Per Iñaki Ochoa

I pensieri di Nives e Leila Meroi e di Manuel Lugli per l’amico Iñaki Ochoa, scomparso lo scorso maggio sull’Annapurna
Il 23 maggio scorso il fortissimo alpinista spagnolo Inaki Ochoa de Olza è scomparso mentre tentava di salire la parete sud dell’Annapurna, il suo 13° Ottomila. Così lo ricordano gli amici e compagni di tanti sogni e spedizioni.


Caro Iñaki, solo il tempo amico, ci aiuterà a lenire il dolore per farci accogliere con gioia, la nostalgia.
La nostalgia di te e del tuo viaggio qui; un passo dopo l'altro fino al cuore di una passione, quando l’alpinismo diventa semplicemente il calice che porta alla bocca l’acqua della vita.
Un passo dopo l'altro con la schiena piegata controvento, tu che avevi eletto la dignità come valore primo.
Nives Meroi


Iñaki era il mio più caro amico. Ci siamo incontrati al Dhaulagiri nel 2005 e da allora è sempre stato presente nella mia vita, accompagnando i miei giorni con la gioia e la discrezione del suo spirito buono.
Chi era Iñaki Ochoa? Un alpinista famoso, un filosofo, un uomo amato dai media e dal grande pubblico…sicuramente. Però niente di tutto questo, almeno non nel suo cuore.
Iñaki era quel giovane sognatore che aveva deciso di dedicare la sua vita alla montagna. Lo stesso uomo che ogni mattina, in spedizione, potevi trovare in un angolino della tenda cucina, seduto su un sasso fra mille cianfrusaglie, a sorseggiare il primo caffè del giorno in compagnia di cuochi e portatori, imbastendo misteriosi discorsi in nepalese e cercando di attingere con umiltà gli insegnamenti del loro vivere semplice.
Quello che, scherzando sul suo ‘egoismo da alpinista’, diceva che in realtà lui stava solo assecondando il corso del destino: si chiamava Ignacio, come il Santo protettore dei montanari ed era nato il 29 giugno, la stessa data in cui Hillary e Tenzing avevano conquistato la vetta dell’Everest. E così è stato, come nelle più belle favole. Forte, coraggioso, leale, umile, Iñaki ha attraversato il mondo scegliendo la montagna come mezzo per esprimere se stesso. Profondamente innamorato della vita e dei suoi affetti non si sentiva certo un eroe; cercava invece di coltivare la sua passione rimanendo sempre fedele alla sua etica, senza pregiudizi e senza ossessioni.
Aveva il dono di toccare il cuore della gente, Iñaki, ed è questo ciò che conta.
Ora che ha restituito la sua anima alla montagna – a quell'Annapurna, che prima di lui si era presa il suo eroe, quell'Anatolij Bukreev colmo di virtù e maestro di coraggio che stimava tanto - è difficile non sentirne la mancanza. Ma rimangono i suoi racconti, le canzoni di Bob Dylan, le foto delle spedizioni, i sogni condivisi e purtroppo mai più realizzati. Rimane il suo messaggio, il segno indelebile e la profonda nostalgia che ha lasciato nell’animo di tutti noi. Ciao Iñaki,
Leila Meroi


Pensare a Iñaki al passato è duro. Lo si dice per molti amici perduti, ma per Iñaki vale di più. La sua vitalità, il suo coraggio, la sua allegria. La sua incoscienza, la sua forza, il suo amore per le montagne. Tutto questo e molto di più lo rende presente. Trovo poche parole da scrivere per quel che è successo ed ancora meno per dire quello che saranno i prossimi viaggi a Kathmandu con la certezza di non incontrarci. Dopo tutti questi anni di incroci sui sentieri e birre al Tom & Jerry. Mi piace di più pensarlo tranquillo sulla neve ripida con la sua chioma bionda al vento, come lo avevo incontrato la prima volta al K2 Nord. Mi piace pensarlo come nel ritratto che avevo scritto di lui qualche anno fa.
E salutarlo con pochi, straordinari versi del più grande dei poeti spagnoli, Federico Garcia Lorca, con il suo Lamento scritto, guarda caso, per Ignacio Sanchez Mejas. Con parole che sembrano scritte per Iñaki.
Manuel Lugli

Ignacio Ochoa De Loza Seguin, Pamplona, Spagna.
Enfant prodige dellhimalaysmo spagnolo – incontrai Iñaki al K2 Nord nel 1994, dove era il membro più giovane del team del Filo de lo Imposible – ha faccia dangelo e talento in quantità. Ci incontriamo spesso a Kathmandu, da dove Iñaki parte per le sue spedizioni. Anche lui in corsa per chiudere il conto con i quattordici ottomila, non mi sembra però esserne ossessionato. Pochi anni fa l’ho incontrato lungo la valle del Khumbu, mentre si stava acclimatando prima di tentare la salita del Makalu. Mi raccontò con grande entusiasmo di aver da poco concluso un accordo di sponsorizzazione con un’importante banca spagnola, accordo che gli avrebbe consentito di scalare tutte le vette di ottomila metri della terra. Pensai che se c’era qualcuno che se lo meritava era proprio lui.
E’ passato parecchio tempo da quel 1994, quando per poco Iñakinon pose fine alla sua brillante carriera di himalaysta scendendo a testa bassa un centinaio di metri dello spigolo nord del K2; si salvò solo perchè la corda fissa che aveva ceduto gli si era arrotolata attorno ad una gamba. La successiva discesa, per oltre 1000 metri, tutto ammaccato e con un braccio rotto, pur con l’aiuto di compagni eccezionali – José Carlos Tamayo, Ramon Portilla, Juanjo San Sebastian e Sebastian De La Cruz, per citarne alcuni - fu una dimostrazione di gran carattere, da vero navarro. Paolo Minisini, dottore della nostra spedizione, completò l’opera con un’ingessatura a regola d’arte che Iñaki ancora ricorda.
L’ultima volta che l’ho incontrato, non molto tempo fa, aveva appena dato l’addio alla sua (ultima) ragazza, per il suo amore più grande, a cui gli era stato chiesto – in maniera folle, diciamocelo - di rinunciare: l’Himalaya. Mai dare ultimatum ad un navarro.
Manuel Lugli da “Alpinisti sottoaceto”

Lamento per Ignacio Sanchez Mejìas
(...)Qui nessuno canta, né piange nell’angolo,
né pianta gli speroni né spaventa il serpente:
qui non voglio altro che gli occhi rotondi
per veder questo corpo senza possibile riposo.
Voglio veder qui gli uomini di voce dura.
Quelli che domano cavalli e dominano i fiumi:
gli uomini cui risuona lo scheletro e cantano
con una bocca piena di sole e di rocce.
Qui li voglio vedere. Davanti alla pietra.
Davanti a questo corpo con le redini spezzate.
Voglio che mi mostrino l’uscita
per questo capitano legato dalla morte.
Voglio che mi insegnino un pianto come un fiume
ch’abbia dolci nebbie e profonde rive
per portar via il corpo di Ignacio e che si perda
senza ascoltare il doppio fiato dei tori.
Si perda nell’arena rotonda della luna
che finge, quando è bimba dolente, bestia immobile;
si perda nella notte senza canto dei pesci
e nel bianco spineto del fumo congelato.
Non voglio che gli copran la faccia con fazzoletti
perché s’abitui alla morte che porta.
Vattene, Ignacio. Non sentire il caldo bramito.
Dormi, vola, riposa. Muore anche il mare!
(...)Nessuno ti conosce. No. Ma io ti canto.
Canto per dopo il tuo profilo e la tua grazia.
L’insigne maturità della tua conoscenza.
Il tuo appetito di morte e il gusto della sua bocca.
La tristezza che ebbe la tua coraggiosa allegria.
Tarderà molto a nascere, se nasce,
un andaluso così chiaro, così ricco d’avventura.
Io canto la sua eleganza con parole che gemono
e ricordo una brezza triste negli ulivi.
Federico Garcia Lorca




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