioni di prossimità fisica tra persone.

La Montagna come luogo di distanza dal “mondo”.

Noi che scriviamo abbiamo sempre trovato nella montagna il nostro “rifugio lontano dal casino”.

Un luogo incantevole e solitario dove poter “vivere” una vita diversa, secondo noi più vera, una libertà più piena ed essenziale, intrecciando relazioni molto più rade ma più forti e durature, autentiche e sincere.

È vero che, soprattutto nelle località più gettonate di fondo valle, spesso le concentrazioni turistiche sono tutt’altro che irrilevanti. Ma poco sopra le medesime località, dove l’asfalto capitola progressivamente allo sterrato e questo cede al sentiero nelle abetaie, si ha sempre il modo di trovarsi soli o ben distanti dagli altri, anche nei periodi di alta stagione.

Ciò è ancora più vero laddove, finiti i percorsi turistici, si arriva “al cuore” della montagna, agli alpeggi, alle enormi pietraie, ai ghiacciai, sotto pareti da vertigine.

In questo senso la Montagna, a nostro giudizio, può essere il luogo di “distanziamento sociale” per eccellenza, il primo luogo cui, magari, fare ritorno.

Maggiore impatto delle variabili connesse al rischio tipico dell’attività in ambiente: riorganizzazione del sistema sanitario, rischio contagio e senso di responsabilità.
Se da un lato la Montagna costituisce – almeno secondo noi - il primo ambiente ideale cui fare ritorno, d’altro lato come si è detto, presenta una classe variegata di criticità. Parliamo dei rischi oggettivi (connessi all’ambiente) e di quelli soggettivi (legati alla preparazione di ciascuno).

Fare montagna deve presupporre la consapevolezza di assumere un rischio multifattoriale la cui minimizzazione non può che essere affidata all’esperienza, alla preparazione fisica e tecnica, all’attrezzatura, alla pianificazione degli itinerari e delle possibilità di ritirata.

Ci sembra di essere realisti, poi, affermando che si è anche favoriti dalla consapevolezza della competenza e prontezza del soccorso alpino e, soprattutto, dalla percezione di stabilità del sistema sanitario ed ospedaliero nazionale. Se dovesse succedere qualcosa, in altri termini, si sarebbe comunque protetti.

A tale riguardo, tra le “ferite fresche” che il COVID-19 lascia dietro se, ci sembra di poter individuare la percezione di un sistema sanitario fortemente provato. I media hanno anche proposto le strutture ospedaliere come centri di focolaio del virus.

Per questo motivo - ci pare verosimile – si avranno per qualche tempo remore, riluttanze e paure a finire, per qualsiasi ragione anche banalissima, in pronto soccorso. Questa “paura” potrebbe fungere da dissuasivo alla frequentazione dell’ambiente montano (rischioso).

Chi scrive, in realtà, è fortemente convinto che il sistema ospedaliero sia in fase avanzata di riorganizzazione ed abbia assunto strategie efficaci di gestione del COVID-19. Facciamo riferimento alla de-localizzazione delle strutture “COVID-adibite”, al potenziamento enorme delle attrezzature, alla acquisita competenza virologica di tutto il personale sanitario e alla rimessa in pristino dei reparti di traumatologia.

Tuttavia un sano principio di precauzione e il dovuto senso di responsabilità dovrebbe condurre ciascuno di noi ad evitare quelle “avventure” che ci pongono innanzi a pericoli che potremmo non saper gestire.

Vi è il rischio, infatti, che l’incidente in montagna oltre che “rovinare la nostra giornata” e porre a rischio l’incolumità dei ragazzi del soccorso, costituisca anche, per tutte le persone citate e per le loro famiglie, una occasione di contagio.

Maggiori preparazione e pianificazione come fattori di svolta: il ruolo centrale delle scuole di montagna, dell’accompagnamento professionale e della “risposta” dei rifugi alpini.

Che grande parte degli incidenti di montagna sia dovuta a scarsa preparazione, mancanza di attrezzatura e pianificazione logistica, superficiale valutazione delle variabili e, talvolta, finanche, completa e irrazionale sottovalutazione o inconsapevolezza del rischio non è un mistero. Tali “leggerezze”, che erano già intollerabili in passato, lo sono oggi a maggiore e più evidente ragione.

Si tenga anche conto del fatto che, a seguito dell’epidemia, è probabile che le ultime a riaprire saranno le strutture che per prime sono state chiuse e cioè gli impianti di risalita/discesa.

In tal senso l’adeguata pianificazione della logistica e delle possibilità di ritirata, bivacco e pernottamento in quota, sarà essenziale: è verosimile infatti che alcuni itinerari che si riuscivano ad effettuare in giornata grazie agli impianti, necessiteranno di più giorni in loro assenza.

Pensiamo (ed auspichiamo) che questo coinvolgerà sin da subito i gestori dei rifugi, cui spetterà il compito di ri-attivare le strutture e organizzarle in modo da rispettare per quanto possibile i parametri di distanziamento, imponendo l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale.

Inoltre, ogni volta che si affronta, ad esempio, una salita alpinistica o anche un semplice trekking si dovrebbero valutare attentamente tutti i fattori coinvolti: si dovrebbero studiare le relazioni, ponderando i gradi di difficoltà tecnica, la proteggibilità della linea, l’impegno globale, la tipologia di salita, le possibilità di ritirata, la complessità della discesa e gli altri elementi logistici, anche in rapporto alla condizione fisica e psicologica di ciascuno.

Si dovrebbe valutare lo stato e le qualità della roccia, della neve o del ghiaccio in rapporto alla evoluzione dei fenomeni atmosferici.

Si tratta delle valutazioni minime necessarie alla sicurezza che, però e come i fatti dimostrano, non tutti i frequentatori della montagna sono in grado di effettuare.

Ecco perché pensiamo che tornare alla montagna nel futuro di breve periodo, cioè a ridosso del termine della crisi epidemica (c.d. fase 3), non possa che implicare l’assunzione di responsabilità anche sociali, e per questo richieda maggior competenza, preparazione e pianificazione.

In tal senso le Guide Alpine e le loro scuole di montagna – a nostro modo di vedere - avranno un ruolo di rilievo.
Coinvolgere in un’uscita le professionalità in questione, infatti, da un lato avrebbe l’effetto di alleggerire della responsabilità i partecipanti minimizzando anche le preoccupazioni connesse alla associazione di idee tra imprevisto/incidente e rischio contagio.

Dall’altro lato, ben più oggettivamente, la presenza di una Guida andrebbe ad abbattere in modo deciso i margini di errore nelle valutazioni e, in caso di imprevisti, dovrebbe limitare la probabilità se non completamente evitare che la situazione degradi nell’incidente. Oggi come oggi, si è detto, ciò ha un valore (di solidarietà e protezione dell’altro) in più.

Conclusioni

Il grande desiderio di fare presto ritorno in montagna, per le considerazioni svolte e sempre secondo noi, dovrebbe essere assecondato ed esaudito ma nella consapevolezza della maggiore responsabilità che ciascuno assumerà anche a livello sociale.

Ciò senza che si strutturino e si consolidino “paure” o “posizioni preconcette” ma intervenendo meglio nella fase della preparazione delle uscite e all’occorrenza, giovandosi di coloro che, professionalmente, si occupano dell’accompagnamento in montagna.

La nostra speranza è di rivederci presto e di nuovo tutti sotto quelle pareti o in cima a quelle vette che colorano i nostri ricordi e popolano i nostri sogni in queste notti di quarantena.

Guido Luccisano e Matteo Michelini

Avvocato (societario e mercati finanziari) il primo e operaio metalmeccanico (gestione macchine a controllo numerico) il secondo, scalano insieme come cordata fissa da una vita (con specialità ghiaccio). Quelle che hanno espresso sono considerazioni scaturite parlando e documentandosi in questo mese di vita claustrale.




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