Le miniere di Cogne, in bilico tra Memoria e Futuro - Prima parte

Il 31 ottobre, con la cessazione definitiva della concessione mineraria, si chiude una parte importante della storia di Cogne e della Val d’Aosta. E si pone con urgenza la questione del recupero delle miniere di magnetite. Prima di 2 puntate di Simonetta Radice
In alto, sottoterra.

Immaginate una piccola città, diciamo pure un borgo, a 2500 metri, sulle pendici del monte Creya. Un panorama di prim’ordine: la Punta Sengia, Il gruppo del Gran Paradiso, la Grivola e il Monte Bianco. Più in basso, i prati di Sant’Orso e il Villaggio di Cogne. C’è un cinema, un barbiere, una chiesa, anche una biblioteca e la bocciofila più alta d’Europa. Ci sono duecento persone che ci vivono. C’è una teleferica che permette di scendere al paese, ma solo a chi tiene famiglia, una volta alla settimana.

A questo punto è ovvio che il villaggio di Colonna – questo è il suo nome - non è un borgo come gli altri. E infatti stiamo parlando dell’avamposto più alto delle miniere di Cogne, o forse potremmo addirittura dire dell’avamposto più alto di Cogne, tanto forte è sempre stato il legame tra la comunità montana e il suo giacimento di magnetite, anche dopo il 1979, anno di chiusura ufficiale.

“Il primo giorno di lavoro ho avuto un po’ di paura, io non avevo mai lavorato in miniera, c’erano dei forti rumori. Avevo paura di tutto, sentivo scendere i minerali nei pozzi ma non sapevo ancora cosa volesse dire, percepivo solo il rumore che strisciava dentro la montagna” (1) E’ il racconto di Benvenuto Mei, che lavorò nella miniera negli ultimi dieci anni di attività.

Il primo turno inizia alle 6 di mattina, cento uomini scendono nelle viscere della montagna e a gruppi di dieci iniziano a lavorare e a scavare ai diversi livelli. La temperatura è di 6/7 gradi, tutto l’anno. E’ una vita dura, ma è una fatica che si finisce per amare.

“In vita mia non ho mai pensato di abbandonare la miniera, né di fare qualcos’altro. Per me il minatore è l’ultimo mestiere che c’è.” (2) Dice ancora Benvenuto Mei.

Un filo rosso

La storia di Cogne si lega a doppio filo con quella della sua miniera, basti pensare che le prime testimonianze di questo tipo di attività sono documentate a partire dal 1433. Una fase particolarmente importante e portatrice di relativo benessere al villaggio alpino risale all’opera del dottor Grappein che, sindaco nei primi anni dell’Ottocento, ebbe il merito di tentare una gestione comunitaria della miniera e di costruire la strada che collega Cogne a Vieyes.

L’esperimento ebbe però breve vita e si dovrà aspettare l’inizio del Novecento per dare nuovo impulso alle miniere, quando il belga Alfred Theys fonda insieme al Conte Van der Straten Ponthoz la Società Anonima Miniere di Cogne e valuta in oltre cinque milioni di tonnellate la consistenza del giacimento.

Piccole industrie crescono

Il complesso di Colonna nasce proprio in questi anni: nel 1917 la società viene incorporata nella “Gio. Ansaldo” che costruisce l’acciaieria di Aosta e, nel 1922, la ferrovia sotto il colle del Drinc, che collega Cogne ad Acque Fredde e per quei tempi rappresenta, con i suoi 12 km dei quali 8 in galleria, la ferrovia a scartamento ridotto più lunga d’Europa.

Come funziona quindi il ciclo produttivo? Il minerale viene estratto alla quota di 2500 mt, trasportato su teleferica fino a località Moline a 1520 m e qui frantumato e caricato sul trenino che lo trasporta sino ad Acque Fredde. Una seconda teleferica copre infine l’ultimo tratto del percorso fino ad Aosta.

Franz Elter e il culmine di un’epoca

Dal 1927 viene costituita la Società Anonima Nazionale Cogne a partecipazione statale sotto la direzione del mitico Franz Elter, che nell’immediato dopoguerra giocherà anche un ruolo fondamentale anche nella lotta per la liberazione nella valle. Con l’introduzione di metodi di coltivazione innovativi, Elter diventa presto il principale protagonista dello sfruttamento del giacimento minerario nonché uno dei principali esperti minerari italiani.

A partire dagli anni 30, la Cogne conosce un periodo di espansione – grazie anche al grande numero di commesse negli anni del conflitto – che porterà fino a diecimila il numero totale dei dipendenti. Arrivano da tutta Italia i minatori della Cogne: dal Veneto alla Sardegna, dalla Lombardia alla Calabria. Nel 1940 vengono estratte 350 mila tonnellate di minerale.

“Io ho sempre percepito la miniera come una risorsa enorme per una comunità come quella di Cogne. Il nostro sogno fin da ragazzi è sempre stato quello di poter andare a lavorare in queste miniere” (3) racconta Osvaldo Ruffier, anch’egli minatore e successivamente sindaco di Cogne.

“Mi ricordo quando ero piccola” dice invece Bruna Bertino, addetta all’amministrazione “che quando mio padre scendeva da colonna portava la biancheria da lavare in casa: avevano un odore stranissimo (…) mi sembra di sentirlo ancora adesso, quell’odore nelle narici, di queste tute, di questi indumenti che provenivano dalle viscere della montagna.” (4)

La crisi

Nonostante i primi segnali della crisi fossero evidenti fin dai primi anni 40, la Cogne continua l’attività fino alla fine degli anni 70. In questo periodo viene abbandonato il complesso di Colonna, l’attività trasferita alla stazione intermedia di Costa del Pino e inaugurato il Villaggio dei minatori a Moline, con i suoi sei edifici che garantiscono tutti i servizi e ospitano fino a 400 persone.

Con il passare degli anni la Cogne diventa però sempre meno competitiva, essenzialmente per via della concorrenza nazionale e internazionale e l’economia del borgo si sposta inevitabilmente verso il turismo,. L’attività chiude definitivamente i battenti nel 1979, mentre la concessione mineraria cesserà definitivamente il 31 ottobre 2013, quando si porrà la parola fine anche sui lavori di manutenzione ordinaria che fino a oggi sono stati eseguiti dagli ultimi dipendenti della società.

Sono ancora le parole di Benvenuto Mei che ci accompagnano durante l’ultimo giorno di attività delle miniere. “L’ultimo giorno prima chi chiudessero ero molto triste. Noi tutti volevamo il lavoro nelle miniere di Cogne, anche se era duro. (…) Il lavoro in miniera ci ha insegnato la solidarietà e poi ci ha permesso molte cose, a noi e alle nostre famiglie.”

Che cosa rimane e che cosa rimarrà di tutto questo, una volta definitivamente cessata la concessione mineraria? Che cosa vede, che cosa percepisce il turista che arriva a Cogne della storia che ha plasmato il borgo? Siamo ancora capaci di ascoltare la voce delle rovine del nostro quotidiano, di astrarci dal vortice di un presente che sembra fagocitare ogni cosa e che esternalizza la memoria ai motori di ricerca? La storia delle miniere di Cogne è tutt’altro che finita…

di Simonetta Radice

1) Giò Gozzi, “Cogne, Miniere e Minatori”, Milano, FBE Edizioni, 2009, pag 90 e seguenti
2) Ibidem, pag.50
3) Ibidem, pag 72
4) Ibidem, pag 110

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