Per Ilio De Biasio

Ilio De Biasio, uno dei più forti montanari e alpinisti dolomitici, è scomparso il 9 aprile scorso, all'età di 59 anni, durante una scialpinistica sul Monte Pavione nelle Alpi Feltrine. Il ricordo di Toni Zuech.
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Ilio De Biasio nel suo regno, le Pale di San Lucano
archivio Toni Zuech
Un diffuso pregiudizio circonda gli abitanti delle montagne, troppo spesso raffigurati come chiusi, torvamente diffidenti, quasi prigionieri di un ambiente ostile e delle sue leggi implacabili. Ilio De Biasio ha incarnato la perfetta smentita a questo pregiudizio: se ho conosciuto infatti un uomo veramente aperto al mondo, quello era lui.

Vorrei qui dire le tante cose, troppe per questo breve spazio, che di lui andrebbero dette. Vorrei dire del suo volto antico. Dei suoi occhi splendenti di un'intelligenza non comune e al contempo di bonaria ironia. Della spontaneità del suo sorriso. Del sentimento generoso dell'accoglienza, che aveva fatto della bella casa di Cencenighe un approdo felice, aperto a tutti. Come lo era stata, alle origini della sua vita, la casa natale di Pradimezzo dove, assieme ai fratelli Ettore e Silvio, aveva appreso dai genitori, pure in tempi non facili, le leggi sorridenti e calde dell'ospitalità.

Un uomo in sereno equilibrio, amico del mondo, costituzionalmente estraneo ai conflitti, al giudizio aspro verso gli altri. Così era l'uomo, così era l'alpinista: un istinto formidabile, come lo può essere solo quello dei veri montanari. Appreso sin da ragazzetto accompagnando il suo primo maestro, il padre, a caccia sugli impervi terreni delle Pale di San Lucano. Su e giù per terzi e quarti gradi, magari innevati, snidando le prede lungo tracce vertiginose ed estenuanti. Sotto lo sguardo attento e ammaestratore degli anziani. A caccia di camosci, come un camoscio.

Il padre, che gli aveva costruito i primi sci e da cui aveva appreso quella straordinaria sensibilità su tutti i tipi di neve, che ne faceva uno degli sciatori più efficaci e ammirati. Anche su terreni ripidissimi, estremi verrebbe da dire, se un tale aggettivo non fosse intrinsecamente estraneo all'indole profondamente equilibrata di Ilio. L'equilibrio era infatti la cifra costitutiva della sua personalità, quindi anche del suo alpinismo, della sua arte in arrampicata. Chi ha avuto la fortuna di legarsi alla sua corda sa bene quanta naturale maestria, quanta potenza e resistenza, quanta esperienza e competenza tecnica andassero a costituire il suo non comune bagaglio di arrampicatore.

Non è questo il luogo né il tempo degli elenchi e dei curriculum. Altri, come spero avverrà, racconteranno della sua attività esplorativa nelle native Pale di San Lucano. Delle innumerevoli prime salite e prime invernali. Delle grandi discese sciistiche da lui appena accennate agli amici increduli. Dei soccorsi (e che soccorsi..!), d'estate e d'inverno, sull'Agner, sulla Nordovest della Civetta... I miei amici gardenesi avrebbero da raccontare qualcosa al riguardo, se lo vorranno fare. Insomma, un principe delle montagne: nobiltà senza vanità, vera aristocrazia.

Con un tale uomo ho avuto la fortuna di legarmi per due belle avventure invernali: lo spigolo nord dell'Agner, nel gennaio del 2007, e la via Flora sulla Seconda Pala di San Lucano, nel febbraio del 2008.

Dell'Agner ho ricordi meravigliosi, in primo luogo per i compagni: Ilio appunto, e Lucio Faccin, un forte alpinista di Montebelluna. Ricordo il viaggio notturno verso Cencenighe, con i finestrini abbassati per vincere il sonno.

La preparazione degli zaini a casa di Ilio (all'epoca una mia recente conoscenza) e l'avvicinamento nel freddo siderale della valle di San Lucano.

La difficoltà a trovare un posto per il primo bivacco (la velocità di Lucio che conduceva la cordata quel primo giorno ci aveva fatto superare già nel primo pomeriggio il luogo prescelto e ci eravamo trovati all'imbrunire su terreno ripido, innevato, ostile).

La gloriosa stellata che accompagnò una notte di scherzi e confidenze: era in quel luogo straordinario che imparavamo a conoscerci e a divenire amici! Che dono meraviglioso è l'alpinismo e (come ha detto qualcuno) quale formidabile pretesto per la nostra amicizia!

L'alba infuocata e la meridiana dello spigolo che scandiva le ore di un'altra intensa giornata, in lento movimento, proiettato sui baratri delle antistanti Pale di San Lucano: il luogo dell'infanzia incantata di Ilio.

L'arrivo in vetta, dove ci era venuto incontro, assieme ad un amico, Stefano Conedera (il Ceppo, grande amico di Ilio e ora anche mio e di Lucio) e dove ammirammo attoniti il rogo delle grandi montagne dolomitiche ardere tutto intorno alla piramide sommitale dell'Agner: luce nella luce.

Poi giù e ancora giù, di corsa, incitati da Ilio che dichiarava ridacchiando di non poterne più delle mie zuppe vegetali e di voler mettere ben altro sotto i denti entro sera. Infine la sua casa e Marinella, la compagna di una vita, che aveva cucinato per noi selvaggina e ogni altro ben di Dio....

Ci saremmo ritrovati, io e Ilio, un anno dopo, questa volta assieme al Ceppo, sulla via Flora (Flora era l'amatissima madre di Ilio: Lorenzo Massarotto, il primo salitore assieme a Ettore De Biasio, aveva voluto questa dedica, lui che ben conosceva l'ospitalità della casa di Pradimezzo...).

Ricordo una lunga, estenuante giornata: dalle 4 del mattino fin quasi alla mezzanotte. Avevamo portato i materiali da bivacco, si era fatto buio e io insistevo perché ci fermassimo, tutt'intorno tenebre e baratri insondabili. E qui ebbi modo di capire veramente il suo valore: Ilio, come un nume tutelare dei luoghi, ci condusse in quel labirinto di vertiginose creste innevate, di canali nascosti, di traversate impossibili da intuire. Ero impressionato e al contempo ammirato dalla sua tranquilla maestria, dal tono pacato e scherzoso della sua voce che ci infondeva forza e fiducia. A un certo punto - nessuno misurava più il tempo - si aprirono le porte della malga d'Ambrosogn....il gran viaggio notturno era concluso.

Ora anche il viaggio terreno di Ilio ha avuto termine. Lui è andato nell'ignoto, oltre quelle porte dove non possiamo seguirlo. Non c'è altro da dire: addio e grazie, meraviglioso amico.

di Toni Zuech




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