Renzino Cosson, il Tacul e le leggi della montagna e della natura

Intervista a Renzino Cosson, fortissimo alpinista, guida alpina e grande conoscitore del Monte Bianco, dopo l’incidente al Monte Bianco du Tacul che domenica 24 agosto è costato la vita a 8 alpinisti. Un’occasione per parlare anche delle “regole” della natura e dello spirito dell’alpinismo.
Il bilancio dell'incidente sul Mont Blanc di Tacul causato dal crollo di un seracco che, nelle prime ore di domenica scorsa, ha travolto di 4 alpinisti tedeschi, 1 austriaco e 3 svizzeri, ormai sembra definitivo. Ormai sembra anche chiaro che quanto è successo su una delle più frequentate vie normali di salita al Monte Bianco non è dovuto ad imperizia o ad errate valutazioni degli alpinisti.

Ancora una volta dunque fatalità e consapevolezza dei rischi si riaffermano come componenti essenziali della montagna e di chi l'affronta. Abbiamo chiesto a Renzino Cosson - Guida alpina, fortissimo alpinista, gestore del Rifugio Bertone in Val Ferret che è stato per oltre vent'anni impegnato nel Soccorso alpino valdostano - cosa sia successo ma soprattutto qual è lo “spirito” che gli hanno insegnato tanti anni di alpinismo e di soccorso in montagna.


Buongiorno Renzino Cosson, che impressione le ha fatto l'incidente di domenica al Mont Blanc du Tacul, l'ha stupita?
Non è la prima volta che succede un incidente simile al Tacul. Qualche anno fa 8 persone rimasero sepolte dal crollo di un seracco. Bisogna dire che questa volta è anche andata bene: almeno altri 10 alpinisti sono stati coinvolti per fortuna senza gravi conseguenze. No, quello che è successo non mi ha stupito: è nella montagna, nell'alpinismo e nella via.

Com'è questa salita e secondo lei ci sono state delle responsabilità da parte degli alpinisti coinvolti?
Il Tacul purtroppo è sempre stato una bestia nera per tutti, anche se la salita, quando è in condizione, non presenta difficoltà. D'estate può diventare pericoloso dopo qualche nevicata ma soprattutto quando si ha la sfortuna di incappare nella caduta di un seracco… Insomma, anche al Tacul vale la regola che in montagna non c'è nulla di facile. Bisogna sempre dare del lei alla montagna: perché è lei che detta le regole, noi dobbiamo solo adattarci… Però in questo caso è impossibile dire che ci sia stata una scelta sbagliata degli alpinisti. Anzi, come orario e come tempistica era una situazione perfetta.

Allora qual è la spiegazione?
Non c'è nessuna spiegazione. Sul Tacul è sempre esistito il pericolo: sai solo che devi fare il più in fretta possibile perché la caduta di un seracco non rispetta nessun orario. E' imprevedibile: il peso non dorme, si muove sempre, magari impercettibilmente ma si muove e quando deve cadere, cade… questa è la legge della natura.

A volte però si ha l'impressione che negli ultimi anni qualcosa sia cambiato …
Il concetto è questo: 20 o 30 anni fa partivi dal Rifugio Torino per affrontare la traversata del ghiacciaio e trovavi sulla tua traccia sì e no qualche cordata. Ora puoi trovare la fila, e nelle giornate di bel tempo ci sono anche 200 o 300 cordate che salgono al Monte Bianco. Sono cambiati i numeri e quindi anche la probabilità di incidenti. Ma ripeto: questo non ha nulla a che vedere con quanto è successo domenica sul Tacul.

A volte si sente parlare di mutazioni della montagna a causa dei cambiamenti cimatici…
In realtà questa sul Monte Bianco è una delle stagioni migliori degli ultimi anni. Ma è chiaro che le salite variano di anno in anno e che qualcosa è mutato. Per esempio in linea di massima la normale alla Tour Ronde non si fa più d'estate…

Aldilà di quanto è successo al Tacul, la sua esperienza di alpinista cosa le ha insegnato?
L'esperienza mi ha insegnato ad affrontare la montagna e l'alpinismo dicendo: domani se ci sono le condizioni faccio quella salita altrimenti torno indietro. La fortuna che ho avuto come Guida è stata di aver fatto un alpinismo proprio in questo stile: si andava a vedere se c'erano le condizioni e poi si decideva. E in tutta la mia esperienza sono tornato indietro molte volte o per le condizioni che non mi convincevano o anche perché non era giornata per fare una salita, perché non si era convinti o perché qualcuno non si sentiva in forma.

Cosa si sente di dire agli alpinisti che affrontano la montagna?
La caratteristica che non bisogna perdere è quella del “montanaro” - e parlo anche per l'alpinista di città. Quella che ti insegna a mantenere i piedi per terra e ad essere sempre umili. Si deve sapere che a volte siamo chiamati ad affrontare l'imponderabile e avere la consapevolezza che le regole non le dettiamo mai noi… E poi sapere che, anche al di là della montagna e dell'alpinismo, la sicurezza nella vita non c'è mai.

Qual è dunque l'atteggiamento che consiglierebbe?
Bisogna fare come gli indiani d'America. Per trovare l'acqua e il cibo dovevano sentire e interpretare la natura. Coglierne i segnali. Sì bisogna avere quella sensibilità. A volte penso che abbiamo delle attrezzature eccezionali. Le piccozze, i ramponi, i chiodi da ghiaccio che possiamo usare adesso sono perfetti però, così come una volta, in cresta bisogna sempre saper camminare e soprattutto non inciampare, magari proprio nei nostri nuovissimi ramponi.

Qual è adesso la montagna di Renzino Cosson?
Adesso con l'alta montagna ho detto basta. Mi godo la mia montagna andando a fotografarla, mi godo il mio Rifugio. Anche questo è un modo per difendermi dai pericoli intrinseci della natura. D'altra parte i miei giorni di fortuna in montagna me li sono già giocati tutti. Sia chiaro però che rifarei tutto mille volte: la montagna è ed è stata la mia maestra di vita. Quando scendevo dalle mie salite mi dava quasi fastidio ritrovare le persone con le tutte le “loro regole”, cioè quelle che loro avevano stabilito come regole. Mi trovavo molto più in sintonia con la montagna, con quelle regole stabilite solo ed esclusivamente dalla natura.



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