Una festa per Lino d’Angelo, il simbolo dell'alpinismo sul Gran Sasso

Domenica 20/09/09 a Pietracamela (Te) Lino D’Angelo, pretarolo, Guida Alpina Emerita e Aquilotto del Gran Sasso, è stato festeggiato per la sua prestigiosa attività alpinistica con la nomina a socio onorario del Club Alpino Italiano.
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Da sinistra Pierluigi Bini, Luca Mazzoleni, Lino D'Angelo, Roberto Ianilli, Luigi, Corrado Colantoni.
arch. Mazzoleni
Tutte le montagne hanno le loro leggende, i loro uomini simbolo. E non c'è dubbio che per il Gran Sasso uno dei simboli più cari agli alpinisti sia proprio Lino D’Angelo, che su quelle pareti e per quella montagna ha speso, e continua a spendere, l'infinito amore di tutta una vita. Meritatissima dunque la nomina a socio onorario del Club Alpino Italiano. Come meritata è la festa che gli hanno dedicato la Sottosezione di Pietracamela e la Sezione di Isola del Gran Sasso del Cai, insieme con tutta la cittadinanza di Pietracamela. Domenica scorsa erano in molti a festeggiare l' “Aquilotto del Gran Sasso”, tutti uniti dall'amore per la fantastica montagna e per quest'uomo che ne rappresenta la storia. Tra loro anche alpinisti come Pierlugi Bini e Roberto Iannilli che certo, come D'Angelo, con il Gran Sasso da lungo tempo hanno intrattenuto un “dialogo” e una frequentazione del tutto particolare. Non a caso proprio a Iannilli abbiamo chiesto di presentarci la figura di Lino D’Angelo.

LINO D'ANGELO di Roberto Iannilli

“Vi faccio una confidenza; ho amato tutta la vita il Gran Sasso e vi dico, continuiamo ad amarlo!” Con queste parole domenica sera Lino d’Angelo ha ringraziato per la sua nomina a socio onorario del Club Alpino Italiano, un riconoscimento dovuto per un personaggio che è parte della storia dell’alpinismo italiano.

Lino ha lasciato segni indelebili e sulle pareti del Gran Sasso, le sue vie hanno formato la vita alpinistica dei migliori scalatori di questa montagna da amare, sono per tutti noi un punto di riferimento, un percorso obbligato per entrare in sintonia con il calcare del Gran Sasso. La sua umanità e modestia, il suo essere sempre vero, senza atteggiamenti, ne fanno un personaggio che indica la strada in tutti i sensi, sia in quelli umani, che in quelli concreti delle fessure o placche che ha salito per primo, tracciando le sue linee ideali verso la vetta.

Non occorre fare la cronistoria di Lino, chi arrampica al Gran Sasso immancabilmente incontra i suoi “segni”; non è possibile fare alpinismo su queste pareti e non conoscere le sue vie. Se si fa alpinismo per passione, inteso come il modo migliore per vivere a pieno l’ amore per la montagna e sentirsene parte, le vie di Lino sono un automatico passaggio. Dai diedri minacciosi del Paretone alle solari placche delle Spalle, Lino è stato un precursore, l’ alpinista che sapeva prima degli altri interpretare quello che la montagna indica a tutti, ma in un codice che non a tutti è dato comprendere. Lui ha sempre avuto questa capacità, ha letto nelle pieghe che il tempo ha scavato sulle pareti il percorso ideale per salire, per compiere questo meraviglioso gioco semiserio che è l’ alpinismo. Lino ha infatti sempre “giocato” nel modo giusto con il suo amore, senza prendersi mai troppo sul serio e senza mai farsi prendere troppo dal gioco; con un entusiasmo che ancora oggi è contagioso.

Insieme al fior fiore dell’alpinismo romano, Franco Cravino e Silvio Jovane, inizia a lasciare il segno sul Monolito nel 1956 con la superclassica “Via del Monolito”, allora parete considerata quasi inviolabile. Da quel momento, per trenta anni, con regolarità disegna su queste rocce il suo alpinismo, su ogni terreno, un vero “esploratore del verticale”, fino al 1985, con la sua ultima creazione, la “Aquilotti 85” sulla Terza Spalla del Corno Piccolo. Una lunga serie di vie, molte denominate “Aquilotti”, a ricordare il glorioso gruppo di scalatori del Gran Sasso versante Teramano, gli “Aquilotti di Pietracamela”. Inaugura così la serie delle “Aquilotti”, seguite dalla sintesi dell’ anno di apertura, la 72 la 73 74 75 79 … Via di ogni genere su ogni parete del gruppo, mai banali, spesso durissime ai tempi e temute ancora oggi. Itinerari classici se non troppo estremi, o mitici, se troppo difficili da diventare classici. E non ci sono solo le “Aquilotti”, quando l’ anno dell’ aquilotti di turno era già assegnato, i nomi cambiano. Non la sostanza però, e vie come “Lo spigolo delle Guide” restano una prova impegnativa ancora oggi.

In inverno come di estate, Lino scorrazza per rocce e pendii ripidi di ghiaccio. Insieme a Luigi Muzii, nel febbraio del 1967 tenta la nord del Camicia in prima invernale. Le condizioni sono da Antartide e le colonne di ghiaccio che precipitano nel Fondo della Salsa scandiscono il tempo. Sono costretti ad affrontare una discesa epica su una parete che quando decide di essere ostile non concede vie di fuga agevoli. Una discesa durata dodici ore in condizioni al di là dell’immaginabile, dove l’alpinista deve essere vero montanaro, sentirsi creatura del posto, dove scendere significa arrampicare in discesa senza possibilità di protezione. Un’avventura che non porta al risultato sperato, non porta alla vetta, ma che resta un’impresa di grande alpinismo, quell’ alpinismo che non finisce negli annali ma che da la misura della capacità di un alpinista di vivere la montagna senza compromessi e in tutte le condizioni, la qualità di un uomo che ha fatto della montagna la sua vita.

Lino vive la sua montagna da protagonista anche oggi, non è un reduce. Anche se gli anni sono tanti egli è sempre aggiornato, sa come viaggia l’alpinismo sulle sue pareti, conosce i protagonisti e tutti lo tengono come riferimento. Incontrarlo in montagna è abbastanza facile e ogni volta si resta affascinati dal suo modo dolce ma fermo, dal suo raccontare ricco di insegnamenti. Stringergli la mano è sentire il calore di chi condivide un amore e sa trasmettere questa passione.
Grazie Lino!

Roberto Iannilli, 21 settembre 2009



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