Steve House, ripensando alla Via degli slovacchi sul Denali

17 anni dopo quella salita che ha segnato un'epoca, l’alpinista statunitense Steve House ripensa alla velocissima ripetizione della Diretta Slovacca alla Sud del Denali (Alaska) effettuata insieme a Mark Twight e Scott Backes in 60 ore non stop.
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L'alpinista statunitense Steve House
Steve House archive

Prendendo spunto dalla recente ripetizione della Diretta Slovacca al Denali (6194m) da parte di David Bacci e Luca Moroni in 5 giorni, abbiamo chiesto a Steve House di ricordare la strepitosa salita del 2000 effettuata insieme a Mark Twight e Scott Backes in 60 ore di arrampicata non-stop. All’epoca la loro salita - soltanto la terza dopo l’apertura in 11 giorni nel 1984 di Blažej Adam, Tono Križo e František Korl e dopo la prima ripetizione in 7 giorni da parte di Kevin Mahoney e Ben Gilmore - ha segnato un radicale cambio di concezione sul perché e sul come si fa una salita. Meglio: ha trovato motivazioni che partendo dalla via e dalla montagna cercavano veramente di conoscere se stessi. Il tutto sperimentando volontariamente un percorso ed un metodo - difficile e in qualche modo anche “folle” - che li portasse oltre quei loro limiti fisici e mentali mai sperimentati. Il risultato è stata una salita epica se non unica nel suo genere (leggere il libro di House Oltre la Montagna per crederci). Un’esperienza che si basava sulla cordata e su un viaggio che si proponeva di andare oltre i confini dell’usuale modo di pensare. E’ stata la ricerca di un'illuminazione e di una visione ma anche e soprattutto, come sintetizza Steve House qui sotto, un’esperienza allo stesso tempo formativa e indimenticabile.


NON-stop Slovak Direct
di Steve House

Il nostro sogno sulla Via degli slovacchi è stato quello di spingerci fino al limite di quello che pensavamo fosse possibile e vedere cosa ci sarebbe successo. Non ci importava di ripetere la via (abbiamo perso la seconda salita per poche settimane perché un team, all’epoca sconosciuto, aveva salito la via un mese prima di noi). E non ci importava nemmeno stabilire un record di velocità o di tempo. Vedevamo quella che credo sia ancora adesso la via più difficile e più bella del Denali, e abbiamo intravisto una maniera per forgiarci. Un luogo in cui avremmo potuto entrare per poi uscirne trasformati. Ri-formati. Temprati.

E’ stato molto importante che noi tre fossimo così uniti. Ed era importante che in ciascun rapporto noi ci sentissimo così uniti. Scott e Mark avevano e hanno ancora rapporti molto stretti per le molte esperienze che hanno vissuto come cordata e sono amici da una vita. Scott ed io abbiamo trascorso del tempo importante insieme, soprattutto con la salita della via M-16 sull' Howse Peak nel 1999. E in precedenza Mark e io avevamo trascorso del tempo insieme in diverse spedizioni in Alaska. Ancora oggi 16 anni dopo, siamo rimasti molto amici.

Quel mettersi alla prova ha funzionato. Abbiamo imparato cose nuove su noi stessi e sugli altri. Abbiamo sperimentato quanto fosse forte la nostra volontà di vivere, di essere vivi e di abbracciare in pieno la vita. Più ci avvicinavamo a quel punto di dis-ordine (abbiamo sbagliato via e e abbiamo dovuto fare alcune doppie), più abbiamo sentito rafforzarsi la nostra voglia di salire, di vivere. Quando siamo arrivati ​​in cima eravamo, stranamente, pieni di energia. Siamo quasi scesi di corsa, fino al campo a 14.200 piedi, in poco più di due ore. Quel processo ci ha svuotati e ci ha riempiti. La salita ci ha quasi distrutti, ci ha resi deboli, ci ha quasi uccisi, ma siamo semplicemente diventati più forti. E ancora oggi abbiamo quella forza.


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