Punta delle Cinque Dita, Sassolungo, Dolomiti

Punta delle Cinque Dita del Sassolungo: il secondo capitolo per esplorare questo gigante delle Dolomiti e la sua storia alpinistica.
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Punta Grohmann e Cinque dita, Sassolungo
Francesco Tremolada

Ai tempi dei tempi Sassolungo era un gigante in carne ed ossa. Un gigante, tanto bugiardo e ladruncolo da meritarsi, una volta scoperto con le mani nel sacco, d’essere condannato a sprofondare sotto terra. Quello che vediamo ora è solo la parte superiore dell’enorme briccone (per la cronaca più di un chilometro di roccia slanciata verso il cielo) e le dita della sua mano.

Andarle a trovare, le dita del Sassolungo, non è neanche troppo difficile. Se ne stanno lassù; separate da quel che affiora del Gigante solo dalla Forcella del Sassolungo. Ci s’arriva comodamente con la funivia, appena scodellati dalla macchina sul Passo Sella. Oppure, più faticosamente, arrancando a zig zag per il ripido ghiaione, mentre, i bidoncini del suddetto impianto a fune, ti svolazzano sulla testa facendoti sospettare di aver fatto la scelta più stupida. Per consolazione c’è solo il pensiero che salendo dall’altra parte, da quella di Selva, da quel lungo ed erto canalone che guarda verso l’Alpe di Siusi, la fatica sarebbe stata ben maggiore. Era proprio quello l’antico mare del Sassolungo. Un mare di cui ora resta solo il fondo roccioso, ma che continua ad essere protetto, da un lato dall’alta muraglia sud ovest del gigante e, dall’altra, dalle Cinque dita, dalla Punta Grohmann, dalla Torre Innerkofler e, per ultimo, quasi a chiudere il cerchio, dal Sassopiatto.

Ci s’incontra, dunque, su quella sella. Su quella stretta e un po’ magica finestra affacciata su due mondi dove se ne sta appollaiato, quasi schiacciato tra lo Spallone del Sassolungo e il Pollice delle Cinque dita, il Rifugio Demetz. Da qui, in un attimo, si è tra le dita del gigante. E s’apre un regno di pietra insospettabile.

Se le dita del Sassolungo potessero parlare racconterebbero molte storie. Direbbero dei molti che le hanno percorse. Delle file di alpinisti che d’estate s’avventurano su per lo spigolo nord-ovest del suo Pollice. Di quelli che affrontano, tra su e giù, varianti, fessure e spigoli tutta la traversata delle sue dita. Ma racconterebbero anche di quanti si perdono tra di esse, o sono stati sorpresi dal temporale, o non avevano messo in conto che questa è una montagna alta, affilata e sempre severa.

Vi racconteranno della gioia di arrampicare sospesi nel vuoto, su roccia solida e mai troppo avara di appigli. E, vi parleranno sicuramente di quei temerari pionieri che, per primi, s’avventurarono lassù. Vi diranno che di tutte le cime del Gruppo questa è stata l’ultima ad essere salita. Vi diranno di quel otto agosto del 1890 in cui, il ventenne pittore viennese Robert Hans Schmitt e il cinquantenne orologiaio tirolese Johann Santner, per primi assaporarono la vertigine di issarsi sulla sua esile cima, passando per la forcella dell’Indice e per quelli che, da allora in poi, saranno conosciuti come i camini Schmitt. Ma racconteranno anche di come, rotto l’incantesimo della prima, tutte le pieghe delle sue dita furono percorse e salite. Senza dimenticare, però, la delusione di Ludwig Darmstädter che, con le guide Johann “Stabeler” Niederwieser e Luigi Bernard, si vide sfuggire per 80 metri appena la vetta ancora inviolata. Come potrebbero descrivervi, le Cinque Dita, la faccia della signorina olandese Jeanne Immink che, con le guide Antonio Dimai e Giuseppe Zecchini, compisse la prima ripetizione della via di Schmitt e Santner.

Quella volta, infatti, la fortissima olandese non ebbe nemmeno il tempo di gioire che si vide sbucare Ludwig Norman-Neruda e la guida svizzera Christian Klucker reduci dalla loro prima sulla parete nord-ovest. Chissà se la Immink si è consolata due anni più tardi con la prima traversata della Punta delle Cinque dita. Certo né lei né nessun altro poteva prevedere che quelle rocce avrebbero accompagnato l’ultima notte di Norman-Neruda, precipitato proprio da quei camini Schmitt di cui, ben quattro anni prima, aveva compiuto la prima salita solitaria.

Chissà cosa pensano le dita del gigante di tutte queste storie? Di sicuro sono state tante le vicende che si sono accavallate e inseguite tra le linee di questa mano di pietra. Tante, quante quelle vissute e viste dalla sua dirimpettaia: la Punta Grohmann.

di Vinicio Stefanello

pubblicato su Alp Grandi Montagne #31 Sassolungo

>> Vai alla prima puntata, Dolomiti: l'altro Sassolungo

L'ALTRO SASSOLUNGO
Capitolo 1: Introduzione
Capitolo 2: Punta delle cinque dita

Capitolo 3: Punta Grohmann

Capitolo 4: Torre Innerkofler

Capitolo 5: Dente e Sassopiatto




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